Intorno al processo amministrativo telematico1

1. Il processo amministrativo telematico, che entrerà in vigore il prossimo 1° luglio, suggerisce, se non addirittura impone, un duplice approccio. Il primo riguarda l’assetto lato sensu organizzativo del processo; il secondo le sue possibili conseguenze future, quelle che matureranno con il radicamento di un assetto telematico globale nel sistema storico della giustizia amministrativa.
È necessaria una breve premessa metodologica. Essa sta nella parola stessa, “telematica”. Come tutti sanno, “telematica” è l’integrazione di parole, “informatica” (e quindi gestione numerica di ciò che si osserva: ovvero, che si usa o studia), e “telecomunicazione”, comunicazione di dati a distanza. L’informatica consentiva un’elaborazione numerica del mondo fisico con i numeri 0 e 1– digitale appunto –; aveva quindi un impiego pressoché illimitato; le tecniche di telecomunicazione azzeravano lo spazio e le distanze umane. In un breve volgere di anni, questo nocciolo di autentica creazione scientifica e tecnica ha consentito di raccogliere, selezionare, gestire quantità semplicemente inimmaginabili di “dati” del mondo fisico, debitamente digitalizzati, a velocità infinitamente elevate.
L’applicazione di queste tecnologie al mondo giuridico non è semplice. Certo è banale finché si tratta di gestire dati puramente quantitativi, come ad es. l’anagrafe o le denunce dei redditi. Ma quando si passa a “territori” umani misti, in cui dati numerici si confondono con dati ad es. intellettuali o psicologici (non ancora esprimibili in numeri!), l’elabo-razione muta. Si arresta, per la serissima ragione che, ad oggi, mentre possono essere ben quantificati e quindi distinti “maggiore” e “minore”, questo non è dato per “migliore” e “peggiore”, salvo che, naturalmente, questi aggettivi siano riferiti a dati quantificabili (ad es., temperatura, resistenza all’usura etc. etc.).
Il punto cruciale emerge con queste brevi considerazioni. Noi oggi abbiamo, e tra poco più di un mese sarà operativo, un sistema telematico per la gestione a distanza del processo amministrativo. Lo stesso sistema è già in atto per tutti gli altri processi. Il sistema telematico di cui si parla, oggetto di questo convegno, coglie esattamente l’essenza di ciò che è gestibile digitalmente: non le idee e i pensieri, ma lo scritto. Lo scritto è riducibile infatti ad una successione di segni – lettere dell’alfabeto, numeri, interpunzioni – e quindi traducibile in testo numerico, digitale appunto.
Non vi è dubbio alcuno che questo sistema sia complesso, molto complesso. Proprio questa complessità rende il digitale pericoloso. Se un testo digitale cade nelle mani di un avversario senza scrupoli, nel giro di pochi secondi può renderlo illeggibile – o trasformarlo. È dunque giusto, essenziale, che il c.d. legislatore abbia dedicato cure di ogni genere per costringere chiunque voglia o debba essere parte in un giudizio di fronte ai TAR o al Consiglio di Stato a seguire ferree regole di protezione dei propri scritti e dei propri documenti. Questo costituisce una barriera reciproca molto forte, che consente l’avvio di un processo amministrativo digitale, senza carta, con sole interminabili stringhe di numeri.

2. In effetti, il cittadino è colpito dalla struttura del non insignificante numero di leggi, intervenute sul tema del processo amministrativo. È anzi colpito due volte. È del tutto insolito che un’unica materia, relativamente limitata, abbia suscitato un così vasto gruppo di leggi, regolamenti, delibere del Consiglio dei ministri. Questo è certamente il primo motivo di stupore.
Dopo un po’ di lettura, è colpito da un altro, singolare aspetto di questa legislazione. Si ferma alle porte del processo. Dice al lettore come dovrà essere raccolta e presentata la procura, come dovrà essere composto il fascicolo, digitale, naturalmente, come trasmesso al TAR o al Consiglio di Stato, che cosa dovranno farne le segreterie, e via discorrendo. È chiaro che non si faranno più depositi cartacei. Nessuno pensi però che la pressione del tasto di un computer sostituisca il camminatore – porti cioè direttamente ricorsi, documenti e memorie dallo studio alla sede del TAR o al Consiglio di Stato. Ai destinatari arrivano blocchi giganteschi di dati, trasmessi con la velocità della luce (300.000 km/secondo, merita ricordare) dal computer del mittente alla “centrale di inoltro” dell’operatore, che può essere in qualunque parte del mondo: da questa “centrale” le “carte” digitali vengono avviate a destinazione. Il computer del TAR o del Consiglio di Stato le riceve e, al proprio interno, le inoltra a destinazione, che varia secondo gli indirizzi digitali dati dal mittente – ad es., sezione e data di udienza per il deposito di documenti e memorie – o, in assenza di questi, come accade necessariamente per i ricorsi, in funzione della materia, identificata anch’essa digitalmente. È indispensabile ricordare che questi dati hanno la forma del numero, non delle lettere.

