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La mitologia della “specialità” ed i problemi reali della giustizia amministrativa

di - 7 Ottobre 2015
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Sullo stesso filone, anche se in epoca diversa, si pongono le altre pronunce che, nel ritenere ammissibilità dell’arbitrato facoltativo, quello strumento cioè cui i privati possono liberamente ricorrere al fine di risolvere le controversie relative a diritti disponibili mediante arbitri da loro stessi scelti; ritengono al contrario costituzionalmente illegittime quelle norme che impongono l’arbitrato come forma obbligatoria di giurisdizione privata alternativa a quella pubblica[38]. Pronunce che inducono a ritenere non suscettibile di essere compromesse in arbitri controversie aventi ad oggetto situazioni di interesse legittimo[39], come oggi sembra peraltro confermare la previsione dell’art. 6 della legge 21 luglio 2000, n. 205[40].
La tutela giurisdizionale si manifesta nel giudizio e, si impersona nel giudice soggetto terzo ed imparziale rispetto alle parti in causa. La terzietà e l’imparzialità del giudice consistono nell’assoluta equidistanza dell’Autorità giudicante dagli interessi che concretamente perseguono i soggetti che operano all’interno del processo[41]. Questa garanzia deve essere assicurata ed è oggi assicurata anche a tutela delle situazioni di interesse legittimo da parte del giudice amministrativo (come si è visto anche nel par. 2, supra) e ciò sia nella configurazione e nell’assetto organizzativo ed ordinamentale che deriva dalla legge istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali e dal Testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, sia in relazione ad ipotesi caratterizzate da soluzioni organizzative da considerarsi “speciali”, come ad esempio quei modelli organizzativi propri di alcune Regioni autonome o Province a Statuto speciale[42].
Soprattutto con riferimento ai dubbi sollevati sulle garanzie di indipendenza e sulla reale natura di giudice del Consiglio di Stato, la Corte costituzionale è intervenuta in modo deciso sin dai lontani anni settanta. Nella sentenza n. 177/1973[43], si precisò infatti che “non può negarsi che dal Costituente siano state prese in specifica considerazione due esigenze, di ampia portata: che le persone, a cui poter affidare funzioni giurisdizionali, siano idonee allo svolgimento di esse, e che tale idoneità venga concretamente accertata. Ed esse, infatti, trovano compiuta o sufficiente tutela là dove varie disposizioni le affermano e le riconoscono come attuali ed essenziali perché siano assicurate alla magistratura le caratteristiche, che la contraddistinguono, della indipendenza e della (per quanto di ragione, connessa) imparzialità. Sono indubbiamente in tal senso, l’art. 100, comma terzo, per cui, specificamente e comunque assorbendosi il disposto dell’art. 108, comma secondo, la legge assicura l’indipendenza del Consiglio di Stato e dei suoi componenti di fronte al Governo; l’art. 102, comma secondo, ultimo inciso, che prevede la partecipazione alle Sezioni specializzate presso gli organi giudiziari, di cittadini idonei estranei alla magistratura; l’art. 106, comma terzo, che fissa i requisiti e le categorie delle persone a cui poter affidare l’ufficio di consigliere di Cassazione; e, per la residua sua portata autonoma, ancora l’art. 108, comma secondo, per cui la legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali e degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia” [44].
Con riferimento quindi alle norme che regolano la (parziale) provvista di Consiglieri di Stato per nomina governativa, la Corte ha precisato che tali norme, ed in particolare quelle di esse che attengono ai profili qualitativi della scelta ed alle garanzie della verifica e del procedimento, “vanno interpretate, sulla base dei riferimenti e delle considerazioni che precedono, nel senso che esse impongono: a) che la scelta debba cadere su persone specificamente idonee alle funzioni e cioè – mutuando le parole dal parere dell’Adunanza generale del Consiglio di Stato del 24 settembre 1973 ed in toto dal testo dell’art. 1 del d.P.R. n. 579 del 1973 – su persone che per l’attività o gli studi giuridico-amministrativi compiuti e per le doti attitudinali e di carattere, posseggano piena idoneità all’esercizio delle funzioni di consigliere di Stato; b) che codesta idoneità sia concretamente accertata, e c) correlativamente, che, in quanto il tutto sia compatibile con la natura e con la funzione del procedimento e del provvedimento di nomina, l’effettuazione dell’accertamento della detta idoneità venga in qualche modo documentata o sia desumibile dal contesto”. Così rettamente interpretate tali norme, la Corte costituzionale ha ritenuto che esse non vadano contro le disposizioni ed i principi costituzionali sopra ricordati. “Esse danno vita ad una disciplina legislativa che, pur conferendo al Governo un ampio potere discrezionale, garantisce, in materia, il rispetto dell’esigenza dell’idoneità del giudice, nonché di quella dell’indipendenza del Consiglio di Stato e dei suoi componenti di fronte al Governo (e almeno per quanto possa derivare dall’esercizio del potere di nomina). Gli atti di nomina, che in applicazione di quelle norme siano posti in essere, sono soggetti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti e possono essere portati al giudizio del Consiglio di Stato”[45].
L’ampiezza della citazione si giustifica perché essa sintetizza un non più smentito orientamento assunto dalla Corte nel giudicare sul problema, un orientamento che segue un approccio di tipo non formalista ma attento alla sostanza delle cose, secondo una lettura delle norme costituzionalmente orientata.
Ed anche in anni più recenti la Corte ha dimostrato di seguire un approccio legato alla sostanza dei problemi, più che alla enunciazione di astratte questioni di principio. Sia con riferimento a possibili incarichi extragiudiziari dei giudici della Corte dei conti[46], sia più in generale rispetto ad occasioni di scrutinio di legittimità di altre giurisdizioni “speciali”[47].
Non è quindi la unicità della giurisdizione a costituire principio costituzionale indefettibile, quanto piuttosto l’unità come regola di esercizio della funzione giurisdizionale. E di ciò la Corte costituzionale è ben consapevole e ne ha dato una significativa lettura nell’interrogarsi sulla portata e sui limiti della giurisdizione esclusiva.
La Corte costituzionale, infatti, ha ritenuto che la “particolarità” delle materie di giurisdizione esclusiva cui fa riferimento il Costituente, null’altro sia che il riferimento a quel particolare tipo di controversie in cui la “sicura e necessaria compresenza o coabitazione … di posizioni di interesse legittimo o di diritto soggettivo legate da un inestricabile nodo gordiano” rendeva talmente difficile operare una distinzione da giustificare la deroga al tradizionale criterio di riparto. Una tesi che era stata esposta anche nel corso dei lavori dell’Assemblea Costituente da Ruini, secondo il quale –come si ricorda anche nella sentenza – per “la inscindibilità delle questioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo, e per la prevalenza delle prime” si è imposta la esigenza di “aggiungere la competenza del Consiglio di Stato per i diritti soggettivi, nelle materie particolari specificatamente indicate dalla legge”[48].

