La tutela della proprietà privata contro i comportamenti illegittimi dell’amministrazione in Francia: alcune novità in materia di voie de fait

Sommario. 1. Premessa. – 2. La teoria della voie de fait, evoluzioni ed involuzioni. – 3. I rapporti problematici con le altre teorie elaborate dalla giurisprudenza a tutela della proprietà privata.– 4. Riflessioni a margine.

1. Premessa.
Con questo contributo si intende svolgere qualche riflessione sulla tutela del diritto di proprietà, con particolare riguardo al riparto di giurisdizione, nelle recenti evoluzioni della giurisprudenza francese. Lo spunto viene da una pronuncia del Tribunal des Conflits che rivisita i presupposti per l’applicazione della teoria della voie de fait, nozione giurisprudenziale che indica un comportamento materiale dell’amministrazione lesivo di una libertà fondamentale o del diritto di proprietà, e devolve le relative controversie al giudice ordinario. Il giudice del riparto, nel giugno 2013, sembra restringerne l’area di operatività, facendo sorgere un dibattito circa l’attuale utilità del rimedio, già da sempre oggetto di critiche da parte della dottrina, nonché profondamente ridimensionato dalla progressiva introduzione nell’ordinamento francese di altri strumenti idonei a reagire ad arbitri dell’amministrazione in materia. Il dibattito dottrinale tradisce alcune incertezze dogmatiche, posto che il fondamento teorico della voie de fait, se correttamente individuato, è sufficiente a fungere da discrimine con tutti i rimedi asseritamente sovrapponibili. La confusione che si crea tra gli stessi – provocata o quantomeno aggravata dalla loro natura per lo più giurisprudenziale – impone la ricerca di un criterio discretivo univoco e chiaro, che la giurisprudenza francese ha individuato nella nozione di “attività non collegata all’esercizio del potere”. Tale criterio sembra tuttavia restare sfumato nelle applicazioni giurisprudenziali e nelle letture dottrinali, mentre un’attenzione primaria viene accordata alla gravità della lesione al diritto di proprietà. Se tale ultimo aspetto è di certo inidoneo, di per sé, a fondare il riparto, esso è sicuramente capace di mettere in luce come la proprietà riceva necessariamente una tutela sfaccettata, potremmo dire “graduata”, anche in un ordinamento che non conosce la distinzione tra interesse legittimo e diritto soggettivo. Tale graduazione si esprime nella devoluzione delle controversie all’uno o all’altro giudice, posto che le due modalità di tutela divergono sostanzialmente, anche nell’attuale scenario di grande omogeneità tra i rispettivi poteri. L’idea che sembra emergere in controluce dal dibattito francese è quella che l’opzione tra le due giurisdizioni possa essere legata a motivazioni storiche, e finanche condizionata da fattori ideologici, relativi alla diversa “cultura” dei due giudici, prima ancora di essere legata a criteri di riparto netti. L’influenza delle scelte legislative in materia di giurisdizione su interessi economici è del resto questione attuale anche nel dibattito italiano, dove tuttavia essa sembra porsi in termini molto diversi.

