L’Europa e le banche. Le ‘incertezze’ del sistema italiano

1. Le banche europee di fronte ad una regolazione complessa. (*)
All’indomani dell’emanazione del decreto lgs. n. 180 del 2015 di recepimento della direttiva BRR, presso l’Università Cattolica di Milano, in un convegno organizzato dall’ADDE (Associazione Docenti Diritto dell’ Economia), numerosi studiosi, affrontando la tematica «Quali regole e per quali mercati?», proponevano di fare chiarezza sui contenuti normativi di una regolazione che appariva di non facile applicazione e di certo innovativa rispetto alla logica ordinatoria che, per lungo tempo, ha contraddistinto la disciplina giuridica delle ‘crisi bancarie’[1].
Una prima risposta agli interrogativi sollevati da detta regolazione ci è data stasera dai contributi del volume ‘L’unione bancaria europea’ che in questa sede viene presentato. È una risposta per certi versi esaustiva, in quanto l’opera affronta alcune tra le più significative problematiche sollevate dalla costituzione dell’UBE e dalla realizzazione dei primi due ‘pilastri’ (SSM e SRM) posti a fondamento della stessa. Essa, tuttavia, denota alcuni limiti, dovuti alla intrinseca complessità che connota la materia oggetto d’analisi ed all’approccio metodologico, d’impianto teorico, seguito da molti autori, i quali, nel valutare la realtà giuridica (sottesa alla traslazione della ‘supervisione bancaria’ alla BCE ed alla composita tecnica della procedura di ‘risoluzione delle crisi’) oggetto d’esame, appaiono interessati soprattutto a ricercare ‘forme e modelli’ di sistemazione concettuale.
Ed invero – circoscrivendo la mia riflessione ad alcuni soltanto dei lavori pubblicati nel volume che ci occupa – peculiare attenzione viene dedicata ora ai tratti caratterizzanti di quella che viene definita «una nuova integrazione per accentramento» (Torchia), ora alla valutazione della incidenza sulla tenuta precettiva dell’art. 47 Cost., ascrivibile allo spostamento di puntuali competenze e poteri dall’area domestica a quella so­vranazionale (Pisaneschi). Del resto, anche gli stessi curatori del volume, hanno rispolverato – nell’introduzione dell’opera – la teoria dell’«ordinamento se­zio­nale del credito», elaborata da M.S. Giannini negli anni quaranta del novecento; teoria il cui richiamo mi sembra, tuttavia, inappropriato, atteso che essa fa riferimento ad una ‘pluralità di ordinamenti’, configurabile all’interno di un «unitario» contesto politico istituzionale, realtà al presente di certo non ipotizzabile con riguardo all’Unione Europea.
Indubbiamente, la materia oggetto d’analisi si caratterizza per complessità ed innovazione del regime disciplinare di riferimento; ne è conferma il fatto che i curatori – richiamando le valutazioni tecniche al riguardo formulate dalla autorità di settore, sottolineando la necessità di «tornare a riflettere sull’ adeguatezza del nuovo quadro normativo sulla gestione delle crisi bancarie»[2] – evidenziano le incertezze interpretative poste dalla regolazione recentemente adottata dai vertici UE, a fronte della ferma posizione assunta dalla Commissione europea in tema di ‘aiuti di Stato’ alle Banche in crisi.
Volendo identificare le cause di detta complessità, necessita far riferimento ai profondi cambiamenti che è dato riscontrare vuoi nel sistema di ‘supervisione bancaria’, vuoi nella procedura di ‘risoluzione delle crisi’; entrambe destinate ad incidere su una realtà che vede gli appartenenti al settore provati da una crisi finanziaria, i cui esiti ritardano tuttora un adeguato riavvio della crescita.
Più in particolare, rilevano sul punto le innovative modalità d’intervento che la BCE è in grado di effettuare nell’ambito dei poteri ad essa riconosciuti dal Meccanismo unico di vigilanza. Ed invero, le verifiche ora disposte nei confronti delle cd. banche significative – vale a dire gli stress test sui requisiti patrimoniali richiesti a tali enti creditizi e l’Aqr concernente la valutazione della qualità dei loro attivi – appaiono decisamente più invasive rispetto a quelle in passato attuate dall’autorità nazionale[3]. È evidente come il sistema oggettivo di controlli demandati ai vertici dell’Unione – caratterizzato per il ridimensionamento dei poteri discrezionali tipicamente propri degli organi di supervisione domestici – si sia tradotto in forme tecniche di vigilanza che (oltre ad essere esercitate da soggetti di nazionalità diversa da quella delle banche alle medesime sottoposte) mettono a dura prova la tenuta degli enti creditizi, costretti tra l’altro ad un aggravio di costi per il potenziamento delle funzioni di compliance e di ‘controlli interni’. Da qui lo scenario di un sistema bancario i cui soggetti sono spesso ‘in affanno’, essendo gravati da un’ingente massa di crediti deteriorati e da una progressiva ‘perdita di fiducia’ da parte dei risparmiatori.

2. I contenuti del volume ‘L’unione bancaria europea’: il meccanismo unico di vigilanza…
È in questa premessa che mi sembrano poco conferenti – ai fini della proposizione di una compiuta linea interpretativa delle nuove forme disciplinari – le perplessità, rappresentate da alcuni autori (Torchia, Sorace), in ordine alla ipotizzabile inosservanza – nel nuovo contesto dispositivo – della nota dottrina Meroni (in base alla quale le istituzioni UE non possono delegare poteri che conferiscano «ad organismi terzi una libertà d’apprezzamento tale da concretarsi in un vero e proprio potere discrezionale»[4]).
Analogamente, sembrano eccessivi i dubbi sollevati da alcuni studiosi (Torchia, Sorace, Gardella) con riguardo alla distribuzione di competenze tra le autorità dell’architettura di vertice dell’ordinamento finanziario europeo (e tra queste ultime e gli organi nazionali di supervisione). Tali dubbi, come in altra sede ho avuto modo di sottolineare, sono superati da una lettura prospettica del regolamento n. 1024 del 2013 (nel quale, a fronte della funzione dell’EBA «di elaborare progetti di norme tecniche, nonché orientamenti e raccomandazioni finalizzati alla convergenza.. (della) … vigilanza … (in) … àmbito …UE» [considerando n. 32] viene riconosciuto alla BCE il contestuale potere di «adottare regolamenti a norma dell’art. 132 del Trattato sul funzionamento dell’UE», vale a dire nella misura da quest’ultima ritenuta necessaria per assolvere i suoi compiti istituzionali). A ben considerare, infatti, il rischio di possibili sovrapposizioni tra gli interventi delle autorità in parola si ridimensiona ipotizzando che in futuro l’EBA, costretta a districarsi tra posizioni spesso confliggenti, adotterà in concreto un ruolo poco propositivo, correlato all’intento di non gravare eccessivamente su talune realtà consolidate nei paesi aderenti all’Unione Bancaria Europea»; ciò, prescindendo dall’ulteriore eventualità in cui detta autorità rinunci, addirittura, all’assunzione di decisioni i cui contenuti sono ritenuti di difficile gradimento (da uno dei due «blocchi» di Stati destinatari dei suoi interventi)[5].

