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La rivalutazione del capitale della Banca d’Italia. Una complessa vicenda meritevole di chiarimenti.

di - 14 Marzo 2014
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Successivamente, il tentativo di ridisegnare un nuovo sistema partecipativo al capitale della Banca d’Italia caratterizzato in chiave pubblicistica si è avuto con la legge n. 262/2005, nella quale all’art. 19, comma 10, si prevede l’adozione di «un regolamento … ai sensi dell’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400» per ridefinire l’assetto proprieta­rio della Banca d’Italia e disciplinare «le modalità di trasferimento, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della … legge, delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici».
Come è stato sottolineato in letteratura il regolatore, anziché optare per una soluzione di rottura col passato, preferì imboccare la «comoda scorciatoia del rinvio ad un emanando regolamento in materia» (cfr. URBANI, La riforma della Governance e delle competenze della Banca d’Italia, in AA.VV., La tutela del risparmio nella riforma dell’ordinamento finanziario, a cura di De Angelis e Rondinone, Torino, 2008, p. 462); venne, anzi, previsto per la definizione di tale provvedimento un arco temporale di ampiezza tale da indurre un’autorevole stu­dioso ad ipotizzare, all’epoca, che la riforma in parola era destinata, con tutta proba­bilità, a rimanere «un’incompiuta» (cfr. MINERVINI, La Banca d’Italia, oggi, in Banca, borsa e titoli di credito, 2006, I, p. 630). Ipotesi poi confermata dalla realtà fattuale, la quale ha evidenziato l’inerzia, o forse il timore, della politica nel dar seguito ad un impegno che avrebbe potuto incidere negativamente su equilibri istituzionali consoli­dati nel tempo.

3. Passando, quindi, all’esame delle modalità tec­niche che caratterizzano l’aumento del capitale della Banca d’Italia, occorre aver riguardo all’art. 4 della legge n. 5/2014 che ne ha autorizzato l’«importo di euro 7.500.000.000», cui far fronte «mediante utilizzo delle riserve statutarie», e la realizzazione previa «nuova emissione» di «quote nomi­native di partecipazione, di euro 25.000 ciascuna».
La determinazione dell’importo sopra indicato, come viene precisato in un do­cumento della stessa Banca d’Italia, tiene conto della necessità di escludere i diritti economici dei titolari delle quote «sulla parte delle riserve … riveniente dal signo­raggio, poiché quest’ultimo deriva esclusivamente dall’esercizio di una funzione pubblica (l’emissione di banconote) attribuita per legge alla banca centrale» (cfr. Un aggiornamento del valore delle quote di capitale della Banca d’Italia, visionabile su www.bancaditalia.it). Si è avuto riguardo, peraltro, all’esigenza di computare in tale importo le ‘riserve ordinarie e straordinarie’, formate ai sensi degli articoli 39 e 40 del previgente statuto della nostra banca centrale, disposizioni che prevedevano la possibilità di effet­tuare annualmente accantonamenti a tal fine, salva la distribuzione di dividendi (per un importo fino al 10 per cento del capitale) e di somme aggiuntive(non superiori al 4% dell’importo delle riserve risultanti dal bilancio dell’anno precedente).
Risulta evidente, quindi, l’adozione di criteri di misurazione del valore delle quote preordinati, per un verso, a circoscrivere le pretese dei titolari delle medesime sulle riserve statutarie, per altro a chiarire i limiti entro cui è possibile riconoscere ad essi l’assegnazione, per il futuro, di un flusso reddituale di entità correlata al valore corrente delle partecipazioni suddette.
Non rientra nelle mie competenze valutare la congruità delle stime ed i risultati dell’analisi effettuata dai tre saggi (Franco Gallo, Lucas Papademos e Andrea Sironi) che, nel riferimento ai principi generali della finanza, hanno indicato in una forbice compresa tra 5 e 7 miliardi e mezzo l’importo dell’operazione in esame, ponendo il presupposto per il calcolo del «valore attuale netto del flusso dei dividendi futuri che saranno percepiti dai partecipanti in base all’attuale disciplina» (cfr. Un aggiornamento del valore delle quote di capitale della Banca d’Italia, cit.,p. 2.).
Per converso, non avrei dubbi a ravvisare a fondamento dei richiamati criteri ricostruttivi, sottesi alla legge n. 5/2014, una logica ordinatoria preordinata a far chiarezza, ad evitare cioè equivoche interpretazioni della normativa statutaria oggi superata. Sicchè, si è ben lontani dagli intenti di natura diversa rappresentati da coloro che, nel dare una visione distorta dell’operazione in parola, la definiscono come «un regalo alle banche» (cfr. tra gli altri GHIA, Ricapitalizzazione a danno dei cittadini, visionabile su www. opinione.it/politica/2014/01/22).

4. Alla luce di quanto precede va analizzata la denuncia recentemente presentata alla Commissione UE da un’associazione di categoria (che ha valutato criticamente i contenuti della legge n. 5/2014), richiedendo a quest’ultima di attivarsi al fine di verificare un’eventuale viola­zione della normativa in materia di ‘aiuti di Stato’(cfr. l’editoriale dal titolo «Decreto Bankitalia, Ue chiede chiarimenti. ‘Aumento capitale possibile aiuto di Stato’» visionabile su www.ilfattoquotidiano.it del 28 febbraio 2014). In analoga logica si colloca, poi, l’interrogazione presentata alla Commissione europea da un europarlamentare che ha posto il medesimo problema, domandando, in particolare, se «le riserve di BI sono da considerarsi risorse pubbliche o utili liberamente distribuibili ai soci di BI o destina­bili ad aumenti di capitale di BI» (cfr. Parlamento europeo, interrogazione a firma di Niccolò Rinaldi del 20 febbraio 2014).
Tali richieste d’intervento alla Commissione non ap­paiono attendibili sul piano di una rigorosa riferibilità alla regolazione che disciplina la materia degli ‘aiuti di Stato’ nell’UE.

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