2. La teoria della voie de fait, evoluzioni ed involuzioni.
La voie de fait è definita come un comportamento amministrativo, viziato da illegittimità manifesta (irrégularité manifeste), che arrechi grave pregiudizio ad una libertà fondamentale o al diritto di proprietà[1]. In tali casi, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, posto che la gravità del vizio avrebbe l’effetto di snaturare l’attività amministrativa, che non potrebbe più qualificarsi come tale[2]; la giurisdizione ordinaria è, al tempo stesso, motivata considerando che tale sarebbe il giudice naturale delle libertà e diritti fondamentali[3].
Per comprendere il fondamento giuridico di questa teoria è bene ripercorrerne brevemente le vicende storiche. La lettura dottrinale più accreditata distingueva due fattispecie di voie de fait, rispettivamente par manque de droit, attività materiale non sorretta da alcuna legittimazione giuridica, e par manque de procédure, attività esecutiva di un atto pur legittimo, ma esercitata nel mancato rispetto delle condizioni di procedura imposte[4]. Confluivano quindi in un unico contenitore sia le attività materiali dell’amministrazione non sostenute da atti giuridici validi, sia gli atti amministrativi viziati in modo così radicale da farne discendere l’inesistenza o la nullità[5]. Tale distinzione richiama inevitabilmente all’orecchio italiano quella tra carenza di potere in astratto ed in concreto, a lungo teorizzata dalla Cassazione come criterio di riparto della giurisdizione, e fortemente criticata per la confusione che creava tra carenza di potere e cattivo esercizio dello stesso; la bipartizione operata dalla dottrina francese, a tutt’oggi costantemente richiamata, cade nel medesimo malinteso[6]. La necessità di pervenire ad un criterio univoco è stata alla base degli sforzi soprattutto del Conseil d’Etat, che ha infine elaborato la nozione, poi costantemente assunta come definitoria, di atto “manifestement insusceptible d’etre rattaché à l’exercice d’un pouvoir appartenant à l’administration” [7]. Si tratta dunque di quella che noi avremmo chiamato, con terminologia desueta, carenza di potere in astratto, o che il legislatore oggi chiama difetto assoluto di attribuzione.
Se questo è il primo elemento costitutivo della voie de fait – l’irrégularité manifeste – il secondo è la lesione di una libertà fondamentale o del diritto di proprietà[8]. Tali situazioni giuridiche vengono in rilievo al di fuori di qualsiasi potere amministrativo legittimamente attribuito, la cui mera astratta spettanza escluderebbe la configurabilità della voie de fait[9]; la loro lesione, di conseguenza, deve ricollegarsi sempre ad un piano di patologia, rispetto alla quale l’ordinamento garantisce la tutela piena ed incondizionata garantita dal giudice ordinario. Per quanto qui interessa, rispetto alla lesione del diritto di proprietà, è tuttavia necessario individuare il grado di gravità dell’offesa che possa giustificare l’operatività della teoria: la giurisprudenza ha utilizzato formule variegate, ma nell’interpretazione dottrinale queste sono state unanimemente lette nel senso di richiedere lo spossessamento, mentre non è sufficiente una semplice turbativa del diritto né una lesione delle modalità di esercizio dello stesso[10].

Rispetto a questo scenario, consolidato da costanti conferme anche da parte del giudice del riparto, il Tribunal des conflits, in una pronuncia del giugno 2013[11], ha introdotto una nuova formula definitoria, richiedendo espressamente l’estinzione del diritto di proprietà in capo al soggetto privato. Molto si è discusso sull’effettiva portata di questa locuzione, ritenuta soprattutto esemplificativa della volontà del Tribunal des conflits di ridimensionare ancora l’area di operatività dell’istituto[12]. Il criterio, tuttavia, appare fuorviante, posto che sposta l’attenzione dalla natura (materiale o giuridica) dell’attività amministrativa illegittima alla gravità della lesione portata da questa al diritto di proprietà, apparentemente dimenticando qual è il carattere fondamentale della voie de fait, pure esplicitato in modo chiaro dalla giurisprudenza degli anni ‘50[13]. L’attenzione portata all’effetto traslativo della proprietà, nonché la presunta intenzione di ridimensionare l’ambito applicativo della voie de fait, impongono l’analisi dei rapporti tra questa teoria e le altre elaborazioni giurisprudenziali a tutela della proprietà privata contro l’attività amministrativa illegittima.

