Le sanzioni antitrust tra diritto amministrativo e diritto penale. Il Libro e la Spada: l’Autorità antitrust e il Leone di San Marco

Sommario: 1. L’Antitrust il Leone di San Marco: una introduzione.- 2. Public Enforcement ed esigenze di predeterminazione delle regole.- 3. (Segue): sul carattere non sempre univoco delle regole di mercato.- 4. L’esigenza della pubblicazione di Guidelines come presupposto di un efficace Public Enforcement.- 5. Conclusioni sull’uso della spada nella funzione giustiziale.

1. L’Antitrust e il Leone di San Marco: un’introduzione.
Nell’affrontare il tema delle sanzioni antitrust dopo l’approfondimento svolto da Paola Severino il compito è di gran lunga semplificato. Come si è visto, anche nella prospettiva propria degli studiosi del diritto penale, si è concordi nel ritenere che il potere sanzionatorio attribuito all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sia funzione tipicamente amministrativa, e del resto che sia una funzione amministrativa é pacifico anche nella prospettiva propria del diritto europeo.
Ma il vero tema di indagine che l’incontro di studi ci sollecita non è tanto quello della natura della funzione sanzionatoria antitrust, quanto quello del carattere afflittivo, anzi fortemente afflittivo, di questa potestà punitiva. Dai diversi contributi sul tema è di palese evidenza come sia assolutamente irrilevante il tema della natura del potere e viceversa si renda assolutamente centrale un’indagine sul contenuto duplice di questo potere.
Mi sono molto interrogato ascoltando i diversi interventi che si sono susseguiti sulla duplicità del contenuto di questo potere nel vano sforzo di ricondurlo ad unità, poi ho alzato lo sguardo e ho visto plasticamente risolto il problema su cui riflettiamo nell’immagine che campeggiava sulla parete di fondo della Sala che ha ospitato il Convegno che ha occasionato questo intervento[1].
Il riferimento è ad un bellissimo bassorilievo marmoreo che ritrae il Leone di San Marco, ebbene l’immagine di quel leone offre una mirabile sintesi della duplice funzione della podestà sanzionatoria antitrust. Il Leone di San Marco, come è ben noto, regge con una delle due zampe anteriori un libro e con l’altra tiene una spada sguainata[2].
Si badi che quel libro non è il Vangelo, gli studiosi hanno da tempo chiarito che quel libro è il libro della sapienza, delle regole della convivenza civile e del diritto. Ma quale diritto ci si deve domandare e la risposta non può essere che una: il diritto di Venezia, il diritto dei commerci e del mercato, la Lex mercatoria.E nell’altra zampa il Leone tiene salda e sguainata la spada simbolo della forza pubblica a garanzia della effettività e della piena applicazione della legge e della giustizia.
Ed è proprio questa la duplice funzione che ogni Autorità Garante del Mercato persegue, da un lato rende ben visibili le regole del mercato e dall’altro lato ne garantisce la effettività a mezzo della forza, del public enforcement, proprio come il Leone di San Marco.

