Leggi di stabilità, sperimentalismo legislativo e riformismo liquido-moderno: piccole note in laude del ruolo del diritto vivente e della tradizione nei processi di decisione politica

Nulla più dell’esame analitico delle leggi di stabilità rende persuasi del divario esistente fra ius e lex nel tempo presente, che potremmo definire il tempo dell’avvento del diritto liquido moderno.
La lex è ormai perduta nella trama delle scelte occasionali di un riformismo perenne e sempre più estenuato.
Lo ius, elaborato dall’opera della giurisprudenza, è costretto alla rincorsa dei mutamenti della lex, alla via d’uscita dei principi sempre incerti e sdrucciolevoli, con il risultato di un interventismo dei giudici sempre più onnipervasivo, chiamato a riempire gli spazi vuoti più che ad edificare un sistema che appare sempre più come idea regolativa che come realtà sottostante lo ius positum.
La lex poi celebra se stessa, una volta all’anno, con l’uscita in Gazzetta Ufficiale della legge di stabilità.
Un vero profluvio di disposizioni e di parole aventi significato normativo.
Un’inondazione annuale di norme sulle nostre vite a fronte della quale viene spontaneo – anche ironicamente – chiedere una tregua[1].
La legge di stabilità – nelle sue dimensioni mostruose – viene sempre data per moritura ma risorge sempre perché è una tentazione troppo forte per la politica : è il ricorrente tentativo di provare a gestire la crisi che stiamo attraversando.
Le leggi di stabilità degli ultimi anni andrebbero analizzate, sul piano tecnico, sotto due profili:
1)      La tecnica normativa; 2) la direzione delle politiche economiche perseguite.
Sotto il primo profilo emerge l’estrema eterogeneità ed occasionalità delle disposizioni che danno origine a testi di difficile lettura ed interpretazione.
Sotto il secondo profilo emerge la contingenza estrema delle scelte anticrisi, che oscillano fra ossequio alle politiche di austerità e necessità di recupero del consenso indispensabile al funzionamento di ogni sistema democratico.
Solo a titolo di esempio si ricordi che la legge di Stabilità per l’anno 2016 prevede, in particolare, misure che si focalizzano sulle pensioni (part-time con contributi figurativi pieni, settima salvaguardia esodati ed estensione della Opzione Donna per tutto il 2015), IMU-TASI (abolizione imposta sulla prima casa, sui terreni agricoli e sugli imbullonati), sgravi IRAP agricola, taglio IRES (una prima riduzione per le imprese nel 2016 ed un secondo sgravio nel 2017), rinnovo (a budget dimezzato) delle assunzioni agevolate a tempo indeterminato (decontribuzione per i datori di lavoro), innalzamento del tetto al contante (da mille a tremila euro), sconti fiscali legati al salario di produttività.
Nella manovra economica 2015, invece, spiccavano: taglio del cuneo fiscale (costo del lavoro) per imprese (sgravi IRAP sulla componente lavoro) e dipendenti (Bonus IRPEF in busta paga da 80 euro), la possibilità di anticipo del TFR, le assunzioni agevolate con azzeramento per tre anni dei contributi sui nuovi contratti a tempo indeterminato, numerose novità in materia di IVA.
Difficile individuare una trama ed una logica unitaria in interventi così disparati. Alla fine si può affermare che la particolarità delle leggi di stabilità come, in precedenza, delle leggi finanziarie risiede nell’eterogeneità del loro contenuto.
Sono poi talvolta previste spese e interventi economici che possono essere del tutto temporanei e validi solo per l’anno considerato o che invece costituiscono la riproposizione di misure adottate in precedenza e riadottate nei successivi anni, divenendo una sorta di intervento economico a regime (è il noto caso delle agevolazioni fiscali previste per chi effettua interventi di ristrutturazione di immobili con finalità ecologiche).
Sempre con la legge di stabilità il Governo in diverse occasioni rimodula l’effetto di precedenti riforme dopo aver valutato sia il gradimento da parte dei cittadini che la reale efficacia che il singolo intervento ha avuto sulle entrate dello Stato.
