Débat public all’italiana, ovvero come mutuare nozioni senza innovare comportamenti

1. Con l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del 3 marzo scorso del disegno di legge, contenente il nuovo codice degli appalti pubblici, il Governo sembra intenzionato[1] a rispettare il termine del 18 aprile 2016 per adempiere ad entrambe le deleghe conferite dalla l. 18 gennaio 2016, n. 16: la prima per il recepimento delle tre direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, la seconda, per il riordino, la semplificazione e la razionalizzazione della vigente disciplina in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture[2].
Tra le novità annunciate del testo normativo in itinere, quella prevista dall’art. 22[3], che, in attuazione dell’art. 1, comma qqq) della legge delega,[4] disciplina “la trasparenza e la partecipazione dei portatori di interessi alle procedure di approvazione delle opere di maggiore impatto”.
La disposizione vuole introdurre, nel nostro sistema decisionale pubblico, una forma di “dibattito pubblico”, sul modello del «débat public» francese.
Che questo sia il modello, al quale il legislatore italiano si è voluto ispirare, vien detto espressamente nella relazione al disegno di legge n. 1845, d’iniziativa dei senatori Esposito, Borioli e Vaccari, avente ad oggetto “norme per la consultazione e la partecipazione in materia di localizzazione e realizzazione di infrastrutture e opere pubbliche” e comunicato alla Presidenza del Senato il 26 marzo 2015. La relazione esprime pure un giudizio incondizionatamente positivo sull’esperienza d’oltralpe. Il débat public avrebbe dato prova di sapere “superare momenti di conflitto, talora strumentale, tra le parti, conducendo ad esiti il più possibile costruttivi”. Si tratterebbe di un “dispositivo partecipativo solido, luogo istituzionale ideale, nel quale i soggetti in qualche modo coinvolti nella decisione finale si confrontano per selezionare le opzioni che meglio soddisfano le finalità pubbliche nel senso più alto e più ampio dell’espressione”. Insomma, si legge sempre nella relazione, il dibattito pubblico favorirebbe il superamento della conflittualità e la riduzione dei tempi nella realizzazione delle grandi opere infrastrutturali e con queste finalità se ne auspica l’introduzione nel nostro ordinamento.
Merita allora qualche riflessione aggiornata la situazione del paese al quale ci si è ispirati: la Francia.