3. Un punto colpisce. Secondo la normativa oggi in vigore, dunque, la digitalizzazione e con essa la gestione telematica del processo amministrativo sembrano fermarsi alla prima porta, ovvero al primo livello che segue alla soppressione della carta. Anziché ricorsi, documenti, richieste di fissazione, memorie etc., tutti atti cartacei, alle segreterie arrivano file, costituiti da miliardi di numeri, in sostanza destinati ad essere ritrasformati in parole solo sui computer della segreteria e del giudice. Ma questa è una parte soltanto del processo amministrativo. Chiunque abbia qualche dimestichezza con il giudizio amministrativo sa bene quanti adempimenti lato sensu personali siano necessari e possano (e a volte debbano) essere decisi all’ultimo istante. Basti pensare alla fissazione delle udienze ed al loro svolgimento, vale a dire a quanto in esse può accadere: richieste istruttorie, di rinvio, cancellazioni dal ruolo, per non parlare della discussione orale. È certo un diritto dei difensori; non c’è alcuna regola che la disciplini. Solo la buona volontà di avvocati e presidenti riesce, ma non sempre, a raggiungere soluzioni equilibrate, sia nell’an, sia ratione temporis.
Sarebbe sanissimo se tutti, due o tre giorni prima dell’udienza, potessero sapere se si discuterà o non si discuterà. Questo è un frammento, tra tanti. Ma c’è una moltitudine di “passi” che si debbono fare, da parte di tutti, giudici e difensori, per giungere alla conclusione, la decisione della causa. Ad es., sarebbe molto utile se cause simili fossero decise simultaneamente. I presidenti cercano di farlo. Ma la piena conoscenza dei fatti e delle questioni di diritto – di tutti i fatti e di tutte le questioni di diritto – su un medesimo tema si può avere solo grazie ad un corretto ed attento uso del digitale. E, merita aggiungere, se tanto spazio è stato dato alle norme sull’introduzione del giudizio ed all’esercizio delle funzioni di segreteria, è legittimo chiedere che si giunga ad un equilibrato e progressivo intervento regolamentare, che utilizzi l’informatica avanzata per individuare e quindi riunire situazioni simili.

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4. Fin qui comunque non molto sub sole novi sotto il profilo del diritto sostanziale: riservatezza e invulnerabilità degli “oggetti” digitali – dal ricorso alla memoria, ai documenti, all’intero fascicolo – sono certamente ben garantite, ma lo stesso accadeva grazie ai boni mores. Il punto cruciale, che potrebbe essere quasi rivoluzionario, è un altro.
Da sempre, si può dire, le cause amministrative avevano – e tuttora quasi sempre hanno – una struttura apparentemente semplice, in realtà molto complessa. Si fondavano e fondano su tre punti ideali di riferimento, che, nella loro profonda diversità, si intersecano tra loro: e si intersecano, perché nessuno gode di piena autonomia rispetto agli altri. In ordine logico forse il primo punto di riferimento è la legge. È però intuitivo che senza un’azione amministrativa, certamente guidata dalla legge, ma che comunque esprime ed è un’azione diversa dalla legge, nessun ordine, nessuna disciplina può darsi.

1. Relazione al Convegno sul processo amministrativo digitale, tenutosi a Venezia il 24 giugno 2016

A sua volta, un’azione amministrativa senza una legge sarebbe – come spesso è stata nella storia – un puro strumento di potere, inconcepibile in un sistema giuridico di diritto pubblico. Il terzo punto di riferimento è poi il cittadino. Senza esseri umani, aventi il diritto di ricorrere al giudice contro la pubblica amministrazione, invocando la legge; senza altri essere umani, lesi dalle iniziative giudiziarie dei primi, e quindi legittimati ad opporsi loro; mai ci sarebbe spazio per problemi di giustizia nei rapporti tra Stato e cittadini nel senso moderno del termine.
Tutto ciò, che per comodità potremmo chiamare corpus della giustizia amministrativa, non è un “blocco” informe che raccoglie alcune decine di migliaia di ricorsi all’anno. Fatta forse eccezione per qualche minimo TAR in cui c’è un’unica sezione, tutti gli altri TAR ed il Consiglio di Stato sono articolati in sezioni e sottosezioni, alle quali i ricorsi dei cittadini e delle imprese vengono affidati ratione materiae. Una promiscuità di materie si trova quasi soltanto per i ricorsi rivolti contro gli enti locali. In altri termini: nei fatti esiste una continuità, per materie, tra ricorrente e sezione del giudice amministrativi.
Per quanto qui rileva, questo ha un significato fortissimo. Nei fatti, tra ricorrenti e giudici amministrativi c’è una continuità. Essa è affidata alla materia di cui si tratta. Chiunque  sia il ricorrente, nella materia A giudice sarà la sez. XX; e la sez. XX non riceverà in carico materie diverse da A. Come è accaduto qualche volta, l’abbandono di questo criterio è stato molto mal visto.

