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Sulla valutazione del capitale di una banca centrale: il caso della Bank of England (1946)

di - 10 Luglio 2014
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I profili giuridici della recente legge 5/2014 sulla rivalutazione del capitale della Banca d’Italia sono stati dettagliatamente esaminati dal prof. Capriglione in un recente articolo su Aperta Contrada. La presente nota si sofferma sullo stesso tema sotto un aspetto storico-economico, esaminando un precedente significativo, quello della valutazione del capitale della Bank of England (BoE) in occasione della sua nazionalizzazione, nel 1946. Questa fu attuata dal governo laburista di Clement Attlee, in una fase che – sulla scia del diffuso interventismo pubblico nell’economia degli anni Trenta – segnò nel R.U. il culmine delle politiche socialiste, attraverso diffuse nazionalizzazioni, politiche esplicitamente dirette al full employment dopo la pubblicazione del Rapporto Beveridge (1943), l’introduzione del Servizio sanitario nazionale, e in genere la creazione di un welfare state.

1.       Situazione precedente il 1946.
La BoE fu nazionalizzata col Bank of England Act 1946 del 14 febbraio 1946 (An Act to bring the capital stock of the Bank of England into public ownership and bring the Bank under public control, to make provision with respect to the relations between the Treasury, the Bank of England and other banks for the purpose connected with the matters aforesaid).
In precedenza, la BoE era quotata in Borsa; al momento della nazionalizzazione gli azionisti erano circa 17.000. Sulla loro influenza J.M. Keynes osserva: “Ma più interessante ancora è la tendenza che dimostrano gli organismi a capitale azionario (quando abbiano raggiunto una certa dimensione e anzianità) ad avvicinarsi allo status di enti di carattere pubblico piuttosto che di imprese private di tipo individualistico […]. Forse il caso limite di questa tendenza si ha con la Bank of England. Degli azionisti della Banca si può quasi affermare che non esista nel regno categoria di persone delle quali il governatore si preoccupi meno quando decide la sua politica. I loro diritti, al di là del tradizionale dividendo, sono già precipitati in prossimità dello zero[1].

2.       Metodo di nazionalizzazione, entità del rimborso agli azionisti.
Nel dibattito precedente l’emanazione della legge, tre furono principalmente i metodi di nazionalizzazione oggetto di vaglio: 1) trasferimento del solo controllo della BoE al Governo e mantenimento di una semplice “rendita” a favore degli azionisti; 2) trasferimento della azioni della BoE al Governo; 3) liquidazione della banca e trasferimento delle sue attività ad una nuova banca (di diritto pubblico) appositamente costituita. La soluzione scelta nella legge di nazionalizzazione fu la 2).
In particolare, il Governo avrebbe acquisito la proprietà della BoE, corrispondendo ai precedenti azionisti titoli di Stato. Il pagamento degli interessi sui titoli emessi dal Tesoro sarebbe stato coperto da pagamenti dello stesso ammontare e con le stesse scadenze fatti dalla BoE al Tesoro, in sostituzione del dividendo da corrispondere sulle azioni espropriate dal Tesoro.
La Clause 1 del Bank of England Act 1946 disponeva che:
–      le azioni della BoE fossero trasferite al Tesoro a fronte della emissione di titoli di debito pubblico a favore dei vecchi azionisti al tasso del 3% ed opzione di estinzione a favore del Tesoro esercitabile non prima di 20 anni (dal 5 aprile 1966);
–      il rapporto di concambio tra azioni BoE e nuovi titoli del Tesoro fu fissato in modo da assicurare ai titolari delle azioni lo stesso reddito annuo riveniente dai dividendi lordi medi distribuiti della BoE nei 20 anni precedenti la data del 31 marzo 1945.
Il periodo di 20 anni fu scelto perché in tale arco temporale il dividendo distribuito dalla BoE era stato relativamente stabile; la data del 31 marzo 1945 fu scelta perché quello fu il giorno dell’ultima dichiarazione dei dividendi prima che il Governo pubblicasse il progetto di nazionalizzazione della BoE.
Il dividendo medio annuo lordo su 20 anni fu calcolato come pari a Lst. 1.746.360, pari al 12% del capitale nominale della BoE, Lst. 14.553.000 (importo immutato dal 1816).
La scelta di un tasso del 3% da parte del legislatore significò che l’importo di Lst. 1.746.360 dava un capitale di Lst. 58.212.000: tale fu il valore dell’emissione dei titoli pubblici consegnati ai vecchi azionisti, in un rapporto di 4:1 rispetto all’ammontare del capitale nominale della BoE. In pratica, 100 sterline di azioni BoE con dividendo del 12% divennero 400 sterline di titoli del debito pubblico con interesse del 3%.
Questo importo di Lst. 400 venne corrisposto in titoli di Stato, a fronte di un valore di mercato delle equivalenti azioni BoE fra 380 e 390 sterline (il più alto fino ad allora raggiunto). Ciò significò:
1) riconoscere agli azionisti una lieve plusvalenza rispetto al valore di mercato, parando così l’eventuale obiezione di una parziale confisca patrimoniale;
2) riconoscere un saggio d’interesse grosso modo in linea con quello di mercato per titoli a lungo (nel 1946 il rendimento medio del “consolidato” si collocò al 2,6%) (il discount rate era invariato dal 26 ottobre ‘39 al 2%).

Note

1.  J.M. Keynes, The End of Laissez-Faire, The Hogarth Press, 1926, pp 42-44. Di parere diverso la pubblicistica dell’Italia fascista: Mario Alberti osservò che il consiglio della BoE era dominato “dalla ghilda dei banchieri inglesi […] Sacro era il mistero circa la essenza mortale degli azionisti della Banca […] Casa Rothschild non figurava apertamente nel Consiglio d’amministrazione della Banca d’Inghilterra. Vi dominava attraverso terze persone sue dipendenti”. Cfr. La guerra delle monete, Como, vol. 2, p 147.

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