2. In Francia, il «débat public» è stato introdotto con la legge Barnier del 1995. L’istituto, ripetutamente modificato (anche dalla legge detta «democrazia di prossimità» adottata nel 2002), è ora disciplinato dalla Section 3, del Code de l’environnement.
Si tratta di un’articolata procedura di informazione del «pubblico» e «partecipazione» dello stesso in occasione della realizzazione di grandi progetti pubblici.
Il «débat public» è strettamente correlato all’«enquéte public» con la quale si conclude il procedimento di approvazione di un’opera (dichiarazione di pubblica utilità/espropriazione).
Dal confronto tra gli artt. L 121-8/15 del Code de l’environnement e l’art. 22 del ddl approvato il 3 marzo scorso emergono notevoli affinità, insieme a qualche differenza. Peraltro non è chiaro se la disciplina del dibattito pubblico italiano stia tutta in questa stringata disposizione del codice appalti. Molto più articolata è infatti la disciplina contenuta nel già citato ddl. n. 1845.
Nella procedura del «débat public» francese, un ruolo centrale è assegnato alla Commission national du débat public (CNDP), autorità amministrativa indipendente disciplinata a sua volta dalla Section 1 e Section 2, dello stesso Code[5].
Anche il ddl all’esame del Senato prevede l’istituzione di una commissione nazionale, organismo indipendente composto di sette membri e collocato presso il Ministero dell’ambiente ed affida a questo compiti di garanzia del corretto svolgimento del dibattito pubblico.
L’art. 22 del ddl. appalti sembra escludere la creazione di una struttura, comunque denominata, investita del compito istituzionale di presiedere alle procedure di dibattito pubblico. Il dibattito pubblico è piuttosto una fase del procedimento di approvazione di un progetto. Questa fase dovrebbe necessariamente contemplare: la pubblicazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica e degli altri documenti relativi all’opera sul sito internet del soggetto proponente; la raccolta di osservazioni inviate on-line; lo svolgimento di dibattiti pubblici sul territorio interessato; la pubblicazione sul sito internet dei risultati delle consultazioni. Per quanto non previsto dalla legge, le modalità del dibattito sarebbero di volta in volta stabilite nell’ambito di una conferenza di servizi, convocata su iniziativa dell’ente o dell’amministrazione aggiudicatrice proponente l’opera, sottoposta a dibattito pubblico. Alla conferenza sarebbero ammessi a partecipare enti, amministrazioni interessate e comitati di cittadini, i quali abbiano segnalato agli enti locali territoriali il loro interesse.
Nell’individuazione delle opere, obbligatoriamente soggette alla procedura, le disposizioni del Code francese sono molto più analitiche.
Il Conseil d’Etat, per decreto, individua la natura, le caratteristiche tecniche, il costo minimo delle opere, i cui progetti devono necessariamente essere sottoposti alla Commission nationale du débat public. Ogni altro progetto, che presenti le medesime caratteristiche tecniche, ma per il quale sia previsto un costo inferiore, deve essere reso pubblico dal suo promotore. Questi deve comunque indicare gli obiettivi e le caratteristiche essenziali del progetto, le ragioni per le quali ha deciso di sottoporlo o non alla Commission, le modalità della consultazione, che si impegna a seguire nel secondo caso. La decisione di sottoporre un progetto alla Commission può comunque essere adottata da dieci parlamentari, da un consiglio regionale, dipartimentale o municipale. Caso per caso, con decisione immediatamente impugnabile in sede giurisdizionale, la Commission nationale valuta se sottoporre o non un progetto a dibattito pubblico e le modalità di questo.
L’art. 22 sancisce la obbligatorietà del dibattito pubblico “per le grandi opere infrastrutturali aventi impatto rilevante sull’ambiente, sulle città e sull’assetto del territorio, individuate per tipologia e soglie dimensionali con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, su proposta del Consiglio superiore dei lavori pubblici”. I progetti, che hanno ad oggetto solo opere di “architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull’ambiente, la città o sugli assetti del territorio” sono soggetti invece ad un obbligo di mera consultazione pubblica, ai sensi del comma 1, dell’art. 22.
Nell’individuazione delle opere da sottoporre a dibattito, è riscontrabile qualche incoerenza tra l’art. 1 comma qqq) della legge delega 16/2016 e la disciplina di attuazione. La delega prevede che siano soggetti a dibattito pubblico non solo i progetti infrastrutturali, ma ogni «realizzazione di grandi opere infrastrutturali e di architettura sociale aventi impatto sull’ambiente, la città o sull’assetto del territorio». L’art. 22 del disegno di legge non scioglie l’ambiguità delle definizioni già contenute nella delega: architettura e non edilizia, per di più si dice «architettura sociale» (cosa si intende?; attrezzature destinate al sociale? Ospedali, scuole, edifici di culto, ecc.), città o assetto del territorio. L’impiego di locuzioni di significato tutt’altro che univoco renderà ardua l’opera dell’interprete.