2. Un Libro in parte da scrivere: l’esigenza di predeterminazione delle regole.
È diffusa l’opinione secondo cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato non sia una Istituzione che opera “nel” mercato, ma un’Istituzione pubblica che opera “per” il mercato[3], cioè al di fuori di esso, in funzione di garanzia di quell’ordine naturale che nel mercato dovrebbe virtuosamente operare, secondo la teoria smithiana della “invisible hand”[4].
Accanto a questa innegabile funzione di garanzia e di tutela della concorrenza, però, l’Autorità esercita non meno significative funzioni che non sono di mera garanzia, di arbitraggio neutrale, ma si spingono ad una vera e propria “regolazione” del mercato[5]. La tutela della concorrenza – nella prospettiva nazionale, come del resto anche in quella comunitaria – affianca alle tradizionali funzioni neutrali a garanzia dell’ordine naturale del mercato, anche funzioni “politiche” di indirizzo del mercato; ciò senza dire del sovente impiego di poteri neutrali, attribuiti a garanzia dell’ordine naturale del mercato, per esercitare funzioni “politiche” di indirizzo del mercato medesimo[6].
Del resto, come è riconosciuto nella più accreditata dottrina economica, la funzione della disciplina antitrust è proprio quella di conciliare due obiettivi fondamentali ma non coincidenti e ciò presuppone appunto l’assunzione di scelte “discrezionali” per il bilanciamento di esigenze fortemente contrapposte[7].
Da un lato, il funzionamento della concorrenza prevede il rafforzamento di quegli operatori economici meglio organizzati e in grado di sfruttare le economie di scala mediante l’ampliamento delle proprie dimensioni produttive, il mercato naturalmente favorisce la scomparsa delle imprese non idonee al raggiungimento di tali risultati perché inefficienti. Ciò, in sostanza comporta l’ulteriore rafforzamento di quelle strutture produttive già dotate di un’elevata capacità competitiva. Nella pratica, potrebbe realizzarsi l’accentramento delle scelte e delle opportunità di mercato in un unico soggetto, dando luogo alla realizzazione di un monopolio naturale, oppure di un oligopolio che vede il mercato di un prodotto nelle mani di un ridotto numero di operatori economici.
Dall’altro lato, tale strumento oltre a sostenere quelle imprese che hanno mostrato particolare vivacità, innovazione tecnologica, inventiva a livello organizzativo e che sono state capaci di acquisire una posizione di rilievo rispetto alle altre rivali, deve assicurare l’efficienza dell’intero sistema concorrenziale. Conciliare la salvaguardia di tali realtà economiche con il mantenimento della struttura concorrenziale non è cosa di poco conto. Si dovrà raggiungere un compromesso tale da garantire la permanenza di una dose di concorrenza sufficiente senza per questo penalizzare le imprese che, operando correttamente, hanno assunto una posizione di preminenza rispetto alle altre.

Tutto ciò concreta una vera e propria “politica” della concorrenza e non invece lo svolgimento di mere funzioni amministrative di garanzia. Siamo in presenza di funzioni di indirizzo politico, peraltro strettamente legate all’andamento complessivo del sistema economico ed alle scelte complessive di politica economica[8]. Ciò è tanto vero che la “politica” della concorrenza è spesso descritta come composta di due ambiti di intervento: quello di promozione e quello di tutela. Il primo, consiste nella produzione di regole dirette alla conservazione, all’introduzione o all’incremento della concorrenza, esso è frutto di un potere discrezionale e costituisce un momento politico caratterizzato dalla valutazione della situazione economica e di mercato. Conseguenza di una simile analisi è la predisposizione di una serie d’interventi volti al raggiungimento di determinati obiettivi, ai quali si perviene mediante il miglioramento delle condizioni concorrenziali. Il secondo ambito è volto alla verifica del rispetto da parte degli operatori economici delle disposizioni dettate al riguardo dagli organi “politici”. Tale fase, consiste nel vigilare sulla conservazione delle condizioni concorrenziali ed in caso di comportamenti devianti, nell’applicazione di sanzioni[9].
Ebbene è in questo consistente nucleo di politicità delle scelte che risiede la giustificazione e la stessa legittimazione dell’attribuzione di un significativo potere discrezionale in capo all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ed in generale di ogni Autorità antitrust. Di ciò era ben consapevole già il legislatore statunitense che, per primo, introdusse una disciplina legislativa a tutela della concorrenza e del mercato[10]. Come fu sottolineato dal Senatore Sherman in un famoso intervento al Congresso, se i poteri economici vengono affidati ad un’unica persona essi danno luogo “a una prerogativa regale, incompatibile con la nostra forma di governo[11]. Come ben è stato posto in evidenza, del resto, “il primo ad avventurarsi su questa strada fu lo stesso Adam Smith il quale non mancò di sottolineare gli stretti legami esistenti tra forma di Stato liberale e forma di mercato concorrenziale[12].