3. I rapporti problematici con le altre teorie elaborate dalla giurisprudenza a tutela della proprietà privata.
Lo stesso principio, già richiamato, per cui il giudice ordinario è giudice dei diritti fondamentali, giustifica che questi intervenga anche in materia di espropriazione[14], stante la natura inviolabile e sacra del diritto di proprietà[15]. Al giudice ordinario sono infatti devolute le controversie risarcitorie in caso di expropriation de fait o expropriation indirecte, nozione con cui la giurisprudenza indica il trasferimento di proprietà che si verifica quando la PA costruisce su suolo privato un’opera pubblica senza averne titolo[16]. Di nuovo, l’intervento del giudice ordinario è previsto dalla teoria giurisprudenziale dell’emprise irregulière[17] per il risarcimento dei danni da lesione arrecata dalla PA alla proprietà privata immobiliare. È evidente che l’expropriation indirecte si realizza necessariamente a seguito di un’emprise irrégulière[18], si dovrà allora tentare di distinguere l’emprise irrégulière dalla voie de fait, posto che i poteri del giudice ordinario nei due casi differiscono sensibilmente.
La voie de fait richiede, si è visto, un’attività amministrativa del tutto avulsa dall’esercizio del potere. Di conseguenza, il giudice ordinario non deve sottostare al divieto di conoscere l’atto amministrativo[19] ed ha accesso alla questione in modo pieno, con poteri amplissimi[20] (sospendere l’esecuzione dell’attività amministrativa illegittima, ingiungere all’amministrazione di rilasciare o restituire il bene[21], condannarla a delle astreintes[22]).
Rispetto all’istituto dell’emprise irrégulière, deve ulteriormente distinguersi tra due ipotesi. L’emprise, infatti, può essere irregolare perché fondata su un titolo illegale o eseguita con modalità discordanti con quelle previste nel titolo valido (ad esempio, dopo la scadenza dello stesso), oppure perché esercitata in assenza totale di titolo. Torna qui, con tutta evidenza, la confusione tra carenza di potere e cattivo esercizio dello stesso già riscontrata parlando della distinzione tra voie de fait par manque de procédure e par manque de droit. In entrambi i casi di emprise irrégulière (atto illegittimo o scaduto ed assenza di atto), comunque, il giudice ordinario ha poteri ben più ristretti di quelli esercitati nell’ambito della voie de fait, limitati al risarcimento del danno, competendo al giudice amministrativo la cognizione di ogni altro aspetto[23].
Tale sistemazione del riparto di giurisdizione risponde ad una ratio evidente nei casi di emprise in cui esiste un atto amministrativo (una dichiarazione di pubblica utilità), seppur viziato o scaduto: poiché spetta al giudice amministrativo constatarne l’illegittimità, al giudice ordinario residuerà soltanto giurisdizione in merito al ristoro delle conseguenze dannose. Maggiore è la difficoltà in caso di emprise irrégulière in cui manca del tutto l’atto amministrativo legittimante. In tali casi, infatti, la differenza con la voie de fait non può essere apprezzata sul piano ontologico: entrambi sono casi di carenza di potere in astratto. Rileva allora una differenza riscontrabile rispetto all’ambito applicativo, posto che la voie de fait  si applica anche ai beni mobili ed ai diritti reali immobiliari, mentre l’emprise si applica solamente all’occupazione di beni immobili[24]. Per il resto, l’emprise si risolve come la voie de fait in uno spossessamento o in una manomissione del bene oggetto del diritto[25]; pertanto, qualsiasi altra e meno grave lesione o interferenza con un diritto di proprietà immobiliare compete al giudice amministrativo in toto, anche per le questioni risarcitorie, così come gli compete il risarcimento dell’eventuale danno derivante da una procedura di emprise regolare, in quanto attività legittima promanante da un potere pubblico[26].
Le fattispecie dell’emprise e della voie de fait non sono distinte in modo chiaro nella giurisprudenza, e sono state finanche riscontrate congiuntamente[27], circostanza che era ritenuta pacificamente ammissibile dalla dottrina[28], ma che non può affermarsi in via assoluta e deve invece, secondo le considerazioni appena svolte, limitarsi ai casi di emprise in totale carenza di potere, posto che difetterebbe altrimenti il primo dei presupposti della voie de fait. Le due fattispecie, che possono in tale ipotesi coesistere perché entrambe riferite a casi che potremmo definire di carenza di potere in astratto, soggiacciono comunque al differenziato regime cui si è fatto cenno: per la voie de fait, il giudice ordinario avrà piena giurisdizione, per l’emprise la sua cognizione sarà limitata alle questioni risarcitorie. È il caso di richiamare, tuttavia, le modifiche normative apportate all’art. L. 12-5 del Code de l’expropriation[29], che hanno previsto, per il caso di emprise conseguente ad una dichiarazione di pubblica utilità annullata in sede giurisdizionale, la caducazione ex tunc della successiva ordinanza di esproprio[30]; in tal modo, l’effetto traslativo non si sarebbe mai realizzato ed al privato proprietario resterebbero tutte le azioni a tutela della proprietà (ma non la voie de fait). Tale soluzione normativa è limitata all’ipotesi di annullamento della dichiarazione di pubblica utilità, ma dovrebbe ragionevolmente ritenersi estesa ad altre ipotesi, in particolare quella in cui l’atto amministrativo legittimante manchi del tutto[31].