(*) Si pubblica con integrazioni e l’aggiunta di note il testo della relazione svolta nell’Incontro di studio ‘le Banche e l’Europa’, organizzato dalla Fondazione CESIFIN Alberto Predieri, tenutosi a Firenze il 9 febbraio 2017.

Meritevole di considerazione mi sembra, invece, il particolare rilievo riservato, nell’opera che si presenta, all’analisi del ruolo della BCE. Correttamente si puntualizza in un contributo del volume (Lo Schiavo) che la attribuzione di compiti e poteri diretti alla nominata istituzione si giustifica per il fatto che «la creazione dell’EBA nel 2011 non era… riuscita a realizzare una diretta vigilanza prudenziale … nei confronti delle banche»; donde il riconoscimento alla stessa di competenze destinate all’esercizio di una «vigilanza bancaria conforme a standard comuni di livello elevato in tutta la zona euro», come si legge nella Relazione alla ‘Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio’[6]. Vorrei qui aggiungere solo che l’affidamento alla BCE di specifiche funzioni di vigilanza prudenziale sugli enti creditizi, disposta ai sensi dell’art. 127 del TFUE, si configura in linea con l’intensa attività dalla medesima svolta nell’ultimo quinquennio, allorché ha adottato molteplici misure (i.e. le cd. operazioni non convenzionali) per la stabilizzazione dei mercati ed il supporto finanziario al settore produttivo colpito da una pesante fase recessiva[7]. Consegue la coerenza del progetto UBE con il carattere unitario del fenomeno «moneta-credito» (cui si ricollega il nesso esistente tra il governo del credito e la liquidità monetaria), in quanto la Banca centrale europea, su un piano sostanziale, ha svolto un’attività inquadrabile tra quelle che notoriamente caratterizzano l’azione propria delle banche centrali[8]. Va sottolineato, tuttavia, che – nonostante le funzioni di tale istituto risultino incardinate in uno schema di central banking[9] – l’incisività dell’impegno interventistico della BCE (spesso costretta a superare le incomprensioni e gli ingiustificati veti prospettati da alcuni Stati membri[10]) ed il processo evolutivo della stessa non consentono ad oggi di qualificarla alla stregua di una «banca centrale», come di recente ha sottolineato un autorevole studioso[11].
Del pari, va segnalata l’attenzione, dedicata da alcuni contributi del volume (Del Gatto, Macchia), al rapporto tra le autorità di supervisione e quelle di risoluzione. Viene, infatti, evidenziata la ‘separatezza’ che il regolatore europeo ha inteso disporre tra i differenti meccanismi di supervisione e di risoluzione, previa adozione di un criterio ordinatorio sulla cui osservanza è possibile, a mio avviso, sollevare dubbi in base a considerazioni di vario genere. In primo luogo, suscita perplessità l’esclusione di una partecipazione attiva della BCE dall’agere del SRM: orientano in tal senso alcune precisazioni formulate dalla nominata istituzione, la quale in proposito ha tenuto a puntualizzare che «as a supervisor, the ECB will have an important role in deciding whether a bank is failing or likely to fail»; donde la configurabilità di un chiaro intento di non voler circoscrivere il proprio ruolo nell’ambito di quello proprio di un «osservatore permanente»[12]. Venendo, poi, alla valutazione delle modalità con cui, sul piano delle concretezze, sono state tenute distinte le predette forme di controllo, appare significativa la circostanza che – a fronte del disposto dell’art. 3, comma terzo, della BRRD, nel quale viene attribuita agli Stati membri la facoltà di «prevedere in via eccezionale che l’autorità di risoluzione sia l’autorità competente per la vigilanza» – in numerosi paesi (Germania, Francia, Italia, Olanda, Irlanda) l’autorità di risoluzione coincide con quella di vigilanza[13]. Se ne deduce la volontà di tener fermi i benefici di un’organizzazione unitaria che consente lo scambio di informazioni e di esperienze pregresse, oltre alla fruizione di possibili economie di scala. Da ultimo, non può trascurarsi di considerare il ruolo primario che in subiecta materia deve essere riconosciuto alla Commissione, arbitra unica delle decisioni in materia di «aiuti di Stato», la quale – pur collocandosi al di fuori del quadro delle autorità istituzionali poste a presidio della stabilità del sistema bancario europeo – di certo con la sua azione interagisce sull’efficacia delle misure di vigilanza e/o di risoluzione, essendo ad essa rimessa la valutazione della possibilità d’interventi in deroga al divieto di concedere «aiuti… mediante risorse statali» (art. 107, comma primo, TFUE).
Alla luce di quanto precede non mi sembrano condivisibili i timori formulati in alcuni contributi (in particolare: Torchia), confermati poi nella relazione dell’avv. Capolino, in ordine alla limitata possibilità di «sottoporre a controllo giurisdizionale le decisioni e i provvedimenti». Al riguardo, reca un contributo chiarificatore la riflessione di un acuto studioso che, facendo riferimento alla natura del provvedimento, distingue i casi di fattispecie monofasica da quelli bifasica, all’uopo segnalando che, nelle ipotesi in cui il procedimento si conclude con una decisione della BCE (ad esempio: l’ autorizzazione all’accesso all’attività bancaria ovvero il controllo degli assetti proprietari), il carattere strumentale e non vincolante della «proposta formulata dalla ANC …non consente di ravvisare …(l’esistenza di) … condizioni perché l’atto possa essere impugnato davanti al giudice italiano»[14]. Pertanto, non v’è dubbio che, in presenza di tali fattispecie bifasiche, in base al disposto dell’art. 263 TFUE, che sottopone gli atti della BCE al controllo di legittimità della Corte di giustizia dell’Unione europea, è innanzi a quest’ultima che andrà invocata la tutela avverso gli effetti del provvedimento adottato dalla predetta autorità europea[15].