Inoltre introduce la distinzione, sopra segnalata, tra grandi opere infrastrutturali ed opere di architettura di rilevanza sociale, che andrebbe chiarita. Così come sarebbe probabilmente opportuno rimettere la decisione se adottare o meno la procedura di dibattito pubblico ad un terzo imparziale, laddove il comma 3 dell’art. 22 l’assegna al proponente l’opera, il quale all’uopo convoca una conferenza di servizi per definire le modalità del dibattito. Un’ulteriore conseguenza è che il dissenso, rispetto alla decisione di non indire il dibattito, potrebbe emergere solo in sede di impugnazione del rilascio dell’autorizzazione. In questa fase, però, l’eventuale decisione di annullamento, motivata dalla mancata sottoposizione a dibattito pubblico, avrebbe l’effetto di travolgere l’intera procedura già svolta.
Comune alla disciplina francese e a quella italiana, la previsione che gli esiti del dibattito pubblico debbano trovare risposta nella predisposizione del «progetto definitivo» (preliminare, definitivo ed esecutivo sono i tre «momenti» tipici della progettazione).
Il ddl appalti, nell’art. 23 mantiene dunque la tripartizione (progetto preliminare, definitivo ed esecutivo) che però è profondamente modificata: il primo livello della progettazione unifica nel «progetto di fattibilità tecnica ed economica» lo studio di fattibilità (non obbligatorio in precedenza per poter inserire un’opera del Programma Triennale delle Opere Pubbliche), il documento di progetto ed il progetto preliminare.
La realizzabilità di questa previsione non sarà facile sia sotto il profilo tecnico, che economico ed amministrativo. Sotto il profilo tecnico, uno studio di fattibilità è sempre possibile e necessario? In particolare, lo è per le opere «puntuali» la cui localizzazione è già decisa dai piani territoriali ed urbanistici è oggetto al rispetto di rigidi standard funzionali ed edilizi?
Quanto agli “esiti” del dibattito pubblico, che devono trovare risposta nel progetto definitivo, questi di che natura sono? Solo gli esiti tecnici o anche quelli sociali ed economici? E questi secondi, possono rientrare nel dominio di un progetto tecnico? Ci si riferisce sia alle cosiddette «compensazioni» esterne all’opera che alle modifiche accettate del progetto iniziale, con conseguenze sui costi e quindi sulla allocazione della spesa pubblica. Il discostamento tra previsione di spesa e spesa effettiva può essere – come l’esperienza nostra – molto rilevante. Spesso tale da far ritenere necessario un nuovo processo decisionale.

