Riflessioni a margine del libro «Il giudice e l’economia» di G. Montedoro*

Sommario: 1. Premessa. – 2. Una significativa riflessione sulle tematiche di diritto dell’economia. – 3. Il fil rouge per la lettura del volume ‘Il giudice e l’economia’.

1. Nel decorso mese di ottobre Paola Severino, in occasione dell’inaugurazione della Luiss School of Law, nel focalizzare l’oggetto dell’attuale dibattito scientifico, ha posto l’accento sul ‘rapporto tra globalizzazione dei mercati ed assetto delle regole’, evidenziando il significativo favor per la libertà di circolazione e stabilimento di persone ed attività produttive, nonché l’incremento di competitività tra ordinamenti che ne sono conseguiti. Da qui l’esigenza di ridefinire i modelli e gli strumenti normativi, opera affidata ai giuristi, purtroppo spesso ostacolati dall’«inefficienza della macchina giudiziaria», con ovvie ricadute negative sullo sviluppo economico. Si delinea, per tal via, una complessa problematica, dalla cui soluzione dipende la rimozione degli ostacoli che tuttora impediscono un compiuto riavvio della ripresa.
Il quadro sistemico identificato dalla Severino, di certo particolarmente significativo per la sua attualità, individua il campo d’indagine al quale fa riferimento il volume “Il giudice e l’economia” di Giancarlo Montedoro che questa sera presentiamo. Volendo sintetizzare l’essenza di tale opera, va innanzi tutto detto che in essa converge la riflessione sulla tematica del «rapporto tra diritto ed economia», la quale è stata da sempre al centro dell’interesse e degli studi condotti da Giancarlo; fin da tempi lontani, potrei dire lontanissimi, se rivado col pensiero alla mia frequentazione avuta più di trent’anni fa con un brillante studente dell’Università di Bari, allorché insegnavo in quell’Ateneo. Avemmo, allora, i nostri primi colloqui sull’incidenza delle regole giuridiche nella definizione e nello sviluppo dei fenomeni economici; valutammo insieme la necessità di evitare che questi ultimi avessero un percorso evolutivo disancorato dal riferimento ai canoni ordinatori della società civile.
Nacquero forse, in quel tempo, nel nostro A. taluni convincimenti che, maturati negli anni successivi, avrebbero poi trovato espressione in numerosi lavori, tutti dedicati alla ricerca delle modalità attraverso cui può addivenirsi ad un’ equilibrata «relazione tra istituzioni ed economia». Ed invero, Montedoro ha ben  presente nei suoi scritti il legame tra norma e fatto e, nell’approfondirne i molteplici profili, dimostra compiuto senso di concretezza, quale si evince dallo spazio dato alla connessione dei suoi scritti alle vicende socio economiche che, negli ultimi decenni, hanno connotato la storia del nostro Paese. Di certo, nella sua riflessione gli è stata d’aiuto l’esperienza vissuta nella sua attività di Magistrato ordinario, prima, amministrativo poi; ciò in quanto nello svolgimento di tali mansioni si è sviluppato in Lui l’innato senso di giustizia che qualifica la sua persona, riflettendosi nell’interpretazione da lui data ai fenomeni esaminati.
Nella prefazione al libro che qui presentiamo Luciano Violante pone l’accento sull’analisi svolta da Montedoro in ordine al variegato ruolo del giudice e alla dimensione di servizio e non di potere della giustizia amministrativa; sottolineando che in essa si rinvengono significativi spunti per ravvisare un progressivo allineamento (quanto a competenze e procedure), tra tutte le magistrature ed ipotizzando, più in generale, la prospettiva di una disciplina unitaria delle medesime. Viene data, quindi, una lettura del volume in esame che, nel riferimento alle specificità organizzative delle diverse forme giurisdizionali, privilegia detti profili d’indagine, pur riconoscendosi il «decisivo potere d’intervento» del Giudice «su ogni forma di regolazione economica, dalla tutela della concorrenza alla risposta ai fallimenti del mercato».
Per converso, il mio background culturale mi induce a guardare con interesse il contributo che la ricerca di Giancarlo Montedoro reca alla chiarificazione delle problematiche di diritto dell’economia, da lui affrontate nella gran parte dei suoi studi. Ed invero la funzione del Giudice – nella ricerca del nostro A. – agisce da catalizzatore nel far emergere i limiti della regolazione vigente (e, dunque, le carenze della politica vuoi a livello domestico, vuoi in ambito regionale europeo); nel contempo, la specificazione delle componenti di detta funzione aiuta a chiarire la tipizzazione della sua portata vivificatrice, facilitando la comprensione di talune significative riforme dell’ordinamento economico.
Più in generale può dirsi che  Giancarlo Montedoro  – avvantaggiato nella sua ricerca da una grande sensibilità (non dimentichiamo che Egli è autore di un libro di poesie)  e da una profonda cultura umanistica – stimola la riflessione sui grandi temi della politica, della democrazia, del libero mercato, dei diritti umani. Significativa, al riguardo, appare l’esigenza, da Lui avvertita, di individuare i modelli e gli strumenti che consentono di analizzare compiutamente detta realtà; all’uopo Egli prospetta soluzioni nelle quali il Giudice è posto al centro dell’indagine, proiettato in un’azione di rinnovamento sistemico cui contribuisce attraverso quello che Giancarlo ha definito (in un recente scritto) «il fenomeno della giustizia creativa … fenomeno moderno, sicuramente non previsto dai teorici del potere diviso, talvolta chiamato giornalisticamente “supplenza” del mondo giudiziario rispetto alla politica».