5. Si è osservato qui sopra come la digitalizzazione sia il “linguaggio” con il quale vengono identificate tutte le componenti del ricorso, dai fatti da cui nasce ai motivi su cui si fonda. Nel linguaggio fondato sulle parole esse spesso hanno più di un significato, ciascuno dei quali quasi sempre ben definito con riferimento al contesto in cui si colloca, ma solo ad esso. Si pensi alla parola “casa”. Può essere un edificio o parte di un edificio, nel quale prevalentemente si vive. Ma può avere un valore simbolico: sentirsi a casa, fuggire da casa, stare come a casa, ad es.. “Alloggio” può esserne l’equivalente, in chiave più burocratica (ad es. alloggio di servizio).
Il linguaggio numerico è infinitamente più preciso. Per “casa” come edificio si usa una stringa; un’altra per il significato di parte di edificio; altre ancora per i valori simbolici della parola. In altri termini, ogni parola, ogni significato, come qualsiasi fenomeno fisico, può avere una stringa digitale, che definisce univocamente quel fenomeno, e nessun altro.
La componente cruciale delle riflessioni che si vanno svolgendo è che questo valore racchiuso in una stringa numerica può essere impiegato in mille modi. Per quanto qui rileva, merita considerare la possibilità di usarla come raffronto, come parametro di riferimento rispetto ad altri fenomeni simili. Si pensi a “casa”, nel senso di alloggio. Se c’è una lottizzazione di 99 alloggi, fatta di 3 blocchi di alloggi uguali, tre stringhe sono sufficienti per definire le componenti di ciascun blocco. Con la stessa logica, la stringa relativa ad un fenomeno può essere utilizzata per confronti ed in generale per qualsiasi genere di valutazioni quantitative: maggiore, minore, uguale, non “migliore” o “peggiore”, né “bello” o “brutto”, “buono” o “cattivo”.

6. Per il tema che qui si va discutendo, la possibilità di ricorrere a stringhe numeriche per identificare il fatto da parte – e, con il fatto, del diritto – ha un significato preciso.
Tutti sanno che l’opera del giudice è difficile. Nel contraddittorio tra le parti deve rendere una pronuncia in diritto. Questo diritto non può essere frutto del suo arbitrio o della sua fantasia. Pur senza essere vincolato ex lege ai precedenti, deve mantenere una continuità dell’ordinamento, certo seguendolo nelle sue trasformazioni, ma seguendo anche un filo conduttore, una linea di condotta senza rotture, senza strappi. In questo quadro, la conoscenza dei c.d. precedenti giurisprudenziali svolge un ruolo di grande rilievo. Essi esprimono l’evoluzione della giurisprudenza, ovvero, la trasformazione del senso del diritto e della società, guidata dalla magistratura.
Salvi rari casi, nella giurisprudenza si rinvengono sempre precedenti, cioè casi in cui altri giudici si sono pronunciati come loro colleghi devono fare, un po’ di tempo dopo, in altre situazioni, ma nello stesso ordinamento. Nei precedenti insomma si cerca sempre una regula iuris, non potendo il fatto essere altro che se stesso.
Il punto cruciale di questo percorso del giudice è molto preciso. Si cerca nella giurisprudenza il diritto di ieri al quale agganciarsi oggi. Sennonché ciò che il giudice di oggi trova nella giurisprudenza non è necessariamente una decisione su casi simili a quello su cui occorre pronunciarsi. Per essere simili dovrebbero avere a loro fondamento un fatto altrettanto simile. Come è ovvio, questo potrebbe essere fatto cercando, trovando e leggendo sentenze che abbiano, appunto, pronunciato su situazioni simili. Ma questo è quasi impossibile. Le sentenze sono innumerevoli, tante da rendere difficile, difficilissima qualsiasi ricerca che voglia avere conoscenza del fatto sul quale si è pronunciato. Tanto è vero questo che, per ovviare al peso di questi numeri di sentenze che occorre studiare, da lunghissimo tempo noi abbiamo il punto di riferimento della giurisprudenza dalle sentenze alle c.d. massime delle sentenze: massime che ignorano il fatto, per enunciare un principio   di diritto.
Questo ha un effetto preciso. Il diritto viene separato dal fatto; chiunque si sente in diritto di invocare la massima di una sentenza, a fondamento della sua pretesa.