3. (Segue): sul carattere non sempre univoco delle regole di mercato.
Del resto, quando si parla di regole di concorrenza, occorre essere consapevoli del fatto che non esiste una definizione univoca di tali regole, esse subiscono nel tempo profonde modificazioni in ragione del fatto che la loro individuazione è legata fortemente alla scienza economica e alle sue evoluzioni.
In sostanza, il precetto contenuto nell’art. 2, comma 2, della legge n. 287 del 1990, secondo cui “sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante” è un precetto che non consente di individuare il parametro legale alla cui stregua effettuare il controllo di conformità/difformità degli atti o condotte delle imprese. E lo stesso si dica dell’art. 3, comma 1, laddove esso dispone che “è vietato l’abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante”. Il parametro legale alla cui stregua deve essere effettuato il sindacato di conformità/difformità è solo indicato dalle norme appena richiamate che fanno impiego di veri e propri concetti giuridici indeterminati: “il gioco della concorrenza”, le “intese”, il “mercato rilevante”, “l’abuso di posizione dominante”.
In presenza di tale generico riferimento a concetti giuridici indeterminati è evidente che l’Autorità chiamata ad applicare il precetto avrà l’onere di “riempire” quel precetto o se si vuole di codificare caso per caso, ovvero in via generale ed astratta, la concreta portata della regula juris[13]. Tale attività, che taluno chiama di regolazione, ma che, dal punto di vista sostanziale, altro non è che attività amministrativa in senso proprio, non può essere in nessun modo ricondotta all’esercizio di poteri quasi-giudiziali o neutrali. L’individuazione e la codificazione del precetto normativo, sia pure limitata al caso singolo, comporta sempre una scelta fra diverse regole fra loro alternative e quindi una ponderazione degli interessi in gioco (talvolta confliggenti[14]) ed una conseguente scelta “politica” circa l’assetto di interessi ritenuto ottimale[15]. La fattispecie precettiva concreta[16] che deriva dalle decisioni dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato altro non è che il frutto di questa scelta “politica[17].
Come ben evidenziato in dottrina da tempo, le norme in questione non richiedono soltanto di accertare l’obiettiva esistenza di fatti corrispondenti ad un modulo astratto precisamente predeterminato, perché i termini adoperati dalla fattispecie normativa non possono trovare un automatico ed immediato riscontro nella realtà. Il potere esercitato dall’Autorità non esige “la mera conoscenza della sussistenza di un fatto, ma del grado, della quantità in cui esso si presenta in concreto. Le condizioni per l’esercizio del potere da parte dell’Autorità sono quindi suscettibili, oltre che di un accertamento, anche di un apprezzamento, di una valutazione della misura in cui sussistono[18].
Ma per effettuare questo apprezzamento l’Autorità non può che rifarsi alla scienza economica che, come è noto, non è una scienza esatta. Essa non concorda e non è univoca nell’individuare l’ordine naturale del mercato (per usare l’espressione della norma, il “gioco della concorrenza”), ed anzi non concorda neppure nella individuazione di quale sia il mercato rilevante. Ne segue che, sia l’individuazione del mercato rilevante ai fini dell’applicazione della norma, sia l’individuazione dell’ordine naturale di quel mercato (e delle sue eventuali ed abusive alterazioni), comporta e presuppone una valutazione di merito; rende necessaria cioè una valutazione che, sulla base delle opinabili conoscenze tecniche ed economiche, assuma la scelta tutta politica su quale sia il mercato rilevante ottimale e, all’interno di quel mercato, quale sia l’equilibrio ottimale tra domanda ed offerta[19].