3. Segue: … e quello di risoluzione delle crisi.
Passando, successivamente, all’esame del complesso disciplinare relativo alla ‘gestione delle crisi’ degli appartenenti al settore, mi sembra opportuno sottolineare che l’analisi non può prescindere da adeguate valutazioni del cambiamento (registrato negli ultimi anni) delle forme di regolazione, i cui effetti appaiono ancor più rilevanti di quanto non sia dato constatare, con riguardo alle modifiche del regime normativo della supervisione bancaria.
Al riguardo, è bene aver presente che il Meccanismo unico di risoluzione delle crisi (SRM) – definito con l’approvazione, da parte del Parlamento europeo, della direttiva UE n. 2014/59 (cd. BRRD) e del regolamento UE n. 806/2014 (cd. SRM) – ha introdotto rimedi profondamente diversi da quelli adottati in passato nel nostro Paese. Si assiste, infatti ad un significativo ridimensionamento dell’intervento pubblico in subiecta materia, donde la particolarità del complesso dispositivo in parola che, come è stato sottolineato dalla dottrina, «fa pagare le perdite della banca ai suoi creditori»[16], con la conseguenza di spostare alla sfera economico patrimoniale degli stakeholders l’area d’impatto della crisi[17]. Vengono superate, dunque, le pregresse logiche di ‘socializzazione delle perdite’ (causa di frequenti ipotesi di moral hazard da parte di enti creditizi disposti alla assunzione di rischi eccessivi)[18], nonché l’applicazione del noto d.m. 27 settembre 1974, conosciuto come decreto Sindona[19]; misure rappresentative di un impianto sistemico che, in anni ormai lontani, aveva individuato nella «raccolta del risparmio» l’indiscusso cardine di una costruzione nella quale l’attività bancaria è al centro di ogni input propulsivo per la crescita economica.
Da qui il passaggio da un sistema interventistico pubblico che, sul piano delle concretezze, assicurava una ‘piena tutela’ dei risparmiatori (garantendo, al contempo, il recupero dei livelli occupazionali e dell’avviamento della banca in crisi), all’applicazione di una composita procedura che, nel riferimento alla logica del mercato, esclude l’addebito allo Stato degli effetti negativi rivenienti dai dissesti bancari, facendo ricadere questi ultimi su coloro che hanno intrattenuto relazioni di vario genere con l’ente sottoposto a risoluzione (i.e. azionisti, obbligazionisti, creditori/risparmiatori).

In tale contesto sistematico vanno esaminati i lavori, pubblicati nel volume qui presentato, che dedicano ampio spazio alla tematica della gestione delle crisi bancarie, procedendo all’approfondimento analitico dell’SRM e, dunque, della nuova procedura di risoluzione delle crisi. Tali saggi – dando seguito ad un percorso logico che muove dalle ‘misure preventive’, dalla problematica degli ‘aiuti di Stato’ e dalla puntualizzazione del nuovo Board con specifiche competenze in subiecta materia (Del Gatto, Marcucci, Macchia) – passano in rassegna l’attuazione della BRRD (Banking Recovery and Resolution Directive), la pianificazione del risanamento e della risoluzione, l’istituto del bail-in e la ‘nuova liquidazione coatta’ (Magliari, Vattermoli e Porzio). Di certo questa parte del volume si caratterizza per innovazione tematica e per sistematicità d’impianto, essendo gli autori dei contributi tenuti ad esplorare questioni ad oggi non ancora adeguatamente analizzate, con riguardo alle quali non è possibile avere – al presente – puntuali riscontri sul piano applicativo.
Non posso omettere di considerare, tuttavia, che la complessità della materia oggetto d’esame non consente – in sede di prima esegesi della normativa europea (la quale, in alcune sue parti, risulta recepita in modalità non del tutto conformi all’originario testo disciplinare) – di pervenire a risultati inequivoci in ordine alla valutazione della portata normativa della regolazione di cui trattasi. Al riguardo, va fatto presente che la direttiva n. 2014/59/UE (c.d. BRRD) ed il regolamento n. 806/2014/UE, con cui è stato introdotto l’SRM, prospettano una visione di mercato decisamente diversa rispetto a quella cui faceva riferimento la normativa vigente in Italia fino a tutto il 2015 in quanto il legislatore europeo, nei provvedimenti testé richiamati, sembra presupporre l’esistenza di un mercato maturo ed efficiente, tale da rinvenire al proprio interno, in caso di crisi, i rimedi necessari per il superamento di quest’ultima. Evidentemente il regolatore – in adesione ad una logica di mercato volta a supportare la concorrenza – ha fatto affidamento su una innovativa forma di collaborazione tra intermediari ed autorità di settore per conseguire il ‘risanamento’ dell’ente creditizio in crisi, disancorandolo dal ricorso a forme di supporto pubblico straordinario. Ciò ha comportato l’adozione di forme d’intervento preventivo, all’uopo utilizzando le iniziative predisposte nei ‘piani di risanamento’, cui consegue, nei casi di dissesto (o di rischio di dissesto), l’applicazione delle più gravi misure di risoluzione, le quali sul piano delle concretezze collocano in un ambito residuale il ricorso alla procedura di liquidazione coatta dell’ente creditizio (finalizzata alla sua fuoriuscita dal mercato)[20].
In tale premessa – e volendo far qui solo un cenno agli interventi di carattere risolutivo – l’impianto sistemico finalizzato alla riconduzione ad un unico centro di comando dell’insieme delle misure necessarie per la gestione delle crisi si è risolto nel riconoscimento alle autorità di risoluzione di un’ampia sfera di poteri, il cui utilizzo, peraltro, non può essere effettuato in deroga ai canoni ordinatori posti dall’ordinamento a presidio della tutela dei diritti.
Consegue il necessario riferimento alla ‘triste storia’ del salvataggio di quattro banche in amministrazione straordinaria, sulla quale mi sono intrattenuto in altra sede, evidenziando il carattere problematico delle misure adottate dal Governo italiano[21]. Le perplessità, da me in passato sollevate in ordine alla particolarità di tale vicenda, non vengono meno, a mio avviso, a seguito della recente sentenza del TAR Lazio n. 166/2017, nella quale il Collegio decidente – nel dichiarare di non poter omettere di «tenere conto del costante orientamento giurisprudenziale … per cui gli atti posti in essere dalla Banca d’Italia nell’attività di vigilanza, costituiscono esplicazione di potere amministrativo caratterizzato da discrezionalità tecnica» – ha respinto il ricorso presentato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara per l’annullamento, tra l’altro, del provvedimento 21 novembre 2015 della Banca d’Italia, approvato dal Ministero dell’economia e delle finanze con decreto del 22 novembre 2015, di avvio della risoluzione della Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.a., in amministrazione straordinaria, ai sensi dell’art. 32 del d.lgs. 180/2015.
Al riguardo, va in primo luogo sottolineato che tale decisione riflette un consolidato indirizzo della giurisprudenza, da molti anni appiattita su un’acritica adesione agli orientamenti delle amministrazioni di controllo del settore, le quali – come è dato desumere, tra l’altro, da puntuali analisi statistiche predisposte dalla stessa Banca d’Italia[22] – solo in rarissimi casi hanno visto la adozione di provvedimenti giurisdizionali contrari alle determinazioni da esse assunte.
Passando, poi, all’esame delle forme esplicative della ‘discrezionalità tecnica’, c’è da chiedersi se questa – destinata a sostanziarsi in un’analisi dei fatti rilevanti per l’esercizio del potere pubblico – possa estendersi a ricomprendere anche i cd. piani di razionalizzazione sistemica, la cui realizzazione verosimilmente sembra sia a fondamento dell’intervento di salvataggio di cui si discute. Ipotesi interpretativa, quest’ultima, che sembra trovare conferma nella circostanza che l’autorità di settore non ha dato alcun riscontro, a livello autorizzativo, all’intenzione dell’assemblea straordinaria degli azionisti di Carife (tenutasi in data 30 luglio 2015) di procedere alla copertura delle perdite, previo integrale utilizzo delle riserve iscritte nella situazione patrimoniale al 31 marzo 2015, con conseguente riduzione del capitale sociale e contestuale aumento riservato al FITD; intenzione confortata da una perizia del professor Enrico Laghi dell’Università di Roma, asseverata da una società di revisione, nella quale si accertava che il capitale esistente a seguito di tale operazione (che vedeva il valore delle azioni ridotto a € 0,27 cadauna) era pari a € 11.365.841,97. Si è, dunque, in presenza di un contesto fattuale nel quale lo stretto raccordo tra il mancato rilascio del provvedimento abilitativo di cui all’art. 19 TUB e l’attivazione della procedura di risoluzione (avvenuta poco tempo dopo la menzionata assemblea straordinaria) dà adito a giustificati dubbi in ordine al comportamento dell’autorità; ed invero, atteso che la Banca d’Italia non si è espressa nei termini previsti dalla normativa, il TAR Lazio ha potuto motivare la sua decisione (contraria alla tesi della Fondazione di Cariferrara) solo nel riferimento alla mancata possibilità «in assenza di esplicita previsione normativa (che lo preveda) … di estendere alla fase svolta in sede europea gli stessi istituti previsti, dalla disciplina nazionale, di cui alla l. 241/1990 e tra questi l’istituto del silenzio assenso».