Note

38.  Il riferimento è a C. cost. n. 127/1977 e n. 488/1991.

39.  Sul punto si veda però M. Vaccarella, Arbitrato e giurisdizione amministrativa, Torino, 2004, 18 ss., la quale mette in evidenza una diversa attitudine della Corte desumibile, ad esempio da C. cost. 376/2001.

40.  Che al secondo comma precisa: “le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono essere risolte mediant arbitrato rituale di diritto”. Ma non fa menzione –e quindi esclude- le controversie in materia di interessi legittimi.

41.  Per assicurare l’imparzialità del giudice, l’ordinamento prevede diversi strumenti, quali le norme sulla competenza, i mezzi di impugnazione, le norme sull’ordinamento giudiziario ecc.. A tal proposito in giurisprudenza v. C. cost., n. 123/1999, in Giur. cost., 1999, 1031; C. cost., n. 335/2002, in Cons. Stato, 2002, II, 1090.

42.  Il riferimento è al Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ed al Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa trentino.
Sul punto, da ultimo, C. cost., n. 316/2004, secondo cui “la peculiare struttura e composizione del Consiglio di giustizia amministrativa delineate dal decreto n. 373/2003 appaiono dunque pienamente giustificate, stante la chiarezza del principio espresso nell’art. 23 ma anche l’assenza di soluzioni organizzative prestabilite, dall’intento di realizzare concretamente quel principio attraverso la prefigurazione di un apposito modello la cui specialità, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte, non appare certo praeter statutum. A questo riguardo è significativo ricordare che lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (ed il relativo decreto di attuazione 6 aprile 1984, n. 426) si sia ispirato agli stessi principi di autonomia, riproducendo sostanzialmente, a distanza di anni, il modello organizzativo siciliano basato sulla presenza, nell’organo di giustizia amministrativa, di membri “non togati” designati in sede locale. Si tratta evidentemente di un modello del tutto particolare fondato sulla “specialità” di alcuni statuti regionali i quali possono anche, nel campo dell’organizzazione giudiziaria, contenere norme a loro volta espressive di autonomia”. Tale favorevole giudizio è stato reso possibile grazie alle modifiche legislative e statutarie introdotte di recente, a fronte invece di consistenti dubbi di legittimità costituzionale già palesati in tempi remoti da C. cost. n. 25/1976.