A tale prospettazione si potrebbe replicare (come in effetti si è replicato) che tale attività null’altro è che interpretazione della norma e che anche il giudice è abilitato a svolgere questo compito di “riempimento” del precetto in presenza di concetti giuridici indeterminati[20] (ad esempio nel caso delle norme penali in bianco). Ma tale replica appare, a chi scrive, non convincente. Nel caso che ci occupa, infatti, ciò che risulta indeterminato non è solo un termine o un concetto impiegato dal legislatore per delineare la fattispecie illecita e di converso il precetto, ma è il precetto nel suo complesso a risultare indefinito: manca, addirittura, una precisa individuazione dell’interesse pubblico (il bene giuridico, direbbero i penalisti) che la norma intende tutelare con il suo divieto.
Se l’indeterminatezza si riferisse ad un concetto impiegato dal legislatore per delineare la fattispecie illecita, l’obiezione sarebbe fondata e sarebbe ben giusto ricondurre l’interpretazione del concetto indeterminato all’attività interpretativa propria di ogni organo con funzioni giurisdizionali (la cd. discrezionalità del giudice[21]). Laddove invece la indeterminatezza riguarda – come nel caso in esame – la stessa individuazione di quale sia l’interesse pubblico da perseguire (e cioè la individuazione di quale sia l’equilibrio concorrenziale da tutelare ed in quale mercato rilevante tale equilibrio debba essere tutelato) e di quale sia il precetto da rispettare per assicurare la cura di quell’interesse, è evidente che si va molto al di là di una mera attività ermeneutica e si richiede l’assunzione di una deliberazione, una scelta, sull’equilibrato assetto degli interessi in gioco[22].
Nel far ciò è evidente che l’Autorità compie prevalentemente scelte di merito (sia pur di merito tecnico); mentre il giudice, nel confrontare il fatto con la fattispecie astratta, percorre un processo logico-valutativo, in cui prevalgono elementi di giudizio su quelli di volizione. Tale diversità nel modo di procedere rimanda ad una diversità di valori in gioco: dinanzi al giudice si verte in materia di situazioni giuridiche di singoli. Dinanzi all’Autorità antitrust il thema decidendum è dato dalla compromissione di un valore riferibile all’intera collettività[23]. La destinazione pubblica della funzione di sindacato conferisce all’Autorità il ruolo di “parte” – pur imparziale, e si perdoni l’apparente ossimoro – che agisce interessatamente a difesa del bene pubblico (rectius degli interessi pubblici) di sua pertinenza.
È questa, del resto, quella che in sede comunitaria si definisce appunto “politica” della concorrenza o se si vuole “democrazia” nel mercato[24]. Come testimonia, peraltro, l’attribuzione per legge all’Autorità di poteri consultivi e di raccomandazione, che si configurano come veri e propri strumenti per il conseguimento della “missione” istituzionale, concorrendo a collocare l’Autorità alla guida dell’elaborazione delle politiche della concorrenza e della riscoperta di un’etica della libertà attraverso il mercato[25].

4. L’esigenza della pubblicazione di Guidelines come presupposto di un efficace Public Enforcement.
Quello che sin qui si è illustrato rende ineludibile l’esigenza di tracciare un binario ben definito per l’esercizio di una funzione punitiva così fortemente afflittiva come è quella assegnata alle Autorità di concorrenza. È per questo che paiono assolutamente condivisibili i rilievi di Luciano Di Via, e che mi pare veda convinti la gran parte dei relatori, circa l’esigenza di regole, guidelines, atti generali di predeterminazione[26], se volete criteri che indirizzino gli operatori nel mercato.
Perché la legge del mercato, a differenza di quanto accadeva ai tempi della Serenissima Repubblica di Venezia, è una legge complessa, è una legge mutevole, perché come si è detto essa è fondata su teorie economiche oggetto di continua evoluzione.
Quindi l’individuazione di criteri, di regole, di principi orientativi ovviamente non necessariamente rigidi e comunque non immutabili, si rende assolutamente necessaria ed anzi è proprio questa esigenza che giustifica l’attribuzione di questo potere sanzionatorio in capo ad un’Autorità amministrativa e non ad un Giudice, alla sfera del diritto amministrativo e non del diritto penale: lo ha ricordato Paola Severino, la norma penale “ingessa” la regola di condotta.
La funzione della regola amministrativa attribuita ad una direttiva è per sua natura molto più flessibile e suscettibile dell’adattamento necessario nel tempo breve delle vicende economiche, ebbene questa esigenza di predeterminazione di criteri della funzione punitiva è esattamente quella cui assolve il libro che regge il leone di San Marco nella sua nobile zampa, perché la funzione punitiva non si può esercitare solo con la spada.

5. Conclusioni sull’uso della spada nella funzione giustiziale.
La spada della giustizia e quindi della funzione tipicamente giustiziale dell’Autorità garante, inevitabilmente presuppone una guida, una regola.
Senza voler evocare la dottrina penalistica in tema di norme penali in bianco[27], occorre sottolineare che in questo ambito, così come nel diritto penale, nell’esercizio di una funzione amministrativa di tipo afflittivo o punitivo o fortemente afflittivo, come ci è stato rappresentato in virtù del peso economico, dello straordinario peso economico di queste sanzioni, si richiede l’esistenza di qualche indicazione puntuale sulla regola del mercato in un dato momento storico, in modo che ci sia da un lato la possibilità dell’affidamento dell’impresa rispetto al contesto delle regole, e dall’altro quindi, la serenità dell’operatore a fronte di regole certe, la possibilità di porre in essere presidi, rimedi privatistici che l’imprenditore può porre in essere se conosce in anticipo le regole del gioco[28].