Rispetto alla teoria dell’emprise, quella dell’expropriation indirecte si pone in relazione di continuità logica: essa si realizza quando, a seguito di una modificazione irreversibile del bene immobile privato per la costruzione di un’opera pubblica, la proprietà ne è trasferita all’amministrazione; ciò in ossequio al principio dell’intangibilità dell’opera pubblica[32]. Il regime è quello dell’emprise: soltanto le questioni risarcitorie spettano al giudice ordinario. Analogamente a quella di emprise, la definizione è dubbia rispetto ai comportamenti occupativi messi in atto in assenza ab origine di qualsiasi titolo valido, ovvero in carenza di potere in astratto. In ogni caso, rispetto all’intera fattispecie dell’expropriation indirecte, la ridefinizione dell’operatività della voie de fait come operante solo in caso di estinzione del diritto di proprietà non sposta – né potrebbe spostare – i confini dei due istituti. Sebbene nel definire emprise ed espropriation esso non sia preso in considerazione, il criterio discretivo deve (o dovrebbe) essere riscontrato nell’esistenza o meno di un potere astrattamente riconducibile all’amministrazione. La giurisprudenza del giugno 2013, allora, fallisce il suo presunto intento di delimitazione e ridefinizione dei rispettivi ambiti della voie de fait e degli altri rimedi apparentemente concorrenti, che sono in realtà strettamente alternativi.
Peraltro, il fatto di richiedere la soppressione del diritto di proprietà da parte di un atto materiale dell’amministrazione (quale è la voie de fait)equivale a sottintendere che tale atto possa avere effetto traslativo del diritto, possibilità come noto negata dalla giurisprudenza CEDU[33] ed alla base delle stesse modifiche legislative del ’95 al Code de l’expropriation, già richiamate, in materia di annullamento della dichiarazione di pubblica utilità.

4. Riflessioni a margine.
Molte le riflessioni che sorgono ad una lettura, seppur così rapida, del panorama giurisprudenziale in materia. Ci si limiterà qui a richiamarne alcune, senza possibilità di approfondimento.
Innanzitutto, appare chiaro come la distinzione tra i diversi istituti sia sfocata a causa della mancata individuazione di un criterio univoco. Nella teoria della voie de fait, che sembrava poter essere individuata attraverso l’unico e chiaro carattere della riconducibilità o meno dell’attività ad un potere, viene di recente messa in rilievo la gravità dell’offesa. D’altra parte, rispettivamente l’oggetto della tutela (soltanto i beni immobili) o, di nuovo, la gravità dell’offesa (trasferimento della proprietà) sono invece richiamati per definire emprise irrégulière ed expropriation indirecte, nozioni in cui confluiscono sia ipotesi di carenza di potere che di cattivo esercizio dello stesso[34].
Ora, gli strumenti a disposizione del giudice amministrativo e di quello ordinario sono ormai analoghi, soprattutto, per quel che qui interessa, rispetto al potere di ingiungere all’amministrazione il rilascio del bene e finanche la demolizione dell’opera pubblica illegittima[35]. Questa considerazione ha portato a ipotizzare l’attuale inutilità della voie de fait, nata in un contesto storico in cui soltanto il giudice ordinario aveva gli strumenti per assicurare una corretta tutela dei diritti e delle libertà fondamentali[36]. Al tempo stesso, tuttavia, non può ritenersi che per ciò solo la tutela al diritto di proprietà sia omogenea in tutti i casi qui analizzati.
A prescindere dallo sdoppiamento di tutela che si verifica nelle fattispecie di emprise irrégulière e di expropriation indirecte, in cui al giudice amministrativo competono tutti i rimedi ripristinatori ed a quello ordinario il rimedio risarcitorio[37], la differenza di regime tra queste ipotesi e la voie de fait deve riscontrarsi nella considerazione accordata all’interesse generale soddisfatto dall’opera pubblica illegittima, che viene in rilievo in modo molto diverso per i due giudici. Il giudice amministrativo decide circa l’opportunità o meno di ordinare la demolizione bilanciando il sacrificio dell’interesse privato con il detrimento che dalla demolizione conseguirebbe all’interesse generale[38]; si tratta quindi di una decisione caso per caso, nell’ambito della quale il diritto di proprietà del privato può legittimamente soccombere. In materia di voie de fait, invece, una simile considerazione dell’interesse pubblico non potrà mai venire in rilievo, posto che l’opera non è collegata all’esercizio di un potere e tale interesse, di conseguenza, non potrà mai dirsi da essa realizzato, né quindi leso dall’eventuale distruzione, che sarà quindi sempre possibile su ordine, in questo caso, del giudice ordinario[39]. La proprietà è quindi tutelata con modalità diverse: in modo assoluto dal giudice ordinario, in modo relativo e condizionato alla compatibilità con l’interesse generale dal giudice amministrativo.
Il giudice ordinario è stato ritenuto in dottrina il meglio qualificato per proteggere i diritti grazie ad una connaturata indifferenza nei confronti dell’interesse pubblico, e si è auspicato il mantenimento della voie de fait per scongiurare possibili recrudescenze di comportamenti arbitrari dei pubblici poteri nei confronti delle libertà personali, come quelli che hanno storicamente determinato l’affermazione della teoria[40]. Questa la spiegazione della dottrina francese, che tuttavia manca ancora una volta il punto centrale: disquisire sulla maggiore inclinazione dell’uno o dell’altro giudice, o sull’attualità o meno della voie de fait rispetto agli attuali poteri del giudice amministrativo, non ha senso, posto che si tratta di ipotesi in cui la giurisdizione amministrativa non può in nessun caso riconoscersi. Il riparto prefigurato dalla voie de fait nella giurisprudenza del Conseil d’Etat degli anni ’50 è, invece, perfettamente coerente e sempre attuale. Esso si basa sulla considerazione che, nel caso di esistenza del potere, la situazione giuridica soggettiva è tutelata soltanto in modo relativo e condizionato, soltanto, cioè, se la sua soddisfazione coincide con la realizzazione dello specifico interesse pubblico. Nel caso di carenza di potere, invece, semplicemente non viene in rilievo alcun interesse pubblico (o interesse generale, secondo la terminologia del Conseil d’Etat e della nostra stessa Costituzione) a fronte del quale il legislatore possa legittimare il sacrificio della situazione giuridica soggettiva privata. La lesione di quest’ultima, pertanto, sarà sempre patologica, e la sua tutela sempre assoluta.
L’assenza nel dibattito francese di agganci ad un fondamento giuridico rigoroso, cui più spesso sono sovrapposte argomentazioni di ordine storico o ideologico[41] che ne distorcono la portata, ha inevitabilmente conseguenze deteriori sulla tutela della proprietà. Si è visto infatti come ipotesi di difetto assoluto di attribuzione, in cui quindi sussiste in capo al privato un diritto, siano sottoposte alla tutela condizionata tipica dell’interesse legittimo, perché erroneamente ricondotte ad una categoria teorica a sua volta erroneamente delimitata, a causa della concorrenza di criteri talvolta privi di reale portata discretiva. Se è innegabile che la scelta della giurisdizione in determinate materie incida su equilibri economici importanti, e risponda quindi anche a logiche non esclusivamente giuridiche, è necessario che le regole del riparto siano comunque rispettate, proprio per evitare il prodursi di simili squilibri, e prima ancora, quindi, sarebbe importante che esse fossero poste in modo chiaro.