43.  Pubblicata in Giur.cost., 1973, 2348 ss., con una storica nota di C. Mortati.

44.  Il riferimento è a C. cost. n. 177/1973.

45.  Il riferimento è ancora a C. cost. n. 177/1973.

46.  Il riferimento è a C. cost. 224/999, secondo cui “le Sezioni regionali siciliane della Corte dei conti svolgono, in posizione di indipendenza, nei confronti dell’amministrazione regionale, comprensiva degli enti pubblici dipendenti dalla Regione, e degli amministratori e dei funzionari che operano presso di essa, tutte le funzioni di controllo e giurisdizionali proprie della Corte stessa: ivi comprese le funzioni di riscontro a posteriori sulla gestione delle pubbliche amministrazioni, disciplinate dall’art. 3, commi 4, 5, 6 e 7, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, nel cui ambito fra l’altro la Corte verifica il perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi regionali (comma 5), riferisce all’assemblea regionale sull’esito del controllo eseguito, anche con valutazioni sul funzionamento dei controlli interni, e formula alle amministrazioni interessate le proprie osservazioni (commi 6 e 7). I collegi dei revisori dei conti degli enti regionali in questione svolgono le funzioni tipiche del controllo interno, essendo dunque a loro volta soggetti alle valutazioni “esterne” della Corte dei conti. È palese il rischio di un intreccio fra i due ordini di funzioni, suscettibile di tradursi in una menomazione dell’indipendenza e dell’imparzialità dei magistrati delle sezioni regionali della Corte, a causa della necessaria presenza istituzionale di magistrati, appartenenti alle stesse sezioni, nell’ambito, e addirittura alla presidenza, degli organi degli enti regionali. A ben vedere, la previsione dell’affidamento di siffatti incarichi ai soli magistrati delle sezioni siciliane della Corte, contenuta nelle disposizioni impugnate, non ha il senso e la portata di una semplice scelta di opportunità per ragioni organizzative, ma esprime una linea di coinvolgimento istituzionale di dette sezioni, attraverso i magistrati ad esse addetti, in un’attività di controllo interno nell’ambito di amministrazioni regionali, a loro volta poi soggette ai poteri istituzionali di controllo esercitati dalle stesse sezioni. Non è un caso, infatti, che non si tratti di una scelta isolata ed occasionale, ma corrisponda ad una linea di politica istituzionale applicata sistematicamente nella disciplina dell’organizzazione degli enti regionali in Sicilia: la disposizione, impugnata, dell’art. 5 della legge regionale n. 25 del 1976 si riferisce ad una categoria di enti (i centri interaziendali per l’addestramento professionale nell’industria); la disposizione, pure impugnata, dell’art. 15, primo comma, della legge regionale n. 212 del 1979 si riferisce a quattro enti regionali; nello stesso senso dispone, per altri due enti regionali, il terzo comma dello stesso art. 15; identica previsione si trova, a proposito di altri enti, in altre leggi regionali (cfr. ad esempio art. 6, primo comma, della legge regionale 21 dicembre 1973, n. 50, a proposito dei collegi dei revisori di tre enti). Che siffatta linea possa corrispondere all’intento del legislatore regionale, di per sé lodevole, di imprimere caratteri di serietà e di “neutralità” al controllo interno agli enti, attraverso la presenza della professionalità tipica dei magistrati contabili, non elimina la “contaminazione” fra controlli interni ed esterni, che si può realizzare attraverso la sistematica attribuzione di incarichi di controllo interno, conferiti e remunerati dalla Regione o da enti regionali, a molti degli stessi magistrati che per i compiti di istituto operano, nel medesimo ambito territoriale, nell’organo di controllo esterno. La limitazione territoriale, in questo caso, si traduce in un ostacolo all’esercizio dei compiti di salvaguardia dell’indipendenza e dell’imparzialità dei magistrati, affidati al Consiglio di presidenza, cui spetta, proprio a questi fini, deliberare sugli incarichi, e che non potrebbe impedire, non tanto in singole occasioni (per le quali esso potrebbe sempre esercitare la sua potestà di rifiutare in concreto la designazione), ma sistematicamente, che si crei l’accennato rischio di intreccio, pericoloso per l’indipendenza della Corte e dei suoi magistrati. Deve dunque concludersi che sono costituzionalmente illegittime, per contrasto con gli articoli 100, terzo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione, le disposizioni denunciate nella parte in cui limitano ai magistrati in servizio presso le sezioni regionali siciliane la scelta dei magistrati contabili cui possono essere conferiti gli incarichi in questione”.

47.  Il riferimento è a C. cost. 284/1986.

48.  Il riferimento è a C. cost. 204/2004.

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