E non si crede certo possibile che siano rigidamente predefinite e predeterminate tutte le regole del mercato, è ben noto come sia impossibile regolare tutto in anticipo, del resto svanirebbe la funzione reale della sanzione antitrust se tutto fosse determinabile in anticipo, e tuttavia qualche regola generale, qualche criterio generale con valore di direttiva modificabile nel tempo ridurrebbe quel grado di incertezza che espone la stessa Autorità garante ai rischi di un eccesso di sindacato del giudice amministrativo[29].
Michel Petite ci ha ricordato che il diritto europeo richiede un sindacato di giurisdizione piena del giudice amministrativo. Come non essere d’accordo con la necessità di una giurisdizione piena[30]. Ma la giurisdizione piena, proprio perché non giurisdizione di legittimità e quindi formale, va esercitata con garbo – in grado e con quantità dosate e limitate – se, come è vero, si dice che in primo grado i giudici amministrativi (o meglio la prima Sezione del Tar del Lazio) annullino l’ottanta per cento delle decisioni dell’Antitrust, questo è frutto non del fatto che l’Antitrust non abbia fatto bene il suo mestiere, ma del fatto che il giudice non conoscendo la regola o il parametro del suo controllo di legittimità vada oltre, vada molto oltre il necessario[31].
Anche per questo è giusto che l’Autorità si possa dotare di criteri, linee direttrici, che credo poi vadano esattamente nella direzione di dare soddisfazione all’imprenditore e all’operatore che saprà come comportarsi, e se si comporta male conoscendo le regole potrà giustamente meritare una sanzione molto afflittiva, nel rispetto del principio di proporzionalità e di adeguatezza della pena rispetto ad una condotta illecita che in quel caso sarebbe sicuramente consapevole.
Ci si ferma qui perché si crede che riconoscere all’Autorità nella sua funzione di regolatore significa consentirle di dettare regole in anticipo, e si crede che lo scrivere qualche pagina in più al libro della Legge del commercio, che il Leone di San Marco tiene con una zampa, possa rendere più efficace (anche se talvolta meno cruento) anche l’uso della spada impugnata nell’altra zampa.

Il contributo è una rielaborazione dell’intervento al Convegno “Le sanzioni antitrust tra diritto amministrativo e diritto penale” tenutosi a Roma, presso Palazzo Venezia, il 24 Ottobre 2013.

Versione Inglese

Note

1.  Il riferimento è alla Sala dell’antico Refettorio trecentesco del Palazzo Venezia a Roma.

2.  Sulla iconografia del Leone marciano vi è una bibliografia sterminata. Si veda Giorgio Aldrighetti, L’araldica e il leone di San Marco. Le insegne della provincia di Venezia. Marsilio, Venezia 2002. Ed ancora G. Aldrighetti e M. De Biasi, Il gonfalone di San Marco. Analisi storico-araldica dello stemma, gonfalone, sigillo e bandiera della Città di Venezia, Venezia, Filippi Editore, 1998.

3.   Distinzione che ricorda, pur con un significato diverso, quella proposta da A. Pace, Libertà “del” mercato e “nel” mercato (1991), in La Costituzione economica, Cedam, Padova, 1997, p. 175 ss.

4.   Il riferimento è, come intuibile, ad A. Smith, An Inquiry onto the Nature and Causes of the Wealth of the Nations (1776), trad. it. La ricchezza delle nazioni, Utet, Torino, 1987.

5.  Come ben è stato messo in evidenza, “contrariamente a quanto si legge frequentemente nei libri americani, dove sono diffuse espressioni del tipo regulation of competitive practices per individuare gli interventi dell’Antitrust Division del Department of Justice, la disciplina della concorrenza (e cioè il rispetto delle pratiche concorrenziali imposto da norme ed applicato da un’autorità pubblica) non fa parte della regolazione, infatti la regolazione all’opposto delle funzioni di tutela della concorrenza si concreta in forme di ingerenza che non sono esterne al mercato, ma che sono parte del mercato, nel senso che contribuiscono a conformarlo”, così S. Cassese, Regolazione e concorrenza, nel volume dal medesimo titolo, a cura di G. Tesauro e M. D’Alberti, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 12 s. In questi interventi, allora, “lo Stato diventa un attore del mercato. Stabilisce i presupposti del mercato e compie atti negoziali sostitutivi degli atti negoziali dei privati o impone ai privati di compiere atti negoziali che non vengono posti in essere sulla base dell’autonomia privata”, così F. Merusi, Il potere normativo delle autorità indipendenti, nel volume a cura di G. Gitti, L’autonomia privata e le autorità indipendenti, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 47.Posizione questa non sempre chiara a chi si è occupato di regolazione. Tra gli studi di maggior rilievo oltre al citato volume a cura di G. Tesauro e M. D’Alberti, Regolazione e concorrenza, si vedano, in chiave sociologica, A. La Spina e G. Majone, Lo stato regolatore, Il Mulino, Bologna, 2000 e, con una prospettiva giuridica, L. Giani, Attività amministrativa e regolazione di sistema, Giappichelli, Torino, 2002. Si vedano anche, per completezza, S. Frego Luppi, L’amministrazione regolatrice, Giappichelli, Torino, 1999 e M. Antonioli, Mercato e regolazione, Giuffré, Milano, 2001.