7. Vi è dunque una precisa esigenza con cui una giustizia più efficiente – più “vera”, si potrebbe dire – deve misurarsi. È trovare il precedente, o i precedenti giurisprudenziali “veri”, cioè le sentenze pronunciate in una situazione di fatto, realmente analoga a quella per cui è causa.
Ebbene, le stringhe digitali sono oggi lo strumento ideale per questo tipo di indagini. Nel volgere di pochi secondi un computer di adeguata potenza può dotarsi di stringhe che rappresentino il fatto rilevante di una controversia, e confrontarle con quelle della giurisprudenza precedente. In un attimo si può sapere quale era la situazione di fatto di una sentenza, che appare rilevante per il giudizio in corso.
Questo processo di identificazione non è un fatto banale. Proprio in quanto linguaggio in formato numerico, esso può essere strumento di qualsiasi analisi da parte del giudice, che, ovviamente, si esaurisca in un riconoscimento o non riconoscimento. Può mirare a definire con precisione tutti gli elementi di cui il “fatto” si compone, e, quindi, a verificare la presenza di “stringhe” già note. Si può cercare la presenza di altre stringhe, che esprimono un significato, agevolmente ricostruibile. Può dunque darsi che, come accade nella vita reale, vi siano situazioni simili, il cui nocciolo comune può essere identificato grazie all’applicazione di qualche algoritmo.
Non vi è in ciò nulla di originale e men che mai di nuovo. Nuovo può essere ciò che si potrebbe fare grazie a questi strumenti digitali di identificazione parziale o totale. Ci si potrebbe trovare di fronte ad una successione di stringhe numeriche identiche, legate a stringhe diverse. Le stringhe identiche sono identiche, siano esse cinque, dieci o diecimila. Appare dunque evidente che se in n ricorsi la lettura del testo digitale trova k stringhe uguali, questo ha un significato preciso: i ricorsi che contengono k non possono che essere decisi uniformemente sul motivo, sulla questione k.

Ma questo ragionamento può essere esteso e generalizzato. Il motivo k ricorre. Lo si trova in forma di stringa numerica ad es. nel 25% delle cause. Per quale motivo non dovrebbe essere deciso nello stesso modo e simultaneamente in tutte le cause sul ruolo?
Ora è ben noto che la giurisprudenza di tutti i giudici è attentamente studiata dagli avvocati e dagli altri giudici. Essa si esprime in forma lato sensu discorsiva, nel senso che dalla lettura e dallo studio degli atti emerge – o si può ricavare  – il principio di diritto cui il giudice si attenuto. Le sentenze della Corte di Cassazione lo devono enunciare.
In questo modo certamente si propone uno strumento di nomofilachia. Ma è uno strumento di secondo grado, indiretto e astratto. Un essere umano lo trae da ciò che esso stesso ha fatto – la sua sentenza, o da ciò che viene proposto al suo esame, alla sua valutazione.
Questa però non è la lettura e l’interpretazione dei fatti che ha guidato il giudice verso l’interpretazione – ovvero il significato – che ha ritenuto di dare alla legge in relazione a certe circostanze. È una sorta di astrazione. Non è un caso che si leggano decine di sentenza che affermano un principio e che, ciò nonostante, la gente continui a proporre ricorsi, fondati su motivi ampiamente ritenuti infondati.
È dunque ragionevole pensare che, al di là di tutte le complicate prescrizioni dettate ai soli, rilevantissimi fini di garantire la segretezza e l’inviolabilità di atti e documenti delle parti prima del momento in cui ad essi si può accedere, si possa aprire una stagione di profonda innovazione, dovuta all’uso di strumenti digitali.
Questa innovazione potrebbe consiste nella possibilità di accedere alle vere, reali ragioni,  legate ai fatti veri, per cui si è deciso. Grazie al digitale, infatti, si potrebbe accedere alla struttura essenziale – digitale – di una certa situazione, A; assunta questa come parametro, si potrebbe agevolmente verificare se il criterio seguito per A è identico a quello seguito per B, che ha la stessa struttura di A. Questo potrebbe essere fatto un numero n di volte, simultaneamente.
Ne può nascere un autentico ordo novus.