Da qui la stranezza che connota – almeno in questa vicenda – la linea comportamentale dell’Organo di vigilanza; stranezza che appare ancor più evidente ove si abbia riguardo alla diversità di trattamento riservata dal regolatore ad altre banche fortemente sottocapitalizzate (come la Popolare di Vicenza), nonché alle improprie modalità di recepimento nella regolazione nazionale di alcune disposizioni della citata dir. n. 59/2014/UE. Mi riferisco, in particolare, al criterio adottato dal legislatore italiano per la ‘valutazione delle attività e passività’ ai fini della risoluzione. Per vero, come in altra occasione ho già sottolineato[23], mentre ai sensi dall’art. 36, comma primo, di tale direttiva la valutazione in parola deve essere «equa, prudente e realistica» e demandata a «una persona indipendente da qualsiasi autorità pubblica, compresa l’autorità di risoluzione», il legislatore nazionale nell’art. 23 del d.lgs. n. 180 del 2015, riguardante per l’appunto la stima di cui trattasi, ha disposto che quest’ultima «è effettuata su incarico della Banca d’Italia da un esperto indipendente, ivi incluso il commissario straordinario nominato ai sensi dell’ articolo 71 del Testo Unico Bancario»; statuizione la cui lettura dà adito ad ampie perplessità, specie se si ha riguardo al disposto del successivo art. 26, comma secondo, nel quale si rinviene la precisazione, di dubbia legittimità costituzionale, che limita la «tutela giurisdizionale contro la valutazione».
Ciò posto, non condivido l’enfasi con cui l’avv. Capolino ha commentato la menzionata sentenza del TAR Lazio. Per converso, ritengo necessario, al fine di offrire spunti d’indagine, ricordare la sentenza 14 luglio 2016 del Tribunale di Chieti, provvedimento che fa riflettere su uno scenario caratterizzato da profili di significativa incoerenza nell’applicazione della procedura di risoluzione[24]. Particolari, infatti sono le considerazioni del Tribunale il quale – muovendo dalla constatazione che non risultano «in atti… elementi che consentano di affermare l’esistenza di uno stato di insolvenza al momento dell’avvio della risoluzione» – tiene a puntualizzare che le «perdite sono esito (anche ma soprattutto e prevalentemente) delle rettifiche di valore netto su crediti, risultanti in sede di valutazione provvisoria»; donde la conclusione che «la condizione patrimoniale della banca…(è) …peggiora (ta) … nel corso dell’amministrazione straordinaria»[25]. Da qui la configurabilità di una realtà che, a tacer d’altro, sorprende con riguardo alla determinazione delle cause cui, sul piano delle concretezze, appare riconducibile la situazione di dissesto riscontrabile nella banca destinataria del programma di risoluzione (cause di certo non identificabili nella consistenza economico patrimoniale [dell’ azienda bancaria] esistente al momento del commissariamento)[26]; realtà sulla quale incide significativamente la notizia, fornita dalla stampa, dell’avvio di indagini da parte della magistratura penale per i fatti sopra richiamati[27].
Del resto, lo stesso legislatore italiano, recentemente in sede di conversione del decreto legge 23 dicembre 2016, n. 237, ha disposto – probabilmente nell’intento di porre un qualche rimedio alla sperequazione ravvisabile nel trattamento riservato ai risparmiatori delle quattro banche sottoposte a procedura di risoluzione – la riapertura dei termini per poter accedere all’ indennizzo forfettario del corrispettivo pagato per l’acquisto di strumenti finanziari coinvolti nelle procedure di risoluzione suddette (art. 26 bis, comma 3,della legge 17 febbraio 2017, n. 15).
Da quanto precede si evincono le difficoltà cui deve far fronte l’interprete della regolazione in esame; difficoltà causate dalle stesse incertezze della normativa nazionale relativa all’applicazione del bail-in. Si abbia riguardo, in particolare, alla statuizione dell’art. 1, comma 33, del d.lg. n. 181, con la quale è stato modificato l’art. 91 del d.lgs 1° settembre 1993, n. 385, puntualizzandosi l’ordine con cui i ‘commissari’ devono procedere nel ‘pagamento dei crediti’. Viene qui introdotta una «deroga a quanto previsto dall’art. 2741 cod. civ. e dall’art. 111 della legge fall. nella ripartizione dell’attivo», previa determinazione dell’elenco dei crediti che vengono soddisfatti «con preferenza rispetto agli altri crediti chirografari», includendo tra questi «gli altri depositi presso la banca» (lett. c). È evidente come il legislatore, nell’intento di rimediare ai rischi del bail-in, sia incorso in una palese violazione del principio della par condicio creditorum[28]; ciò in quanto, come è stato osservato, «la possibile svalutazione, anche integrale, delle passività della banca comporta la cancellazione delle posizioni creditorie di taluni soggetti con la conseguenza che essi non possono, neppur in astratto, concorrere alla distribuzione dell’eventuale attivo residuo»[29], qualora la procedura del bail in sortisca esito negativo e si dia corso alla liquidazione coatta. Consegue un concreto limite nella tutela dei depositanti, atteso che l’internalizzazione delle perdite, nella fattispecie qui rappresentata, non è in grado di dare pieno adempimento al criterio del “no creditor worse off” (i.e. nessun creditore/depositante può subire in caso di risoluzione un trattamento deteriore rispetto a quello che subirebbe con la liquidazione).