6.  Sul rilievo che assumono le c.d. “politiche per la concorrenza” si vedano i rilievi di A. Pera, Concorrenza e antitrust, Il Mulino, Bologna, 3^ ed., 2005, p. 112 ss. Ed ormai anche la nostra Corte costituzionale riconosce che la tutela della concorrenza “non può più essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell’accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato, o ad instaurare assetti concorrenziali”. Così, Corte cost., 13 gennaio 2004, n. 14, in Giur. cost., 2004, p. 237 ss., con note di A. Pace, Gli aiuti di Stato sono forme di “tutela” della concorrenza, p. 259 ss.; G.P. Dolso, Tutela dell’interesse nazionale sub specie di tutela della concorrenza?, p. 265 ss.; C. Bozzacchi, Principio della concorrenza e aiuti di Stato tra diritto interno e diritto comunitario, p. 277 ss. Nonché Corte cost., 27 luglio 2004, n. 272, ivi, 2004, p. 2748, con nota di S. Bellomia, A proposito di servizi privi di rilevanza economica e di gestione dei beni culturali, p. 2760 ss.; nonché in Servizi pubblici e appalti, 2004, p. 831 ss., con nota di A. Police e W. Giulietti, Servizi pubblici, servizi sociali e mercato: un difficile equilibrio.

7.  Si pensi alla rilevanza degli interessi sociali coinvolti. Sul tema si veda L. Di Via, Antitrust e diritti sociali,E.s.i., Napoli, 2004, spec. p. 24 ss.

8.  Così A. Frignani e M. Waelbroeck, Disciplina della concorrenza nella CEE, Giappichelli, Torino, 1996, p.7 s.

9.  Così F. Gobbo, Il mercato e la tutela della concorrenza, Il Mulino, Bologna, 2001, p. 16 s.

10.  Il riferimento è, come ovvio, allo Sherman Act del 1890. Per maggiori riferimenti V. Mangini, La vicenda dell’antitrust: dallo Sherman Act alla legge italiana n. 287/90, in Riv. dir. ind., 1995, p. 176 ss.Negli Stati Uniti fra gli studiosi che hanno sostenuto la tesi della “politicità” dell’antitrust statunitense, pur con assai diverse sfumature, H. Thorelli, The Federal Antitrust Policy: Origination of an American Tradizion, John Hopkins, Baltimore, 1954; E. Fox, The Modernization of Antitrust: a New Equilibrium, in Cornell Law Review, 1980, n. 66, p. 1140 ss.; D. Millon, The Sherman Act and the Bilance of Power, in The Political Economy of the Sherman Act. The First One Hundred Years (a cura di E. Th. Sullivan), Oxford University Press, Oxford, New York, 1991, p. 111 ss. Contra R. Bork, The Antitrust Paradox: a Policy at War with Itself, Basic Books, New York, 1978, passim.

11.  La citazione è tratta da M. Giampieretti, Il principio costituzionale della libera concorrenza: fondamenti, interpretazioni, applicazioni, in Dir. soc., 2003, p. 472.

12.  Il pertinente rilievo è di M. Giampieretti, op. ult. cit., p. 468 ss., il quale ricollega le posizioni di Smith al concetto di “potere limitato” proprio del pensiero liberale di J. Locke, Two Treatises of Government (1690), trad. it. Due trattati sul governo, Utet, Torino, 1992.