2. Di fronte ad uno studioso dai molteplici e variegati interessi, sempre pronto a cercare risposte e soluzioni (a volta difficili, a volta impossibili) agli interrogativi posti dal rapporto tra economia e diritto – uno studioso che rifugge dall’idea di un «diritto per l’economia», inteso in un’accezione servente di mera funzionalizzazione ex post della ‘regola’ rispetto al ‘fatto’ -, ritengo necessario delineare, in questa mia breve introduzione, alcuni tratti salienti della ricerca da Lui svolta nel tempo, che mi sembrano particolarmente significativi ai fini dell’inquadramento dell’opera che qui presentiamo.
Al riguardo, mi piace ricordare le belle pagine scritte dal nostro A. sulle «Amministrazioni indipendenti» (Banca d’Italia, Consob, Antitrust), nelle quali si individua la loro ragione fondante nella tecnicità dell’azione dalle medesime svolta: da questa  trae legittimazione l’attività posta in essere che si estrinseca in un scientific government, ove si consideri la qualità dei giudizi espressi da tali autorità. Segue la chiarificazione delle modalità con cui tali amministrazioni provvedono alla ponderazione degli interessi in campo, esercitando un potere riconducibile al paradigma della ‘discrezionalità tecnica’, sindacabile dai giudici amministrativi ma connotata dall’ applicazione di regole tecnico scientifiche.

* Testo delle considerazioni introduttive svolte alla presentazione del volume “Il giudice e l’economia”, tenutasi presso l’Università LUISS G. Carli (Roma, 12 novembre 2015).

È evidente il rilievo di tali riflessioni (iniziate alla fine degli anni novanta del novecento in una Summer school organizzata da G. Alpa) sull’«ordine giuridico del mercato», caratterizzato dalla presenza di una pluralità di autorità amministrative che – come Giancarlo ha sottolineato nel ‘Commentario al testo unico bancario’, da me diretto – sono tra loro tenute all’obbligo di collaborare, sì che il sistema di vigilanza si presenti integrato e rispondente all’unità dei mercati. A ciò si aggiunga l’analisi relativa alle riforme delle modalità strutturali e funzionali delle amministrazioni di controllo degli ordinamenti finanziari domestici (riforme rese necessarie dal riconoscimento di nuove competenze alla BCE); donde il richiamo all’incidenza esercitata dall’EU su tali amministrazioni, tematica affrontata da numerosi studiosi, tra i quali si annoverano anche i relatori di questo seminario.
Si comprende, pertanto,  la specifica attenzione dedicata da Giancarlo Montedoro alle linee disciplinari di alcune di esse; in particolare, voglio menzionare lo scritto sulla Consob, pubblicato nell’enciclopedia del diritto, alla cui redazione partecipai anch’io.
Di fronte all’intensificarsi dell’attività dei mercati finanziari, intuendo il prorompente effetto della globalizzazione in atto (sulla quale non aveva ancora fatto chiarezza l’analisi di Stiglitz), Giancarlo tenne a mettere in evidenza che l’articolato complesso delle attività di tale amministrazione richiedeva risorse, poteri e capacità d’intervento in grado di supportare la sua specializzazione operativa, nonché l’individuazione di un modus procedendi che le consentisse di corrispondere adeguatamente alle sollecitazioni del mercato. Da qui la ravvisata opportunità di dar corso a mutamenti della struttura di tale ente, tra l’altro al fine di adeguare le forme del diritto d’accesso al processo di autoregolazione dei mercati; ciò tenendo fermo, comunque, il principio secondo cui l’ottimale svolgimento dei compiti istituzionali non può prescindere da un coerente rapporto tra l’organizzazione dell’ente e la sua funzione.
Sono queste chiare anticipazioni di una linea interpretativa consapevole dei riflessi della costituzione del mercato globalizzato sulle caratteristiche di un nuovo ius publicum, che – come lo stesso Montedoro avrà modo di sottolineare in seguito rimarcando l’attualità del pensiero di Carl Schmitt – si estrinseca nel «moderno imperium marittimo…senza limes, senza confini certi, ma basato sulla egemonia di un modo di produzione, incentrato sugli scambi, sul progredire della lex mercatoria».
Ed ancora. Mi si consenta di concludere questo breve excursus dei lavori di Giancarlo con un ricordo personale. Mi riferisco alla dialettica di alcuni nostri incontri, svoltisi  nel lontano 1994, all’indomani dell’emanazione del testo unico bancario allorché entrambi eravamo interessati a valutare la portata innovativa della decreto lgs. n. 385 del 1993.
In occasione di un dialogo sull’instaurazione della sequenza che s’individua nella «proposta della Banca d’Italia per le deliberazione del CICR», cui consegue l’atto conforme della Banca d’Italia, mi fu prospettato da Giancarlo come detta formulazione normativa stesse a significare che l’atto d’indirizzo politico fosse divenuto calcolabile razionalmente. Ciò con la conseguente possibilità della sua procedimentalizzazione; donde la costrizione della funzione politica in margini decrescenti di libertà ed il suo orientamento verso l’attività di «alta amministrazione», per cui essa veniva resa controllabile in via giurisdizionale. Mi parve, questa, una chiave interpretativa pienamente rispondente ad una logica disciplinare volta ad un ridimensionamento del ruolo del CICR, coerente col processo evolutivo del sistema finanziario italiano. Condividendo la ratio giustificatrice della tesi rappresentata da Giancarlo diedi ad essa ampio riconoscimento in un lavoro monografico che, all’epoca, mi occupava,  nella prospettiva di vedere di lì a poco una più significativa modifica normativa riguardante il Comitato, la cui permanenza nel sistema della legge sembrava aver perso ogni ragion d’essere. Del resto, all’epoca in tale direzione andavano orientandosi anche altri studiosi, tra cui Fabio Merusi e Franco Belli; studiosi che, purtroppo, non sono stati ascoltati dal regolatore, il quale sembra ancora oggi  intenzionato a lasciare in vita detto organo politico nonostante le numerose critiche sollevate al riguardo, tra cui quella recentissima di Marco Sepe.