4. L’impatto del nuovo sistema disciplinare sulla realtà finanziaria italiana.
Al fine di stimare nei giusti termini la portata innovativa del cambiamento disciplinare che ci occupa, necessita – a mio avviso – soffermarsi sulla valutazione dell’impatto, sul settore creditizio, della normativa in esame; dovendosi, all’uopo, tener conto vuoi del logorio cui la crisi ha esposto le strutture degli intermediari finanziari, vuoi della intrinseca difficoltà sottesa ad un tempestivo, necessitato adeguamento delle stesse alle indicazioni del legislatore europeo. È questa, forse, la via da seguire per identificare e comprendere le ragioni profonde dei ritardi che connotano il nostro Paese nel recuperare percorsi di crescita, nel trovare un’uscita dal ‘porto delle nebbie’ nel quale ormai ristagna da oltre due lustri.
Nel confermare la considerazione, da me formulata all’indomani della costituzione dell’UBE, in ordine alla rilevanza di tale evento istituzionale che essa rappresenta una «sfida per un’Europa più unita»[30], va qui precisato che il composito sistema disciplinare di cui si è detto espleta i sui effetti su un settore bancario caratterizzato dalla presenza di gravi situazioni patologiche al suo interno. Nel nostro Paese, infatti, appaiono accentuate le cause della fenomenologia che si riscontra in ampia parte dell’Europa, a monte della quale – come è stato chiaramente sottolineato in uno dei contributi del volume in esame (Micossi) – si rinviene una «ricerca affannosa di rendimenti» che ha indotto molte banche ad assumere rischi senza preoccupazione, a fronte di policy-makers, regolatori ed organi di vigilanza disposti a sottovalutare i pericoli di un’«accumulazione eccessiva» dei medesimi. Da qui le inevitabili conseguenze negative registrate con l’emersione della crisi, che ha visto una spropositata crescita dei ‘crediti deteriorati’ e – a seguito di ciò – perdite e gravi forme di sottocapitalizzazione di numerose istituzioni bancarie.