13.  Come rileva da tempo anche il Consiglio di Stato (Sez. VI, 24 maggio 2002, n. 2199, RCAuto; Id., 2 marzo 2004, n. 926, Pellegrini/Consip), l’Autorità procede ad un accertamento dei fatti cui segue una fase di “contestualizzazione” delle norme poste a tutela della concorrenza norme che, avvalendosi di “concetti giuridici indeterminati” devono essere adeguatamente interpretate al fine di individuare gli elementi costitutivi dell’illecito contestato.Non è questa la sede per soffermarsi sui concetti giuridici indeterminati. Ma occorre ricordare come è proprio partendo da essi che la scuola tedesca del diritto amministrativo ha avviato la costruzione della nozione di discrezionalità amministrativa. Il riferimento è all’opera di E. Bernatzik e F. Tezner (per più ampi riferimenti sul punto, si vedano D. De Pretis, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Cedam, Padova, 1995, passim e P. Lazzara, Autorità indipendenti e discrezionalità, Cedam, Padova, 2001, spec. p. 118 ss.). Laddove l’attività amministrativa discrezionale veniva appunto intesa come operazione interpretativa dei concetti giuridici indeterminati (ed in questo senso attività esecutiva). Per una rivisitazione attuale di questo pensiero si veda lo studio di L. Benvenuti, La discrezionalità amministrativa, Cedam, Padova, 1986 che lo ha attualizzato proprio con riferimento all’attività dell’Autorità Garante, Id., Interpretazione e dogmatica nel diritto amministrativo, Giuffré, Milano, 2002, p. 148 ss. Da ultimo, F. Cintioli, Giudice amministrativo, tecnica e mercato, Giuffré, Milano, 2005, p. 97 ss.

14.  Sul punto G(uido) Rossi, Il conflitto di obiettivi nell’esperienza decisionale delle Autorità, in Regolazione e garanzia del pluralismo. Le Autorità amministrative indipendenti, Giuffrè, Milano, 1997, e già in Riv. soc., 1997, p. 273 ss.

15.  Il riferimento è alla ricostruzione della discrezionalità di M.S. Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Giuffré, Milano, 1939, passim. Posizione da ultimo ripresa da F.G. Scoca, La discrezionalità nel pensiero di Giannini e della dottrina successiva, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, p. 1045 ss.

16.  Per un approfondimento sul tema della fattispecie precettiva è d’obbligo il rinvio al volume di F.G. Scoca, Contributo al tema della fattispecie precettiva, Università degli studi di Perugia, Città di Castello, 1979.

17.  E ne è convinta anche la migliore giurisprudenza amministrativa. Il Consiglio di Stato (sempre nella decisione della Sez. VI, 24 maggio 2002, n. 2199, al punto 1.3.1) è ben consapevole che l’Autorità pone in essere almeno in parte un’attività discrezionale di carattere tecnico, riservando l’esercizio di una discrezionalità in senso proprio all’adozione di provvedimenti di dispensa o di deroga di cui agli artt. 4 e 25 della legge n. 287 del 1990.

18.  Così M. Ramajoli, Attività amministrativa e disciplina antitrust, Giuffré, Milano, 1998, p. 337.

19.  Sul punto si veda G. De Minico, Antitrust e Consob – Obiettivi e funzioni, Cedam, Padova, 1997, p. 268. Più di recente F. Cintioli, Giudice amministrativo, cit., p. 107.Sull’arbitrarietà di tali concetti, v. N. Irti, La polemica sui concetti giuridici, in Riv. trim dir. proc. civ., 2004, p. 13 ss., ora anche in Nichilismo giuridico¸Laterza, Roma-Bari, 2004, p. 51 ss.

20.  Sul punto si veda M. Clarich, Per uno studio sui poteri dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in Dir. amm., 1993, ora aggiornato nel volume a cura del medesimo Autore, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 85 ss. Si veda in particolare p. 96, secondo cui appunto “l’esercizio di un siffatto potere di accertamento presuppone da parte dell’Autorità una serie di valutazioni anche complesse, nessuna delle quali però postula un apprezzamento ed una ponderazione di interessi diversi ed ulteriori rispetto a quello generale dell’osservanza della norma applicata”. Se ne fa seguire che “l’attività così posta in essere non è affatto diversa da quella che viene svolta dal giudice civile o penale chiamato a qualificare e sussumere una fattispecie concreta in una fattispecie normativa in vista della comminazione di una sanzione”.