3. Mentre il nostro legislatore si accinge ad introdurre nell’ordinamento italiano il dibattito pubblico, in Francia sta maturando un notevole scetticismo nella capacità di questo strumento di coagulare il consenso o di superare il dissenso alla realizzazione delle opere di rilevante impatto ambientale e sociale.
Tre «casi» soprattutto sono al centro della riflessione: la costruzione del nuovo aeroporto dal Grande Ovest a Nantes in località Notre – Dame des – Landes; il trasferimento verso il deposito unico nazionale del materiale radioattivo stoccato negli attuali depositi; la costruzione della diga di Sivens.
La costruzione di queste opere è fortemente avversata da parte delle popolazioni locali, che, in alcuni casi da anni ne impediscono la realizzazione, anche se il processo per il rilascio delle autorizzazioni è pressoché ultimato. Non sembra che lo svolgimento del débat public abbia contribuito a risolvere i contrasti, sfociati in occupazione dei siti e manifestazioni di piazza. Nel caso della costruzione della diga di Sivens, durante le proteste si è registrata la morte di un manifestante per un colpo di arma da fuoco sparato da un poliziotto.
La vicenda più lunga, ed ancora dibattuta proprio in questi giorni in Francia nei suoi più recenti sviluppi, riguarda il progetto dell’aeroporto di Notre –Dame-des-Landes, che risale agli anni ’60, quando ancora volava il Concorde. Nel 1965, il Prefetto della regione di Loire-Atlantique lanciò la ricerca di un sito per la costruzione di un nuovo aeroporto, che avrebbe dovuto sostituire quello situato a sud di Nantes, favorire lo sviluppo delle città della regione e alleggerire il traffico dell’aeroporto di Parigi. Nel 1967, la zona di Notre-Dame-des-Landes venne giudicata la più interessante perché facilmente accessibile. Nel 1974, per decisione del Prefetto, fu creata una “zone d’aménagement différée” (ZAD), al fine di acquisire le terre occupate in vista della realizzazione del progetto. Gli oppositori del progetto, già organizzati nell’Association de défense des exploitants concernés par l’aéroport (Adeca) si appropriarono rapidamente della sigla ZAD, utilizzata invece come acronimo di “zone a défandre”. Il 26 ottobre 2000, dopo anni di discussioni, il primo Ministro Lionel Jospin confermò la realizzazione dell’aeroporto. Prese avvio il “débat public”, che andò avanti fino al 2003, senza però realizzare alcun consenso. Gli oppositori al progetto iniziarono ad organizzare mobilitazioni. Dopo l’emanazione della declaration d’utilité publique (DUP) nel 2008, nel 2011 il gruppo industriale Vinci ottenne l’aggiudicazione della gara per la costruzione e la gestione del futuro aeroporto. Nel mentre si moltiplicavano gli appelli a mantenere l’occupazione della zona dei futuri lavori, iniziata già nel 2008, e gli agricoltori si rifiutavano di abbandonare le loro terre. Nell’ottobre 2012, le autorità decisero di espellere dalla ZAD gli occupanti. Più di mille poliziotti e gendarmi furono impegnati sul posto per diverse settimane. Gli scontri violenti attirarono l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica sul progetto. Nel novembre 2012, una manifestazione organizzata a Nantes si concluse con violenti scontri tra le forse dell’ordine ed i manifestanti. Le operazioni di espulsione furono sospese e venne costituita una “commission de dialogue”.
Arriviamo così ai tempi più recenti. Il 18 ottobre 2013 il Conseil d’Etat ha respinto il ricorso proposto dal comitato contro la dichiarazione di pubblica utilità: i motivi proposti dai ricorrenti «ne font pas état de changement des circonstances de fait, mais seulement de divergences d’appréciation sur les études réalisées antérieurement». Quattro mesi più tardi, un’imponente manifestazione ha avuto luogo a Nantes e si è conclusa con nuovi scontri tra la polizia ed i manifestanti. Nell’estate 2015, la Court de cassation ha respinto i ricorsi proposti da diversi proprietari contro l’espropriazione ed il Tribunale di Nantes ha rigettato a sua volta i ricorsi contro le decisioni di autorizzazione all’inizio dei lavori. Il 30 ottobre 2015, la prefettura di Loire-Atlantique ha annunciato la ripresa dei lavori per il 2016. Il gruppo concessionario ha ripreso le procedure di espulsione contro gli occupanti “storici” che rifiutano di cedere le loro terre.
Il 25 gennaio 2016, il Tribunal de grande instance di Nantes ha convalidato tutte le procedure di espulsione, ordinando che queste si concludano entro due mesi.
A seguito di nuove manifestazioni di protesta, che si sono svolte anche mentre il Tribunal era riunito per decidere, l’11 febbraio scorso il Presidente Hollande ha annunciato che il progetto sarà (o meglio dovrebbe) essere sottoposto a referendum, con buona pace della capacità del dibattito pubblico di dirimere i contrasti, ma anche con uno stravolgimento del senso di ogni valutazione ambientale. Lo stesso annuncio è stato dato dal nuovo “Ministre du Logement e de l’Habitat durable”, nominata lo stesso giorno.
La deriva, alla quale si sta arrivando nel caso di Notre-Dame-des-Landes, non è priva di aspetti quasi «umoristici».
Recentemente un consigliere regionale EELV della Regione Bretagne e Pays de la Loire sosteneva che per essere “seri e legittimi, un referendum deve rispettare delle regole. Per questo bisogna organizzare un débat public”.
Quando la Francia (1976) introdusse in forma esplicita e prima ancora della CE/UE (1985), la procedura di valutazione d’impatto ambientale, l’allora ministro dell’ambiente prese il solenne impegno che mai e poi mai lo studio di impatto ambientale sul quale si basa la considerazione dell’ambiente («prise en compte») equivalente al nostro «giudizio di compatibilità ambientale», sarebbe stato oggetto di referendum. Evidentemente non è più così. Nel frattempo l’autorevolezza della pubblica amministrazione è evidentemente venuta meno.

