Regolazione e programmazione a vent’anni dalle liberalizzazioni dei settori dell’energia

Il punto di partenza.
Più o meno vent’anni fa, durante la fase di privatizzazioni e liberalizzazioni, non solo in Italia e non solo nei settori dell’energia, i rispettivi ruoli di mercato e regola – quest’ultima nella duplice veste di atto governativo/parlamentare e provvedimento di autorità amministrativa indipendente – apparivano sostanzialmente chiari.
Libera concorrenza – nel senso di piena libertà di decisione riguardo a dove, quando e cosa produrre (consumare) – quale paradigma adottato in default, a meno della presenza dei cosiddetti fallimenti di mercato. Questa evenienza, a sua volta, come unica giustificazione dell’azione del regolatore.
Quindi, ad esempio, nel caso di costruzione o gestione di una rete di trasporto o distribuzione, essendoci il rischio che le condizioni di monopolio naturale falsino il contesto competitivo di mercato, spazio al regolatore e alla possibilità di determinare tariffe e condizioni di uso della rete medesima, nonché imposizione di una serie di vincoli alle decisioni del monopolista naturale, gestore della infrastruttura, quali l’obbligo di dare accesso e non operare discriminazioni fra i vari richiedenti.
Questo approccio ha confermato anche un ruolo dell’esecutivo, da considerarsi tuttavia di limitata entità, in quanto volto, sostanzialmente, a definire la programmazione delle infrastrutture essenziali e a garantire la sicurezza del sistema (per l’energia, degli approvvigionamenti e della disponibilità di sufficiente capacità produttiva, o poco più).
Nelle sue linee generali, questo è stato il disegno. Non solo in Italia e non solo nei settori dell’energia, giova ripeterlo.
Prendendo come riferimento i decreti di liberalizzazione adottati nel nostro sistema nel 1999 e nel 2000, rispettivamente per energia elettrica e gas, nonché le loro successive modifiche e integrazioni, la presenza di compiti affidati, ad esempio, talvolta all’autorità di regolazione d’intesa con il ministero dello sviluppo economico (o di altri dicasteri), talvolta condivisi, può essere letta più come il frutto di una sorta di mediazione politico istituzionale, volta a non attribuire troppo potere al regolatore, che come il risultato di uno schema teorico meditato.

L’attuale situazione.
I risultati delle liberalizzazioni sono oggetto di riflessione ormai da tempo nei vari contesti nazionali e internazionali. Ovviamente, tale valutazione è assai complessa e va ben oltre l’ambito di questo breve lavoro. A riguardo, tuttavia, appare opportuno rammentare che gli schemi adottati in Italia vengono considerati in linea con le migliori esperienze internazionali e, con riferimento all’Unione europea, ben al di sopra della media.
Al di là di ciò, da qualche tempo, si è avviata una discussione – in qualche modo parallela e assai interessante – sempre in ordine ai cambiamenti da apportare ai modelli vigenti, ma fondando le nuove opzioni sull’adeguamento degli schemi in uso al cambiamento tecnologico in atto – dunque, non alle performance di quanto implementato finora. Essendo tale cambiamento in corso più nel settore dell’energia elettrica che in quello del gas, le analisi e le discussioni si concentrano sul primo settore.
Infatti, la progressiva diffusione degli impianti di produzione da fonti rinnovabili, unita alla installazione di dispositivi, rispetto a quelli in uso, molto più sofisticati dal punto di vista tecnologico e dei sistemi di telecomunicazione (si pensi ai misuratori, ma anche alle tecnologie di efficienza energetica e di accumulo) – interventi che vengono spesso riassunti sotto l’etichetta smart, tipo smart-grid o smart-technologies – rendono lo scenario attuale e prospettico sempre più distante da quello sulla cui base sono state disegnate e avviate le liberalizzazioni.
In particolare, il sistema elettrico, nella sua versione tradizionale, prevedeva flussi unidirezionali che, partendo da relativamente poche centrali di produzione, portavano l’energia attraverso le reti, prima di trasmissione e poi di distribuzione – ai numerosi punti di consumo.
La configurazione verso cui ci stiamo dirigendo, invece, prevede frequenti casi di autoconsumo, cioè di consumatori che si producono l’energia, con flussi che non sono più unidirezionali. Infatti, essendo buona parte dei nuovi impianti di produzione da fonte rinnovabile localizzati presso le reti di distribuzione locale, accade sempre più di frequente che l’energia prodotta o auto-prodotta presso queste reti sia superiore a quella consumata e auto-consumata nello stesso periodo temporale e che, dunque, la rete di distribuzione ceda a monte energia alla rete di trasmissione.