In tale contesto peculiare centralità va ascritta al Monte dei Paschi di Siena (MPS), che negli ultimi anni ha vissuto una triste alternanza tra aspettative di capitalizzazione e necessario ricorso al meccanismo degli aiuti di Stato[31]. Più in particolare, la pubblicazione dei risultati degli stress test (sui requisiti patrimoniali) e dell’AQR, eseguiti dalla BCE nel 2014[32], ha evidenziato una fragilità dell’istituto in parola che non è venuta meno nel biennio successivo, nonostante un qualche miglioramento che, nella tornata del 2016 delle ‘prove’ in parola, è stato possibile registrare[33]. Da qui le aspettative rimesse alla soluzione legislativa prevista dal recente decreto l. n. 237 del 23 dicembre 2016, nel quale – dopo l’insuccesso del tentativo di rinvenire nel mercato le risorse per un’adeguata patrimonializzazione dell’ente – si è rimesso ad un intervento pubblico, disposto in deroga alla normativa europea sugli aiuti di Stato, la positiva conclusione della vicenda MPS[34].
Anche altre banche significative del nostro Paese versano in condizioni di evidente precarietà sistemica. Già i menzionati stress test di fine 2014 avevano evidenziato un sistema bancario contraddistinto da scarsa sicurezza (in quanto gravato da pesanti criticità dovute a mala gestio o, comunque, ad incapacità operativa consolidata nel tempo)[35]. La situazione di impasse in detta sede delineata è apparsa, di lì a poco, particolarmente preoccupante, tanto da far ipotizzare, in sede tecnica, una soluzione volta a prevenirne gli ovvi riflessi negativi sulla percezione del ‘rischio Italia’ e sulla fiducia dei risparmiatori/investitori; si è pervenuti, così, alla costituzione del Fondo Atlante – FIA, con quote distribuite tra diverse tipologie di operatori di mercato (banche, assicurazioni, fondazioni bancarie, casse di previdenza) e Cassa Depositi e Prestiti – finalizzato alla ricapitalizzazione delle banche in crisi (per il 70% delle sue risorse), nonché all’ acquisto di crediti non performing cartolarizzati (per il rimanente 30%). Il ruolo assegnato a tale Fondo non è stato accompagnato, peraltro, da un supporto finanziario adeguato alle sue funzioni; esso, infatti, pur venendo incontro nell’immediato al pressante bisogno di patrimonializzazione della Banca popolare di Vicenza – attra­verso un’operazione di aumento di capitale «che, se inoptato, avrebbe potuto mettere in difficoltà anche UniCredit», come puntualmente è stato sottolineato da un autorevole studioso[36] – ha dimostrato di essere solo «un piccolo passo nella giusta direzione», come è
Stato puntualizzato da Mario Draghi[37].
Si delinea, quindi, un quadro particolare, la cui problematicità appare, per certi versi, riconducibile anche al ruolo svolto, in questo delicato momento storico, dall’autorità di controllo del settore bancario. Ho avuto modo di sottolineare in altra occasione la difficoltà che connota l’accettazione da parte della Banca d’Italia di un cambiamento istituzionale che incide profondamente sulle funzioni in passato da essa esercitate nell’ordinamento finanziario italiano[38]. Dopo la perdita del potere monetario, la traslazione della supervisione bancaria alla BCE ha inferto un nuovo, duro colpo all’operatività dell’Istituto; quest’ultimo è progressivamente passato da forme di vigilanza invasive al altre permissive, assumendo in alcuni casi addirittura un atteggiamento dimissionario, come è dato desumere dal favor, mostrato in occasione della recente riforma delle BCC, per la costituzione di pochi, grandi gruppi di banche cooperative, sì da facilitare (in ragione del carattere significativo ai medesimi ascrivibile) la traslazione del controllo su di essi alla BCE.
A fronte di tale realtà, necessita domandarsi quali siano le cause a monte degli odierni accadimenti di cui si è detto. In altri termini, ci si deve interrogare sulle determinanti di una situazione, i cui riflessi rischiano di mantenere ancora a lungo il nostro Paese in una situazione di stallo. È difficile dare una risposta a tale quesito! Mi piace, tuttavia, ricordare alcune considerazioni di Fabio Merusi, il quale – in un incontro di studi svoltosi presso l’Università Luiss – G. Carli di Roma a fine 2015[39] – ebbe a sottolineare che, purtroppo, « in Europa c’è stata l’armonizzazione, c’è stata la convergenza normativa ma non c’è stata l’integrazione»; ed aggiungerei: non si sono verificati i presupposti per il raggiungimento della coesione identitaria indispensabile per l’unitarietà di intenti ed obiettivi, ipotizzata dai padri fondatori dell’Unione.
Conseguono i limiti della governance europea, dovuti ad un quadro ordinatorio nel quale il potere deliberativo dell’UE è strutturato su un «triangolo istituzionale», cui fa capo un processo di codecisione (tra Commissione, competente nella proposizione dei progetti disciplinari, Consiglio dei ministri dell’Unione europea e Parlamento cui spetta l’approvazione del relativo testo); limiti riconducibili anche all’utilizzo di un «modello intergovernativo», causa di ritardi e divergenze tra i paesi UE, che non hanno consentito di superare i divari ed il significativo gap tra i componenti della Unione (ora accentuati dagli effetti negativi delle ‘misure di rigore’ negli ultimi anni imposte dai vertici europei). Si spiega, altresì, la ragione che ha indotto a ricercare prevalentemente in sede tecnica la definizione di meccanismi di policy in grado di rimediare (o, quanto meno, contenere) i danni derivati dalla crisi, demandando alla finanza l’esercizio di un ruolo supplente rispetto alla politica.
Si è in presenza, dunque, di vicende radicate nelle modalità con cui si è svolto il processo di europeizzazione; pertanto, non è possibile – al presente – prevederne gli esiti o, come molti di noi vorremmo, una felice conclusione, anche a causa del populismo che da qualche tempo dilaga all’interno dell’UE, minando finanche la sua continuità. Da qui il ‘vento’ di una diffusa incertezza che investe soprattutto il nostro Paese: ad esso fanno riscontro l’affannosa ricerca di rimedi legislativi per curare un sistema bancario che rivela, al proprio interno, ampie lacerazioni, nonché le perplessità concernenti la realizzazione del ‘sogno europeo’, nel quale tante generazioni d’italiani hanno creduto.
Sono queste – ed altre ancora – le cause di una generalizzata turbativa che, nell’ultimo decennio, ha colpito noi tutti; della quale – purtroppo – vittime sacrificali saranno, in via prioritaria, i giovani d’oggi! Cosa dire in presenza di una situazione siffatta? Vorrei essere un vate benefico, in grado di saper leggere nel futuro, per prevedere un felice superamento del momento di impasse che il nostro Paese, unitamente a tanti altri Stati membri, sta vivendo. Purtroppo, non sono in possesso di facoltà divinatorie! Un’apertura alla speranza mi sembra, tuttavia, possa essere desunta dal suggerimento dato, alcuni giorni or sono, da Mario Draghi, allorché nel ritirare il ‘premio Cavour’ ha detto che l’Europa ha bisogno di più politica ed i singoli Stati membri hanno bisogno di più ‘stabilità politica’[40]. In questa stessa direzione vanno anche talune indicazioni recentemente formulate dalla Merkel[41]; sicché, da vecchio sognatore che continua a sperare e a credere in un’Europa unita, mi auguro che un giorno non lontano (considerata la mia età), andando a Berlino, possa anch’io dire, come cinquant’anni fa fece J. F. Kennedy, «Ich bin ein Berliner».

Note

1.  Se ne vedano gli Atti, pubblicati col titolo Temi e problemi di diritto dell’economia nel Supplemento n. 3 del fasc. n. 4 della Riv. trim. dir. econ., 2015.

2.  Cfr. Visco, Indagine conoscitiva sulle condizioni del sistema bancario e finanziario italiano e la tutela del risparmio, anche con riferimento alla vigilanza, la risoluzione delle crisi e la garanzia dei depositi europee, Audizione tenuta presso la 6a Commissione permanente (Finanze e tesoro) del Senato della Repubblica, Roma, 19 aprile 2016, p. 17 delle bozze di stampa.