3. Venendo ai contenuti del volume «Il giudice e l’economia» – la cui specificazione è affidata agli interventi dei relatori di questo seminario – ritengo opportuno indicare il fil rouge che, a mio avviso, deve guidare nella lettura dell’opera. Quest’ultima, mi sembra, debba essere incentrata intorno a due capisaldi: politica/democrazia ed economia/mercato; analisi cui fa da sfondo il ‘processo costituente europeo’, che assurge a fattore propulsore di cambiamenti istituzionali. Naturalmente, nel valutare l’impostazione seguita e le proiezioni ipotizzate, il lettore dovrà aver riguardo alla circostanza che, nell’affrontare tali tematiche, Giancarlo ha potuto avvalersi dell’intensa esperienza lavorativa maturata nell’ultimo decennio, durante il quale ha ricoperto incarichi professionali che gli hanno consentito di affiancare alcune tra le più importanti autorità politiche del Paese (Ministri e Presidente della Repubblica).
Per comprendere la ragione di tale criterio ordinatorio occorre muovere dalla doverosa premessa che l’essenza della sua ricerca scientifica dimostra l’evidente opzione per un inquadramento sistematico degli argomenti trattati non avulso dalla consapevolezza che in essi entrano in gioco valutazioni di carattere politico. Gli è chiaro, infatti, che da queste ultime non può prescindersi nelle analisi di law and economics in quanto la funzione delle istituzioni finanziarie di controllo (e, conseguentemente, il ruolo alle medesime ascrivibile) non può essere considerata neutra perché nella complessa dinamica dei processi economici essa assurge a strumento essenziale ed è, dunque, direttamente riconducibile all’azione tipicamente propria della politica.
Ciò posto, ritengo che il libro «Il giudice e l’economia»  s’inserisca a pieno titolo nel dibattito sul ruolo della politica e, in particolare, sulla ricerca della formula ottimale per l’esercizio del potere. Ed invero, l’opera sembra orientata a dare un rilevante contributo alla tesi, seguita dalla più autorevole dottrina, secondo cui tra i modelli ipotizzabili quello democratico deve essere ritenuto preferenziale in quanto propositivo di una costituzione politica che, meglio di ogni altra, garantisce – come puntualizza Bobbio –  «la più ampia e più sicura partecipazione della maggior parte dei cittadini … alle decisioni che interessano tutta la collettività»; un modello di democrazia che Montedoro, nel riferimento al moderno costituzionalismo, definisce nel suo libro alla stregua di «idea procedurale, sulla quale tutti si può essere d’accordo» (p. 173).