Alcune conseguenze su mercato e regole.
Fra le varie conseguenze sulla regolazione in senso generale – citandone una fra tutte, la trasformazione da mercato dell’energia a mercato della capacità – ve ne sono almeno due che investono con particolare intensità il quesito inerente il se e il come cambiare la linea di demarcazione fra mercato e regole.
La prima concerne la cosiddetta funzione di dispacciamento. Detta in altri termini, la gestione del sistema elettrico a stock di capitale dato, cioè senza tener conto dei possibili investimenti. L’approccio tradizionale prevede una esclusiva dei gestori delle reti, siano queste di trasmissione (nazionale) o di distribuzione (locale). Questa funzione è volta a garantire un ordinato flusso di energia nella rete, al fine di mantenere in equilibrio la rete stessa, evitare buchi di tensione, cattiva qualità del servizio, se non addirittura blackout, ed è giustificata dalla maggiore efficienza garantita dal gestore rispetto a potenziali soluzioni alternative (a causa, appunto, della presenza dei flussi unidirezionali e della configurazione a cui sopra si è fatto cenno).
La presenza di sistemi sempre più sofisticati di autoconsumo mette in discussione l’esclusiva del gestore della rete nel ruolo di dispacciatore e la sua stessa posizione di vantaggio in termini di garanzia di maggiore efficienza per il sistema nel suo complesso. Si potrebbe, infatti, ipotizzare uno schema regolatorio in cui convivono funzioni diciamo così private di auto-dispacciamento in alcune parti del sistema con la funzione di natura pubblica, garantita dalla rete, per tutti gli altri produttori e consumatori.
Da osservare che una tale opzione, se adottata, non scalfirebbe solo l’esclusiva finora riconosciuta al gestore della infrastruttura nella sua funzione di dispacciamento, ma rappresenterebbe anche una interessante modifica della linea di confine fra regole e mercato, con un arretramento delle prime rispetto al secondo nel sistema di gestione delle reti.

Vi è anche una seconda area di mutamento che è interessante illustrare, seppure in sintesi, derivante sempre dalla diffusione dei nuovi sistemi di auto-produzione – nelle varie versioni di rete privata, sistema di distribuzione chiuso, sistema semplice di produzione e consumo, ecc. Questa seconda area considera l’effetto delle scelte di investimento.
Infatti, seguendo l’approccio tradizionale, alla regolazione e programmazione, in questa parte della filiera elettrica, è sostanzialmente chiesto di fare in modo che le reti siano una sorta di campo neutrale, in cui la concorrenza fra i produttori consenta di minimizzare il costo e il prezzo di vendita dell’energia ai clienti finali. Quindi, il focus è sugli investimenti (oltre che sulla minimizzazione dei costi di dispacciamento, a cui è stato fatto cenno poco sopra), in modo da annullare, o almeno ridurre in modo consistente, le congestioni (che impediscono, a loro volta, il pieno esplicarsi della concorrenza fra produttori).
In tale ambito, l’ulteriore ripartizione di compiti fra regolazione e programmazione (nel caso questa sia presente) assegna alla prima la definizione di una sorta di menù che fissa la tariffa che il gestore della rete ha diritto di incassare a fronte di ogni azione pattuita (in termini di investimento, oltre che per la gestione del sistema esistente), mentre alla seconda si affida il compito di disegnare, almeno nelle sue linee essenziali, lo sviluppo della rete che si chiede al gestore di realizzare nel futuro, a breve e medio termine.
I nuovi sistemi e le nuove applicazioni, come evidenziato sopra, rendono spesso l’investimento in rete solo una fra le opzioni alternative volte a minimizzare o annullare la congestione (o in generale, altre inefficienze o malfunzionamenti), essendo disponibili, ad esempio, la possibilità di auto-produrre (cioè, di localizzare l’impianto di generazione presso il punto di prelievo), di modulare i consumi – riducendoli automaticamente in casi di presenza di criticità contingenti nel dispacciamento dell’energia – nonché, addirittura, di stoccare l’energia prodotta in eccesso ai consumi per poterla consumare in un secondo momento.
In sostanza, le decisioni del regolatore, del programmatore e dell’operatore di mercato sono ancora più mutuamente dipendenti rispetto a quanto lo fossero nel sistema tradizionale (in cui, evidentemente, la decisione di investire in capacità di rete e di produzione erano comunque correlate fra loro, sebbene in misura meno marcata).
Il punto aperto di discussione, non solo in Italia, riguarda come incorporare tali maggiori interdipendenze in un corretto sistema di regole.
Uno sviluppo in atto, proveniente dai paesi anglosassoni, ma in via di trasposizione in altri contesti nazionali fra cui quello italiano, si sostanzia in una modifica dei criteri di regolazione in uso e assume diverse denominazioni: totex, cioè total expemditures, output based, outcome based. In estrema sintesi, se nel sistema elettrico sono disponibili più opzioni per raggiungere lo stesso scopo, è necessario modulare la regolazione sullo scopo medesimo e non più sui costi degli input necessari per raggiungerlo. A tal fine, dunque, si identifica un obiettivo e si identificano premi e penali per l’impresa regolata, in caso di totale, parziale o mancato raggiungimento del medesimo, superando i metodi in uso che, in larga misura, sono ancorati agli input, cioè ai singoli atti che l’impresa regolata (il gestore di rete, nel nostro caso) adempie.
Pur essendo di grande interesse, questa modifica è in gran parte interna ai rispettivi campi di competenza di regolazione, programmazione e mercato. Infatti, è comprensibile anche senza entrare nel merito di ciascun nuovo criterio che l’output, il totex, ecc. – l’obiettivo, in sostanza – non può che riguardare le azioni che il gestore di rete ha nella propria disponibilità. Dunque, se e in che misura dare la possibilità a imprese terze (non al distributore) di effettuare i vari interventi alternativi fra loro è un problema che questo nuovo insieme di metodi non affronta.
Questo aspetto è assai complesso ed è difficile prevedere quale configurazione prevarrà, cioè in che misura il monopolio locale dei gestori di rete verrà ridotto di entità. Constatando il recente andamento del settore, non solo a livello italiano, è probabile che non vi sarà solo un assetto stabile e omogeneo in tutte le situazioni. In qualche circostanza il distributore manterrà probabilmente pressoché invariato il proprio perimetro di azione, in altre le modifiche potrebbero essere sostanziali.
Al di là di ciò, i mutamenti tecnologici e i nuovi criteri di regolazione hanno una interessante ricaduta anche sul rapporto fra la stessa regolazione e la programmazione.
Infatti, ancora una volta anche senza entrare nel merito dei nuovi criteri regolatori in trasposizione, definire l’obiettivo per l’impresa regolata implica, ovviamente, la definizione dell’insieme degli atti di cui viene chiesto il raggiungimento, pena la decurtazione o l’annullamento della tariffa (al limite, la sanzione). Il che vuol dire che nel momento in cui si fa regolazione si fa anche programmazione.
E, come conseguenza, delle due l’una: o la programmazione è già disponibile nel momento in cui si vara il sistema tariffario – nel qual caso, il regolatore recepisce il programma adempiendo al suo compito – oppure il regolatore, definendo l’obiettivo e in assenza di input esterni dell’esecutivo, determina implicitamente con la tariffa anche il corrispondente programma.
Anche per questa area di problemi, non è ancora evidente, almeno nel caso italiano, cosa accadrà e come questa ambivalenza verrà risolta.