3.  Gli stress test della BCE sullo ‘stato di salute’ degli enti creditizi italiani hanno causato fin dalla loro prima applicazione in forte shock macroeconomico; cfr. Locatelli, Messori: il sistema bancocentrico italiano è al tramonto, Fondazioni e banche popolari da riformare, in FIRSTonline del 26 novembre 2013. Sono emersi, infatti, molteplici fattori – entità della ricapitalizzazione degli appartenenti al settore a fronte della difficoltà di rinvenire investitori, opinabili operazioni di risoluzione di crisi, shift tecnologico e conseguente necessità di digitalizzazione, innovazioni recate dalla realizzazione della Capital Markets Union, ecc. – che, mostrando i ritardi del sistema bancario domestico rispetto a numerose realtà straniere, hanno evidenziato la necessità di procedere a significative modifiche disciplinari, tali da consentire un più ampio ricorso a forme di finanziamento diretto sui mercati; cfr. sul punto Panetta, Un sistema finanziario per la crescita, intervento a ‘The Adam Smith Society’ Milano, 27 gennaio 2014, il quale peraltro definiva tale rinnovamento «un obiettivo ambizioso, possibile su un orizzonte temporale esteso».

4.  Cfr. la sentenza della Corte di Giustizia del 13 giugno 1958 (Meroni c./ Alta Autorità, cause nn. 9 e 10/56), consultabile sul sito internet http://eur-lex.europa.eu. Per un parziale superamento dei principi contenuti nel richiamato provvedimento, cfr., da ultimo la sentenza della Corte di giustizia del 22 gennaio 2014 (causa C-270/12), in Riv. trim. dir. econ., 4, 2014, p. 205 ss., con nota di Rossano, Lo short selling ed i poteri dell’Esma.

5.  Cfr. Capriglione, Nuova finanza e sistema italiano, Torino, 2016, p. 135, nota n. 26.

6.  Cfr. documento COM(2012) 511, parag. n. 1.

7.  Ci si riferisce, in particolare,

8.  Cfr. Benigno, Poteri straordinari della banca centrale in un sistema di moneta fiduciaria, in Aa.Vv., La gestione della crisi. Il mercato, le imprese, la società, Padova, 2013, p. 94 ss.,

9.  Si ha riguardo, in particolare all’intervento di stabilizzazione dei mercati – annunciato da Mario Draghi al World Economic Forum il 22 gennaio 2015 – denominato Quantitative easing; misura (da annoverare tra quelle non convenzionali) consistente nell’impegno ad acquistare, sul mercato secondario, titoli di debito pubblici e privati (a partire da marzo 2015 almeno fino a settembre 2016) al ritmo di 60 miliardi di euro al mese, e comunque fino a quando il tasso di inflazione nell’ eurozona sarà tornato ad avvicinarsi al 2%.

10.  In primis della Germania, preoccupata non solo di dover finanziare senza fine il deficit degli Stati prodighi, cfr. Zingales, La scommessa di Draghi e il dovere dei governi, in Ilsole24Ore del 9 settembre 2012

11.  Cfr. Ciocca, La banca che ci manca, Roma, 2014, passim.

12.  Cfr. l’annotazione relativa al Single Resolution Mechanism, nella pagina dedicata alla Banking Union, pubblicata sul sito istituzionale www.bankingsupervision. europa.eu

13.  Con riguardo a tali opzioni si vedano i seguenti documenti: per la Germania «German government moves forward with package of measures for European ban-king unional», su www.bundesfinanzministerium. de/Content /EN /Pressemitteilungen/ 2014 /2014-07-09-package-of-measures-foreuropean–bankingunion. per l’Olanda «D NB to become national resolution authority», su www.dnb.nl /en/news/news-and-arch-ive /dnbulletin-2014/dnb309365.jsp; per l’ Irlanda «Central Bank of Ireland designated as Ireland’s National Resolution Authority», su www.centralbank.ie/ pressarea /pressreleases Pages/CentralBankofIreland-desi-gnatedasIreland’sNationalResolutionAuthority.aspx; ed infine per la Francia, paese nel quale l’autorità di risoluzione è attivata presso la banca centrale, rileva il disposto della Loi n. 2013-672 del 26 luglio 2013.

14.  Cfr. Guarracino, Le “procedure comuni” nel meccanismo di vigilanza unico sugli enti creditizi: profili sostanziali e giurisdizionali, in Riv. Trim. Dir. Econ., 2014, pp. 275-278.

15.  È appena il caso di ricordare che l’ art. 35, § 1, del Protocollo sullo statuto del sistema europeo di banche centrali e della banca centrale europea, testualmente recita: «gli atti o le omissioni della BCE sono soggetti ad esame o interpretazione da parte della Corte di giustizia nei casi ed alle condizioni stabilite dal trattato. La BCE può avviare un’azione giudiziaria nei casi ed alle condizioni stabilite dal trattato».

16.  Cfr. Stanghellini, Chi ha paura del bail-in?, visionabile su www.lavoce.info/ archives/37722/chi-ha-paura-del-bail-in.

17.  Cfr. Micossi, Relazione introduttiva al Convegno “Unione bancaria: istituti, poteri e impatti economici”, organizzato dalla LUISS School of European Political Economy, Roma, 26 febbraio 2014; v. altresì l’editoriale di Darold, dal titolo Accordo Ue su unione bancaria: da subito il 40% del fondo salva-banche sarà condiviso, apparso su ilsole24ore.it in data 20 marzo 2014.

18.  Capriglione, Regolazione europea post-crisi e prospettive di ricerca del diritto dell’economia: il difficile equilibrio tra politica e finanza, in Riv. trim dir. e proc. civ., 2016, p. 537 ss.

19.  Tale d.m. (in GU 2.10.1974, n. 256) consentiva alla Banca d’Italia di concedere anticipazioni all’1% per una durata fino a 24 mesi «ad aziende di credito che, surrogatesi ai depositanti di altre aziende di credito in liquidazione coatta», si trovavano «a dover ammortizzare, perché tutto o in parte inesigibile, la conseguente perdita nella loro esposizione»; per commenti v. Capolino, Banking Recovery and Resolution: riparto delle funzioni, compiti e responsabilità, Università di Siena 2016, nota n. 10, visionabile su www.regolazione deimercati.it /sites/default/files/Rapporto%20 Capolino%202.pdf.

20.  Ciò, nonostante il tenore del considerando n. 45 della direttiva 2014/59/UE il quale recita così: « In linea di principio, un ente in dissesto dovrebbe essere liquidato con procedura ordinaria di insolvenza. Tale procedura, tuttavia, potrebbe compromettere la stabilità finanziaria, interrompere la prestazione di funzioni essenziali e pregiudicare la tutela dei depositanti. In tal caso, è altamente probabile che sarebbe di pubblico interesse sottoporre l’ente a risoluzione»; disposizione da cui potrebbe dedursi l’esigenza, nei casi di dissesto, di un prioritario ricorso alla liquidazione .

