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L’offerta economicamente più vantaggiosa

di e - 21 Febbraio 2017
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È bene ricordare che tutto ciò si colloca all’interno del criterio sistemico definito “costo del ciclo di vita” dell’oggetto dell’appalto. Come è ben noto, si tratta di tutti i costi che ricorrono per l’acquisto, l’esercizio, la manutenzione e la “soppressione” del bene.
Il punto nodale è chiaro. I criteri di aggiudicazione per l’individuazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa hanno un’alta valenza sociale e culturale. Sono strumenti che consentono alla stazione appaltante di entrare nelle imprese e di valutare il cuore delle loro strutture. Se ne ha così una conoscenza “reale”, che ben può condurre ad individuare l’offerta nel suo complesso economicamente più vantaggiosa.

3. Il nuovo codice italiano, il d. l.vo n. 50 del 2016, che ha attuato la direttive 2014/24, dedica l’art. 95 alla disciplina dell’offerta economicamente più vantaggiosa, alterando significativamente l’assetto tracciato dalla direttiva..
Secondo questo articolo 95, l’offerta economicamente più vantaggiosa, che conduce all’aggiudicazione, èindividuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo o sulla base dell’ele-mento prezzo o del costo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita …” (co. 2).
Il co. 6° specifica poi che l’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata, come si è appena visto, sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, “è valutata sulla base di criteri oggettivi, quali gli aspetti qualitativi, ambientali o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto”. Questi criteri sono enunciati nei successivi 7 paragrafi, da a) a g). Si possono così riassumere:a) la qualità, dal pregio tecnico alle caratteristiche estetiche e funzionali ed alla progettazione nel senso più ampio, dalla sicurezza con le relative certificazioni al contenimento dei consumi e delle risorse ambientali, etc.;
a) la qualità, dal pregio tecnico alle caratteristiche estetiche e funzionali ed alla progettazione nel senso più ampio, dalla sicurezza con le relative certificazioni al contenimento dei consumi e delle risorse ambientali, etc.;
b) il possesso di un Ecolabel UE per un congruo numero e valore delle forniture;
c) il costo di utilizzazione e manutenzione avuto riguardo a tutte le componenti inquinanti e di mitigazione degli impatti dei cambiamenti climatici;
d) la compensazione delle emissioni di gas ad effetto serra;
e) l’organizzazione, le qualifiche e l’esperienza del personale;
f) i servizi post vendita;
g) le condizioni di consegna.
L’art. 95 prosegue con i commi da 7 in poi. Così, il co. 8 dispone che i documenti di gara descrivono i criteri di valutazione e la loro ponderazione; il co. 9 integra il co. 8, nel senso che se la stazione appaltante non ritiene possibile la ponderazione indica l’ordine decrescente di importanza dei criteri.
Anche qui, dal co. 10 in poi, seguono norme che non riguardano l’offerta economicamente più vantaggiosa.

4. È dunque il momento di trarre le conclusioni in ordine a questa disciplina della legge italiana rispetto a quella dell’Unione, la direttiva 2014/24.
Come si è visto, la direttiva mirava ad avere una valutazione compiuta delle vicende che sarebbero seguite all’aggiudicazione della gara: ovviamente, essendo queste vicende il parametro per formulare una serie di giudizi, i calcoli riguardavano tutti i concorrenti. L’art. 67 della direttiva prevedeva così una serie di vere e proprie intrusioni nella struttura e nell’organizzazione delle imprese, volte a esprimere il loro “valore” in termini di punteggio positivo – quindi, in favore del concorrente con il bagaglio favorevole, dovuto alla qualità, all’organizzazione, ai servizi post-vendita.
Gli elementi più rilevanti erano due. Il primo punto di riferimento era indiscutibilmente il prezzo proposto da ogni concorrente. Ad esso si aggiungevano o sottraevano altri punteggi, per altre cause. Il co. 2 dell’art. 67 e l’art. 68 della direttiva sono illuminanti: qualità, organizzazione, servizi post-vendita, consegna finale si riflettevano positivamente o negativamente sul prezzo; i costi del ciclo di vita erano la base per l’attribuzione di un punteggio. Per dirla in termini elementari si aggiungevano gli oneri di funzionamento, manutenzione, di smaltimento o riciclaggio.
Nella legge italiana non sembra esservi traccia di tutto ciò. Vi si trovano i consueti criteri formali (“ordine crescente o decrescente di importanza dei criteri”). L’art. 95 detta norme sui costi del ciclo di vita, senza che mai questo tipo di istituto sia richiamato nel corso della legge.

***

5. Quale conclusione? E, a monte di questa domanda, per quali motivi il Governo, nella sua funzione di legislatore delegato ex art. 76 Cost., può aver deciso una rottura così forte rispetto alla direttiva comunitaria?

Le risposte possibili sembra che possano essere tre. La prima, più semplice, è che le procedure concorsuali per l’affidamento dell’appalto nella versione originaria, della direttiva 2014/24 sono certamente complesse, fonte di non banali difficoltà.- e quindi di errori di valutazione con la conseguente responsabilità. Basti ricordare che, per diverse valutazioni di merito (qualità, organizzazione, servizi post-vendita), la stazione appaltante deve saper entrare nella struttura dei singoli concorrenti, per osservare la struttura ed il funzionamento delle loro organizzazioni, ad un numero non prevedibile di livelli. Più in concreto, si dovrebbe attribuire alla stazione appaltante il potere-dovere di entrare nei gangli organizzativi di ogni impresa e di accedere a tutto ciò che può rivelare come funzionino, come operino i vari uffici cui possono essere ascritte competenze professionali di rilievo. Basti pensare al “pregio tecnico”, alle “caratteristiche estetiche e funzionali”, oltre a tutte le altre attività operative, elencate nel co. 6, lett. a.
La seconda difficoltà, strettamente collegata alla prima, è quella della coerenza, della continuità degli accertamenti che la stazione appaltante dovrebbe fare. Se si parla di specialità, di elevata qualità delle prestazioni richieste all’impresa – e sopratutto da essa offerte – potrebbero insorgere problemi di riservatezza, da cui potrebbe essere difficile uscire.
La terza è forse la più seria di tutte. Non occorrono grandi indagini per rendersi conto che, nell’art. 67, la direttiva ha introdotto un vasto spazio di discrezionalità in capo alle stazioni appaltanti. Basti pensare al costo del ciclo di vita del bene ed alle attività che devono essere svolte per soddisfare le necessità della stazione appaltante nel futuro prossimo o lontano, a seconda dei casi. Questo pone un problema serissimo: qualcuno deve decidere, facendo dipendere la sua decisione dalla valutazione di eventi e situazioni futuri, possibili, ma non certi, spesso carichi di scelte da fare. In altri termini, spesso occorre prendere decisioni, proiettando il presente verso l’ignoto.
Se si vogliono introdurre situazioni di questo genere, per quel rilevantissimo fine che è l’acquistare la massima conoscenza del bene o del servizio da realizzare con l’appalto, la soluzione è una sola. Ci si deve fidare di qualcuno, cui affidare questo compito. Deve avere tutti i poteri necessari e lo si deve esonerare da qualsiasi responsabilità, salvo il dolo, perché in un’opera di questo genere l’errore è sempre possibile.

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