Si tratta di legislazione sperimentale.
E’ il caso, ad esempio della riforma di alcuni anni fa sulla tassazione degli immobili di proprietà che nel corso di questi anni ha subito diverse modifiche proprio a seguito di previsioni nella legge di stabilità. Quest’anno, ad esempio, con un primo gruppo di norme si provvede al complessivo riassetto delle agevolazioni per i terreni agricoli, prevedendo specifiche esenzioni. Nel corso dell’esame parlamentare, poi, sono state introdotte la riduzione del cinquanta per cento della base imponibile IMU (in luogo dell’esenzione, introdotta al Senato) per gli immobili dati in comodato d’uso a figli o genitori; l’estensione del principio di sostituzione imposte immobiliari/IRPEF anche con riferimento alle imposte immobiliari istituite dalle province autonome. Si elimina la TASI sull’abitazione principale (ad eccezione degli immobili di pregio), anche nell’ipotesi in cui è il detentore a destinare l’immobile ad abitazione principale. Si dispone un’aliquota ridotta per gli immobili-merce. Si estende l’esenzione per la prima casa all’imposta sugli immobili all’estero – IVIE. Sono inoltre esentate da IMU le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa destinate a studenti universitari soci assegnatari, anche in deroga al requisito della residenza anagrafica.
Vi sono poi casi in cui la legge di stabilità prevede interventi mirati su alcune categorie di cittadini particolarmente colpiti da recenti riforme, che forse troppo velocemente hanno mutato il quadro legislativo vigente, ponendo in essere problematiche assai importanti sotto il profilo della coesione sociale.
E’ il caso ad esempio delle spese in materia pensionistica: troviamo infatti la c.d. opzione donna (160 milioni per il 2016, che poi salgono a 405 e 757 milioni nei due anni successivi), per le lavoratrici che intendano lasciare il lavoro con 35 anni contributivi con una decurtazione della pensione, cui si aggiungono gli interventi in favore di alcune fasce di soggetti prossimi al pensionamento, ad esempio con riguardo ai c.d. esodati, nonché con riguardo a quella volta a favorire il ricambio generazionale mediante l’utilizzo del part time.
Tali interventi sembrano, per lo più, avere il significato di sanare situazioni ormai di emergenza, rivelando tuttavia sempre di più come improrogabile la necessità che il legislatore intervenga con una riforma, prevedendo norme a regime e la previsione di un corretto reperimento delle risorse economiche.
Si pensi ad esempio al tema del disagio sociale: si segnalano altresì interventi diversi in materia, mediante tra l’altro l’istituzione del Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale (600 milioni nel 2016 ed 1 miliardo dal 2017), nonché del Fondo per le non autosufficienze e prive di legami familiari di primo grado (90 milioni dal 2016). Ulteriori misure riguardano “esigenze indifferibili”, tra cui: la spesa di 300 milioni annui per i rinnovi contrattuali del pubblico impiego, nonché la spesa di complessivi 300 milioni per interventi nella “Terra dei fuochi”.
Si adotta con estrema facilità il termine riforma: l’uso ridondante del termine da parte dei mass media, ha certamente contribuito a far perdere di vista quale sia il senso del significato storico e letterale di tale termine. Riforma è termine che indica storicamente il movimento protestante promosso da Lutero nel XVI sec., che, staccandosi dalla dottrina della Chiesa cattolica, auspicava il ritorno ai valori originari delle Sacre Scritture, con particolare attenzione ai temi della grazia e del rapporto personale tra il fedele e Dio, e sosteneva l’uso della lingua nazionale, anziché del latino, nella liturgia; tale movimento ha suscitato analoga spinta riformatrice all’interno della Chiesa cattolica, per il suo rinnovamento spirituale, nei primi decenni del XVI sec.