21.  Tali dubbi afferiscono alla: (i) circostanza che il ‘Fondo di risoluzione nazionale’, amministrato dall’«Unità di risoluzione della Banca d’Italia», è intervenuto con mezzi finanziari conseguiti inizialmente per intero con la leva (al di là, quindi, degli ordinari criteri e limiti che ne connotano l’applicazione); (ii) assunzione da parte della Cassa Depositi e Prestiti di un impegno di sostegno finanziario in caso di incapienza del Fondo alla data di scadenza del finanziamento; (iii) ipotizzabile responsabilità dei commissari i quali, nel corso della gestione commissariale, non hanno impedito (nel corso dei circoscritti termini di quest’ultima) il progressivo deterioramento patrimoniale di tali banche; cfr. Capriglione, Nuova finanza e sistema italiano, cit., p. 154 ss.

22.  Cfr. i dati al riguardo pubblicati sul sito della Banca d’Italia, visionabili su www.bancaditalia.it/chi-siamo/ provvedimenti/index.html.

23.  Cfr. Capriglione, Luci ed ombre nel salvataggio di quattro banche in crisi, in Apertacontrada del 17 febbraio 2016.

24.  Se ne veda il testo pubblicato in Riv. trim. dir. ec. 2016, II, p. 128 ss, con nota di Lemma, Razionalizzazione sistemica e risoluzione delle crisi bancarie (quando l’intervento autoritativo causa incertezza del diritto).

25.  Tale realtà fattuale si colora, poi, di ombre allorquando viene evidenziato che, «nonostante ulteriori rettifiche dei commissari per circa 212 milioni, al 30/9/2015, gli stessi commissari rilevavano … (l’esistenza di un) …patrimonio netto positivo ancora per € 68 milioni»; precisazione la cui gravità risalta in tutta la sua evidenza ove se ne raccordi la portata alla successiva affermazione del Tribunale «le stime di rettifiche di valore su crediti deteriorati … determinate nella comunicazione del 20/11/2015 della Carichieti … non sono verificabili».

26.  Al riguardo, va fatto presente che il provvedimento di amministrazione straordinaria non venne adottato per «gravi perdite patrimoniali».

27.  Cfr. Colantonio, Bancarotta ex Carichieti, indagati i due commissari, in Il Centro del 8 dicembre 2016.

28.  Di ciò, del resto, sembra aver contezza lo stesso legislatore italiano, come è dato desumere dal fatto che nella normativa del d.lg. n. 181 si rinviene un rinvio alle calende greche (1° gennaio 2019) dell’ applicazione dell’art. 91, comma 1 bis, lett. c, t.u.b

29.  LENER, Profili problematici del bail-in, intervento al convegno ‘La gestione delle crisi bancarie e l’assicurazione dei depositi nel quadro dell’unione bancaria europea’, organizzato da FITD, tenutosi a Roma il 22 gennaio u.s.

30.  Cfr. Capriglione, European Banking Union. A challenge for a more united Europe, in Law and Economics Yearly Review, 2013, p. 5 ss.

31.  Cfr. Capriglione, Nuova finanza e sistema italiano, Torino, 2016, p. 76; e in precedenza Id., Gli stress test delle banche europee: una tempesta prima di un ‘nuovo ordine’ del mercato finanziario. Il caso Italia, in federalismi.it,

32.  Cfr. Greco – Ricciardi – Scozzari, Stress test: le pagelle di tutte le italiane. Bocciate Mps e Carige, visionabile su www.repubblica.it_economia_2014_10_26.

33.  Cfr. l’editoriale di Puato, Le più solide e convenienti: la classifica delle banche italiane, visionabile su www.corriere.it/economia/16_gennaio_25/piu-solide-convenienti- classifica-istituti-italiani; v. altresì Caparello, Stress test, Eba: banche con sofferenze pagheranno, visionabile su www.wallstreetitalia.com/stress-test-eba-banchecon-sofferenze-pagheranno, ove con riguardo agli stress test di fine luglio 2016 si annoverano a livello europeo tra gli «istituti che hanno dimostrato una maggiore fragilità…. MPS, Unicredit e Deutsche Bank».

34.  Cfr. l’editoriale di Rossano D., Il decreto «salva risparmio» e la vicenda MPS, in diritto bancario.it del 24 dicembre 2016, ove – tra l’altro – si sottolinea la coerenza dell’intervento in parola alle prescrizioni normative della BRRD.

35.  Sintomatico, al riguardo, è il caso di Banca Carige, anch’essa destinataria di una bocciatura inflittale dalla BCE, cfr. l’editoriale di Graziani, pubblicato con il titolo Un’operazione trasparenza che il mercato apprezzerà in IlSole24Ore del 23 maggio 2014.

36.  Cfr. Zingales, Le ragioni del fondo Atlante, visionabile su www.ilsole24ore. com /art/commenti -e-idee /2016-04-19/le-ragioni-fondo-atlante-102951.

37.  Cfr. l’editoriale di Chiellino, Banche, se il fondo Atlante non basta può intervenire lo Stato, visionabile su www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2016-04-26/sefondo-atlante-non-basta-puo-intervenire-stato.

38.  Cfr. Capriglione, Regolazione europea post-crisi e prospettive di ricerca del ‘diritto dell’economia’: il difficile equilibrio tra politica e finanza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2016, p. 556 ss.

39.  Cfr. il seminario tenutosi il 12 novembre 2015 per la presentazione del volume ‘Il giudice e l’economia’ di G. Montedoro.

40.  Cfr. l’editoriale pubblicato su IlSole24Ore del 24 gennaio 2017 col titolo All’Italia e al mondo serve sempre di più un’Europa politica, nel quale si riporta il discorso pronunciato da Mario Draghi allorchè gli è stato conferito il ‘premio Cavour’.

41.  Cfr. l’editoriale intitolato Merkel incontra Draghi. «La zona euro resterà unita», visionabile su www.corriere.it/economia/17_febbraio_09/europa-piu-velocita-merkel-chiede-aiuto-draghi-vertice-due-ore-berlino nel quale si richiamano le parole della Cancelliera tedesca: «Non è vero che ho parlato di velocità diverse riguardo all’eurozona — ha detto dopo il colloquio con il presidente della Bce — Anzi, l’area euro dev’essere coesa e continuare a sostenere tutti i progetti varati assieme, come il fondo salva Stati».