Conseguentemente, si spiega come la tesi fondante della costruzione ipotizzata da Montedoro sia incardinata sulla predisposizione di un indissolubile legame tra i termini di ‘democrazia’ e ‘rappresentanza’; legame che si individua soprattutto nei contesti liberali occidentali (finendo con l’essere in un certo senso sinonimi). È per tal via, infatti, che diviene possibile dare pienezza esplicativa al processo di trasformazione (attraverso l’attività dei rappresentanti) della volontà popolare in «atti di governo», come il nostro A. tiene a precisare. Ed è su tale base concettuale che Giancarlo addiviene alla conclusione secondo cui l’apparato di vertice dell’ordinamento europeo appare ancora lontano dalla configurabilità di un modello dotato di sufficiente capacità di coesione, tale cioè da far ritenere preservati e difesi gli ideali di una politica viva che garantisca diritti e libertà.
Vengono, quindi, in considerazione «l’amministrazione e la politica», che Montedoro in uno scritto successivo alla pubblicazione del volume ‘Il giudice e l’economia’ definisce «la cittadinanza nelle sue varie forme»; i legami tra le medesime sono ritenuti meritevoli di protezione, anche da improprie supplenze della magistratura e dall’abuso del processo intentato da poteri privati. Ancora una volta, l’attenzione viene incentrata sulla necessità di una politica preordinata a «migliorare la fattura delle leggi e cercare di guardare alla giustizia, anche a quella amministrativa, come uno strumento sempre necessario per la difesa giuridica dei governati»; ciò senza escludere l’esigenza di  potenziare la funzione giustiziale dell’amministrazione e la pregiudizialità amministrativa «per dare certezza del diritto all’amministrazione». Si è, dunque, in presenza, di una tesi che – nel fornire la giustificazione teorica delle moderne tecniche di Alternative dispute resolutions, adottate in ambito bancario finanziario (si pensi all’«Arbitro Bancario Finanziario», istituito presso la Banca d’Italia, ed alla «Camera di conciliazione», operante presso la Consob) – valorizza la funzione consultiva dell’Amministrazione (esercitabile soprattutto in ambito economico) ed induce ad un ripensamento complessivo del ‘diritto di difesa’, sì dà conformarlo maggiormente alle realtà di altri paesi europei.
È evidente come, in tale contesto, la politica identifichi un prius rispetto all’ economia. Si comprende la ragione per cui le determinanti di quest’ultima – pur rappresentando un cardine essenziale dei disegni preordinati allo sviluppo dei paesi che si muovono in una logica di continua autoriforma ed intendono aprirsi ad innovative forme di ammodernamento culturale – di certo devono avere la loro naturale collocazione nei ‘centri decisionali’ della politica. È presso tali ‘centri’ che devono essere assunte le scelte concernenti la progettualità economica da parte di coloro i quali operano in virtù delle funzioni di rappresentanza ad essi riconosciute nei sistemi democratici; è questa l’unica modalità possibile per ricondurre al consenso dei cittadini (coinvolgendoli nelle opzioni preferenziali adottate) soluzioni spesso gravide di conseguenze onerose a loro carico. Da qui l’esigenza di  addivenire ad una «formula ordinatoria» del sistema produttivo in grado di coordinare le direttive della politica con il tecnicismo dell’attività amministrativa, quale si individua nella formazione di regole caratterizzate da peculiare flessibilità ed elasticità, in linea con un’ottimale gestione e sviluppo dell’economia. Questa tesi, condivisa da ampia parte della dottrina, trova significativa conferma nel libro che qui presentiamo, laddove si sottolineano le conseguenze critiche dei «cambiamenti della costituzione materiale imposti dalla nuda logica economica…  (che) … precede la politica, oscurando così l’azione del soggetto moderno, chiamato usualmente a progettare, mediante la politica, il suo destino, al di fuori di ogni condizionamento derivante dalla sfera del sacro» (p. 23).
Da ultimo, ritengo che vadano segnalate le considerazioni che il nostro A. svolge sul «diritto dell’emergenza strumento invocato dai governi per affrontare la crisi  ….  regno dell’atipicità, dell’interesse pubblico evidenziato in chiave decisionistica, sganciato dalla normatività». Esse, a mio avviso, riflettono un senso di sfiducia verso l’effettività del «potere costituente che si sta dispiegando nel tempo presente… (considerate le sue) … modalità ed i livelli di svolgimento, fra formale ed informale, fra sovranazionale e nazionale». È questa una nota conclusiva che, per quanto enunciata solo sommessamente, mi sembra si annidi nel sottofondo del pensiero di Giancarlo Montedoro, specie quando si sofferma ad evidenziare le difficoltà del «comune procedere dei paesi UE verso forme di progressiva limitazione di sovranità», in un contesto contraddistinto «dall’eco di mai sopite tendenze euroscettiche e dall’insorgere d’istanze volte a recuperare le identità nazionali».