Sembra passato il tempo di quel sindaco che, di ritorno da una conferenza decisoria sul tracciato della ferrovia ad alta velocità e contrastato dai suoi cittadini per aver espresso parere favorevole, disse: «lo Stato me lo ha chiesto».
L’aspetto «umoristico» della decisione di Hollande è rappresentato dal fatto che oggi che si sta avviando la procedura per il referendum, non si è in grado di definire il «perimetro» del territorio/popolazione che si deve esprimere (Monde del 11.02.2016, Monde del 14.02.2016, Monde 16.02.2016, Monde del 17.02.2016, Monde del 3.03.2016) né tantomeno quale autorità dovrebbe indirlo: la Regione Loire – Atlantique si dichiara incompetente e i dipartimenti (uno o più di uno interessati), non lo sono istituzionalmente!
Qualcuno propone le regioni della Bretagna e dei Pays de la Loire insieme. Altri che il territorio coincida con quello di chi partecipa al finanziamento dell’opera oltre quattro dipartimenti limitrofi a quello sede del nuovo aeroporto (Monde, 19.02.2016).
Ma c’è anche chi a seguito della riforma costituzionale del 2003 che ha reso possibili i referendum locali indetti dai dipartimenti su un campo di loro competenza, ritiene che nel caso non vi sarebbero queste condizioni. La dichiarazione di pubblica utilità (9 gennaio 2008) e la convenzione per la concessione (con l’impresa Vinci) sono atti adottati dallo Stato.
Quindi, è lo Stato che deve decidere il perimetro della consultazione.
Sulla questione del perimetro della consultazione, lo stesso Governo è però diviso tra la posizione del Ministro degli affari esteri, ex sindaco di Nantes, per il quale il referendum deve avere una base dipartimentale (Loire-Atlantique), ed il Ministro dell’Ambiente, favorevole ad ampliare la base della consultazione agli altri dipartimenti della Regione de Pays de la Loire. La posizione delle associazioni che si oppongono alla realizzazione del progetto, è invece che gli unici legittimati a pronunciarsi per il si o per il no sono gli abitanti della zona dove dovrebbe essere costruito l’aeroporto.
L’altro punto delicato del referendum concerne le informazioni, da mettere a disposizione del pubblico, e l’analisi d’impatto.
La questione ovviamente mette in grande imbarazzo la commissione nazionale del dibattito pubblico ed in particolare il suo presidente Christian Leyrit, preoccupato per la qualità delle informazioni che devono essere messe a disposizione dei cittadini perché possano decidere con cognizione di causa. Posizione ovviamente condivisa dal mondo scientifico, tanto più che si tratta di informazioni di fatto, in contrapposizione tra quelle fornite dal proponente e dagli oppositori.

4. La situazione di blocco, che si è di fatto creata nel caso dell’aeroporto di Notre-Dame –des-Landes, ha fatto emergere gli aspetti critici della procedura del “debat public”.
In Francia se ne discute da tempo. Sta emergendo la consapevolezza che il dibattito pubblico sia piuttosto un appesantimento procedurale, inadeguato a realizzare quegli obiettivi di accelerazione della realizzazione delle grandi opere, di coinvolgimento delle comunità locali e di acquisizione del consenso, che gli vorrebbero assegnare i sostenitori della sua introduzione anche in Italia. Costoro ritengono, al contrario, che questo strumento – che peraltro si aggiungerebbe a quelli già previsti dalle norme sulla informazione del pubblico e dalla stessa normativa sulla VIA/VAS – sia in grado di migliorare e velocizzare l’acquisizione del consenso.
Ma qualcuno ha provato ad «ingegnerizzare» qualche caso di applicazione del débat all’Italia? Magari proprio sulla base del format a base del Rapporto della CNDP 2002 – 2012 ”La pratique du débat public: évolution et moyens de la Commssion Nationale”, endp Commission national du débat public, 2012.

5. Aprendo la Conferenza sull’ambiente, 27 novembre 2014, il Presidente della Repubblica francese ha chiesto al Governo di riformare il débat public, rinforzandone l’efficacia e la trasparenza[6].
Il Governo ha avviato un’indagine rivolta a “comprendre pourquoi certains projets ont abouti a dès situations bloquée et tendues et à en tirer une réflexion constructive[7].
I progetti di modernizzazione sono due[8]: il Projet d’ordonnance relatif à la démocratisation du dialogue environnemental, sul quale il Conseil national de la transition écologique ha emesso parere favorevole il 16 febbraio 2016 e la Proposition de loi relative au renforcement du dialogue environnemental et de la partecipation du public, n. 3481 presentato al Parlamento il 9 febbraio 2016.
L’ipotesi al momento più accreditata, e che emerge dal Rapporto redatto dalla Commissione, sembra quella di elevare lo svolgimento della procedura al momento della formazione delle politiche pubbliche. I tre casi sopra menzionati sembra che stiano convincendo il legislatore francese ad anticipare l’applicazione del dibattito pubblico. Cioè ad applicarlo al «piano» se non addirittura alla politica dalla quale questo prende spunto e nel quale è prevista una determinata opera. Si tratterrebbe quindi di una anticipazione del dibattito pubblico dall’opera singola al piano, almeno, del settore funzionale di appartenenza (i famosi «schemi dei servizi collettivi» come sono definiti in Francia i piani di settore).