Il termine dal terreno religioso è poi passato al terreno politico per designare la volontà di dare nuova forma a regole ed istituzioni per migliorare la società.
Il riformismo anglossassone ad es. ha avuto la sua espressione paradigmatica con Margareth Thatcher, la cui opera assume una valenza del tutto particolare, anche per il diverso ruolo assunto dal precedente nel paese anglosassone (per il valore che la tradizione assume nei paesi di common law).
La prassi riformatrice conosce aspre disillusioni e l’Italia, nel tempo del cambiamento, è bene che assuma un atteggiamento realistico sulla portata e sugli effetti dei cambiamenti attesi.
L’idea nella percezione comune è che si possa ottenere subito un cambiamento, si possa modificare repentinamente qualsiasi settore, qualsiasi istituzione, qualsiasi procedura. A tale atteggiamento si accompagna la convinzione di dover abbandonare ciò che è stato acquisito nel passato discostandosene completamente, perché solo così si potranno avere benefici.
Tale atteggiamento è stato criticato con notevoli argomenti da Roger Scruton nel suo interessante libro Essere conservatore[2].
Le istituzioni non si lasciano cambiare così facilmente.
E talvolta questo è anche un bene.
L’immobilismo, la paura di affrontare cambiamenti, dovuto alle più diverse cause, fenomeno certamente deprecabile, infatti viene talvolta soppiantato da una sorta di religione del riformismo, dal cambiamento rapidissimo imposto solo dalle ragioni (smemorate) del presente.
Dal sistema inclusivo tipico dell’Europa del primo novecento, in cui tutte le istanze sociali dovevano essere tenute in considerazione e garantite, e per questo le persone credevano nelle diverse organizzazioni del pluralismo istituzionale pubblico e privato, si sta passando ad un sistema in cui tutte le esigenze vengono comunicate attraverso una frenetica attività dei media.
Si fa più rarefatto il bilanciamento dei valori in gioco realizzato mediante la competenza degli enti intermedi e delle formazioni sociali che possano valutare la riforma richiesta e decidere cosa prendere dal passato e come trasformarlo.
Andrebbe anche messa al centro di ogni disciplina la questione della transizione da uno stato all’altro del sistema sociale.
Miglioramento e gradualità sono locuzioni che non cancellano il dato esperienziale, il valore della tradizione.
Ciò che è stato prima, ciò che è stato raggiunto dovrebbe essere sempre considerato al centro di ogni processo riformatore; la ponderata considerazione di ciò che è già successo dovrebbe accompagnare ogni tentativo di riforma, quale che ne sia l’ispirazione : nel nostro paese abbiamo avuto il riformismo liberale, poi quello liberal – democratico, dopo la parentesi del fascismo, quello cattolico-popolare e quello socialista e, da ultimo, quello di stampo tecnocratico e quello democratico-populistico. La velocità dei cambiamenti in atto è indiscutibile, imposta anche dalla realtà, ma comporta un rischio che deve essere sempre considerato.
Nell’opera di bilanciamento è opportuno, quindi, guardare al passato non solo per non stravolgerne i risultati raggiunti, ma per apprenderne i valori etici prima che giuridici.
L’ “esperienza” del diritto vivente assume certamente un importante il valore di importante punto di partenza per le opzioni di modifica che si intendono intraprendere. Ed è proprio questa la chiave di lettura per capire il vero significato del termine riformare : formare di nuovo, costruire su ciò che già abbiamo acquisito dall’esperienza del passato, anche optando per soluzioni che se ne distanzino anche in modo evidente, ma sempre con il giusto grado di consapevolezza.
Le direzioni di marcia possono essere diverse e sono tutte oggetto del dibattito politico: il continuo bilanciamento fra ragioni del passato e ragioni del presente può assumersi come condizione di sicuro successo di ogni tentativo di riforma che voglia essere degno di questo nome e aspiri a durare più dello spazio di un mattino.

Note

1.  G. TREMONTI: “ L’eccesso di leggi, nel loro aggregato complesso difficili o impossibili da conoscere e da rispettare, nega in realtà la stessa ragione d’essere della legislazione. Oltre un certo limite, il rapporto tra quantità di leggi e certezza del diritto diventa infatti negativo: una maggiore quantità di leggi non produce maggiore certezza, ma maggiore incertezza del diritto. Tante leggi, nessuna legge. Come per legge di natura, sotto gli effetti dell’orgia legislativa, ogni ordinamento tende in specie a perdere di sistematicità, bloccandosi nel particolarismo casistico e in processi di tipo paralysis by analysis. Alla fine, il diritto si trasforma in rovescio, l’effetto finale è il caos” in Lo Stato criminogeno Laterza, Maggio 1997, pag. 63.

2.  Roger Vernon Scruton, Essere Conservatore, D’Ettoris edizioni, 2015.