21.  Il riferimento è ai noti studi di A. Raselli, Il potere discrezionale del giudice civile, Cedam, Padova, vol. I e II, rispettivamente 1927 e 1935; il primo volume è poi stato ripubblicato in Studi sul potere discrezionale del giudice civile, Giuffré, Milano, 1975. Sulla discrezionalità del giudice, in chiave comparata, A. Barak, Judicial Discretion (1989), trad. it., Giuffré, Milano, 1995.

22.  Sul punto si vedano le considerazioni di A. Pera, Autorità di garanzia, Autorità di regolazione e tutela della concorrenza, in Econ. pubbl., 1997, p. 138 ss.

23.  Come ben mette in evidenza G. De Minico, Antitrust e Consob – Obiettivi e funzioni, cit., p. 267, non “si può aderire alla tesi avanzata dai neutralisti, secondo cui la legge tutelerebbe gli interessi diffusi, quali quelli dei consumatori o dei concorrenti, perché, invece, la legge 287/90 ha subordinato l’intervento di costoro nel procedimento a condizioni più gravose di quelle contemplate in termini generali nella L. 241/90, il che sarebbe contraddittorio se l’obiettivo della legge fosse stato proprio quello di difendere le posizioni di tali soggetti”.

24.  Simile è la posizione di G. Tesauro e M. Todino, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in Enc. dir., Aggiornamento, vol. VI, Giuffré, Milano, 2002, p. 114, laddove affermano che “la disciplina di tutela della concorrenza costituisce anche uno strumento di democrazia, nel senso che è finalizzata a tutelare gli interessi generali della collettività e ad impedire l’affermarsi del potere privato nelle sue forme deteriori, ossia il monopolio”.L’Autorità antitrust persegue obiettivi che sono tipicamente di policy, dettati in via generale dal Parlamento, cui essa direttamente risponde, e che è chiamata ad elaborare discrezionalmente sulla base della loro expertise, che qualifica e consegna autorevolezza alle politiche istituzionali. Sul punto si veda G. Majone, The development of social regulation in the European Community: policy externalities, trancaction costs, motivational factors, in Aussenwirtschaft, 1996, p. 26. E la tesi è in qualche modo sottesa anche al bel volume di G. Amato, Il potere e l’antitrust. Il dilemma della democrazia liberale nella storia del mercato, Il Mulino, Bologna, 1998.

25.  Così M. De Benedetto, L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 376 che, nel riferimento alle libertà, si ispira al pensiero di G. Amato, Il gusto della libertà. L’Italia e l’Antitrust, Laterza, Roma-Bari, 1998.

26.  Su cui si consenta di rinviare al mio lavoro monografico La predeterminazione delle decisioni amministrative. Gradualità e trasparenza nell’esercizio del potere discrezionale, Esi, Napoli, 1997.

27.  E qui attingo agli insegnamenti di Paola Severino, che è stata il mio professore di Diritto Penale all’Università (mi si consenta questa citazione autobiografica). Si vedano comunque le trattazioni di parte generale più autorevoli, da F. Antolisei, Diritto penale, 11^ ed., Milano, 1989, p. 45 a G. Fiandaca ed E. Musco, Diritto penale, Zanichelli, Roma-Bologna, 3^ ed. 1995, p. 57.

28.  Il tema della certezza delle regole è oggetto di numerosi studi, per tutti si cita il saggio di F. Merusi, La certezza dell’azione amministrativa fra tempo e spazio, relazione al 48° Convegno di studi amministrativi (Varenna, settembre 2002), ora nel volume a sua cura Sentieri interrotti della legalità, Il Mulino, Bologna, 2007, p. 39 ss.

29.  Si produrrebbe una tipica resistenza istituzionale all’innovazione economica, di quelle che fanno evocare a F. Merusi (Diritto contro Economia, Giappichelli, Torino, 2006, p. 1) quell’effetto da “Disordine di un corpo classico” degli acrilici di Emilio Tadini.

30.  Il riferimento corre ai miei studi, e mi si perdoni l’ineleganza, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al giudice amministrativo, voll. I e II, Cedam, Padova, rispettivamente 2000 e 2001.

31.  Su cui si rinvia al mio lavoro Tutela della concorrenza e pubblici poteri,Giappichelli, Torino, 2007, cap. IV.