6. La direttiva 2014/52/UE, come noto, ha fortemente incrementato il ruolo della informazione e della partecipazione del pubblico nel procedimento di VIA sulla base della «Convenzione di Aarhus» nel 1998, entrata in vigore nel 2001, ed approvata con decisione del Consiglio dell’Unione Europea, 2005/370/CE del 17 febbraio 2005.
Non si nega certo l’importanza dell’informazione dell’accesso alla stessa e della partecipazione del pubblico in tale processo. Ci si chiede invece se non sia il caso di tentare la strada di una visione di sistema di questa come di altre materie. Informazione e accesso alle informazioni ambientali, procedimenti di partecipazione e valutazione hanno bisogno di essere pensati e disciplinati in forma unitaria. E condotti ugualmente in forma unitaria.
La risposta non può essere una versione depotenziata e ridotta di dibattito pubblico, che – nella disciplina dell’art. 22 del ddl appalti – si risolve in qualche adempimento formale, non assistito da alcuna garanzia di terzietà. Le garanzie di terzietà sono assenti nella decisione se sottoporre o no l’opera a dibattito pubblico, nella definizione delle modalità di svolgimento, nella preparazione e nella conduzione della procedura.
L’unico assillo del legislatore sembra essere quello del tempo. Ma è realistico il termine di quattro mesi per lo svolgimento della procedura? E se il termine non viene rispettato, cosa succede?
La materia, che riguarda le procedure di approvazione delle grandi opere infrastrutturali, coincide in larga misura con quella cui si riferisce lo schema di decreto legislativo delegato di attuazione dell’art. 4, della l. n. 124 del 2015. A fini di semplificazione ed accelerazione dei procedimenti riguardanti “rilevanti insediamenti produttivi ed opere di rilevante impatto sul territorio”, lo schema di decreto legislativo delegato prevede la riduzione a metà dei termini prescritti dalla normativa generale sul procedimento e poteri sostitutivi del Presidente del Consiglio dei Ministri, in caso di superamento del termine finale. Nessun cenno viene fatto al dibattito pubblico, né è chiarito come i tempi di questo si possano conciliare con la riduzione a metà del termine finale. Sembra che tra i due testi, pure approvati a pochi giorni di distanza, manchi ogni coordinamento.
Perché non misurarsi con il problema dell’allineamento e integrazione delle procedure sparse di settore piuttosto che, settore per settore, continuare ad introdurre ulteriori procedimenti?
Le occasioni per introdurre una disciplina organica non sono mancate né mancano: dalle più recenti norme in materia ambientale sino alla riforma della P.A.

P.S. La consultazione locale sul futuro aeroporto dovrebbe tenersi il 19 o il 26 giugno in Loire-Atlantique (Monde del 17 marzo 2016).


Note

1. I passaggi sono ancora numerosi: parere del Consiglio di Stato, della Conferenza unificata e delle Commissioni parlamentari competenti per materia.

2. La l. 28 gennaio, n. 16, fissa per l’esercizio della prima delega, il termine del 18 aprile 2016, per la seconda del 31 luglio 2016. Tuttavia al Governo è riconosciuta la “facoltà di adottare, entro il 18 aprile 2016, un unico decreto legislativo” per l’adempimento di entrambe le deleghe.