Due ulteriori considerazioni.
In chiusura, due considerazioni di carattere generale.
La prima concerne i meccanismi logici e gli strumenti alla base della regolazione e della programmazione. Ancora una volta prescindendo dai singoli aspetti tecnici, dovrebbe apparire evidente che la mutua dipendenza fra le varie azioni disponibili in un sistema elettrico accentua una caratteristica che, a dire il vero, era comunque presente anche nel passato: per determinare un programma in modo adeguato è necessario comprendere le conseguenze economiche delle varie opzioni disponibili (cioè, comprendere almeno nelle linee generali quale regolazione verrà implementata), così come per comprendere pienamente le conseguenze di un determinato schema regolatorio deve essere noto (almeno nelle sue linee generali) il programma che verrà formulato.  Come dire che regolazione e programmazione hanno molte aree di sovrapposizione e potrebbero anche essere considerate in gran parte come parti di una stessa attività.
Dunque, le rispettive gelosie fra regolatore ed esecutivo sono, per così dire, ben comprensibili e, purtroppo, difficilmente superabili se non in via pragmatica, trovando cioè mutue compensazioni e opportuna collaborazione.
La seconda considerazione riguarda gli strumenti da utilizzare per regolare e programmare. Spero sia evidente come le questioni siano assai complesse. Il calcolo e i metodi quantitativi, indubbiamente, non possono tutto perché – in gran parte dei casi – permane sia nella regolazione che nella programmazione una certa discrezionalità in ordine alle scelte da adottare.
Detto questo, in un momento come l’attuale in cui – anche a seguito della profonda crisi economica che stiamo vivendo da anni – la fiducia nella tecnocrazia è in forte calo e ogni questione complessa sembra poter essere risolta in via intuitiva, il valore degli strumenti accumulati in due decenni di attività delle autorità di regolazione, ribadendo ancora una volta non solo per energia e non solo in Italia, costituiscono una preziosa scatola di strumenti che va salvaguardata.
Tenendo altresì conto che il calcolo e i metodi quantitativi, se utilizzati con raziocinio e con trasparenza, sono ancora oggi la migliore ricetta da utilizzare per prendere una decisione in modo aperto e democratico.