3. Art. 22 (Trasparenza nella partecipazione di portatori di interessi e dibattito pubblico) 1. Le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori pubblicano, nel proprio profilo del committente, i progetti di fattibilità relativi ai grandi progetti infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull’ambiente, la città o sull’assetto del territorio, e nonché gli esiti della consultazione pubblica comprensivi dei resoconti degli incontri e dei dibattiti con i portatori di interesse. I contributi e i resoconti sono pubblicati, con pari evidenza, unitamente ai documenti predisposti dall’amministrazione e relativi agli stessi lavori. 2. Per le grandi opere infrastrutturali aventi impatto rilevante sull’ambiente, sulle città e sull’assetto del territorio, individuate per tipologia e soglie dimensionali con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, su proposta del Consiglio superiore dei lavori pubblici, è obbligatorio il ricorso alla procedura di dibattito pubblico di cui ai commi 3, 4 e 5. 3. L’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore proponente l’opera soggetta a dibattito pubblico convoca una conferenza cui sono invitati gli enti e le amministrazioni interessati, e altri portatori di interessi, ivi compresi comitati di cittadini, i quali abbiano già segnalato agli enti locali territoriali il loro interesse, nella quale si definiscono le modalità del dibattito pubblico, che, in ogni caso, deve concludersi entro quattro mesi dalla predetta convocazione e deve comunque prevedere: a)  la pubblicazione sul sito Internet del proponente del progetto di fattibilità tecnica ed economica e di altri documenti relativi all’opera; b)  la raccolta di osservazioni inviate on-line ad un indirizzo di posta elettronica del proponente e da quest’ultimo costantemente presidiato; c)  lo svolgimento di dibattiti pubblici nel territorio interessato; d)  la pubblicazione, sul sito del soggetto proponente, dei risultati della consultazione e dei dibattiti, nonché delle osservazioni ricevute, anche per sintesi. 4. Gli esiti del dibattito pubblico e le osservazioni raccolte sono valutate in sede di predisposizione del progetto definitivo e sono discusse in sede di conferenze di servizi relative all’opera sottoposta al dibattito pubblico.

4. L’art. 1, comma qqq) impegna il Governo a prevedere la “introduzione di forme di dibattito pubblico delle comunità locali dei territori interessati dalla realizzazione di grandi progetti infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale aventi impatto sull’ambiente, la città o sull’assetto del territorio, prevedendo la pubblicazione on line dei progetti e degli esiti della consultazione pubblica; le osservazioni elaborate in sede di consultazione pubblica entrano nella valutazione in sede di predisposizione del progetto definitivo”.

5. Art. L 121-1, Code La Commission nationale du débat public, autorité administrative indépendante, est chargée de veiller au respect de la participation du public au processus d’élaboration des projets d’aménagement ou d’équipement d’intérêt national de l’Etat, des collectivités territoriales, des établissements publics et des personnes privées, relevant de catégories d’opérations dont la liste est fixée par décret en Conseil d’Etat, dès lors qu’ils présentent de forts enjeux socio-économiques ou ont des impacts significatifs sur l’environnement ou l’aménagement du territoire”.

6. Queste le parole pronunciate dal Presidente Hollande: «Sivens exige donc d’accomplir des progrès supplémentaires dans la participation des citoyens dans l’ élaboration de la décision publique. C’est ce que nous allons décider. Tout doit être fait pour que, sur chaque grand projet, tous les points de vue soient considérés, que toutes les alternatives soient posées, que tous les enjeux soient pris en compte, mais que l’intérêt général puisse être dégagé. Car il y a un intérêt général, il n’y a pas que la somme des intérêts particuliers. Nous devons donc renforcer les procédures, sans les alourdir ; assurer la transparence, sans allonger les délais. Nous devons faire en sorte que les autorités qui décident puissent le faire en toute transparence et indépendance. »

7. Vedi Commission spécialisée du Conseil national de la transition écologique sur la démocratisation du dialogue environnemental – Rapporto Démocratie environnementale: débattre et décider, 3 juin 2015, p. 6

8. Entrambi dovrebbero dare attuazione alla delega conferita dall’art. 106 della l. 2015-990 del 6 agosto 2015 “Pour la croissance, l’activité e la légalité des chances économique”, il quale imprime i seguenti principi: 1) ° Accélérer l’instruction et la prise des décisions relatives aux projets de construction et d’aménagement, notamment ceux favorisant la transition écologique, et favoriser leur réalisation; (……) 2) Modifier les règles applicables à l’évaluation environnementale des projets, plans et programmes; (…….) 3) Réformer les procédures destinées à assurer l’information et la participation du public à l’élaboration de projets, plans et programmes et de certaines décisions, afin de les moderniser et de les simplifier, de mieux garantir leur conformité aux exigences constitutionnelles ainsi que leur adaptabilité aux différents projets, de faire en sorte que le processus d’élaboration des projets soit plus transparent et l’effectivité de la participation du public à cette élaboration mieux assurée”.