Note

1.  La teoria della voie de fait è stata definitivamente consacrata in giurisprudenza, dopo alcune esitazioni iniziali, con l’arrêt Action Française, Tribunal des conflits, 8 aprile 1935, L’Action française c/ Bonnefoy-Sibour, Lebon 1226, e poi via via meglio precisata, fino all’approdo da ritenersi oggi assumibile come definitorio della nozione, su cui si tornerà, dato dal Conseil d’Etat, 18 novembre 1949, Carlier, RDP, 1950, 172, concl. Gazier, note Waline. Le critiche portate, in dottrina ed in giurisprudenza, alla teoria della voie de fait, sono molteplici e fondate anche ampiamente su argomentazioni testuali o relative alle modalità della tutela. Per una disamina più approfondita si veda G. Vedel, Droit Administratif, 12ème Ed. (1ère Ed. 1958), PUF, Paris, 1992, 146 ss.

2.  Tale teoria era letta dalla dottrina classica in termini di sanzione per l’amministrazione, colpevole di illegittimità gravissime e, pertanto, non più meritevole del “privilegio” costituito dalla protezione risultante dal principio di separazione dei poteri. Cfr. M. Hauriou, Droit administratif, 5ème Ed., Sirey, Paris, 1943, 20, e in giurisprudenza Cour de cassation, arrêt del 23 gennaio 1873, DP, 73.I.189.

3.  Il principio per cui il giudice ordinario sarebbe guardiano delle libertà individuali è affermato fin dall’inizio del XIX secolo nei testi legislativi relativamente al diritto di proprietà, prima di essere consacrato nell’arrêt del Conseil d’Etat del 27 marzo 1952, Dame de la Murette, in Rec. Lebon, p. 626, e sviluppato nella giurisprudenza del Tribunal des Conflits, per confluire nell’art. 66 della Costituzione del 4 ottobre 1958. Per i riferimenti dottrinali cfr S. Petit, L’Administration et le juge judiciaire, QSJ, PUF, Paris, 1997, p. 59.

4.  Per questa distinzione, si veda M. Hauriou, op. cit., 21 ss., cui si rinvia per esempi pratici delle due ipotesi. La dottrina più recente riqualifica le due ipotesi come riguardanti, rispettivamente, l’illegittima esecuzione di una decisione e i caratteri di illegittimità della decisione stessa, sottintendendo comunque che debba trattarsi di un’illegittimità “qualificata”, riconducibile appunto al concetto di irrégularité manifeste. D. Truchet, Droit administratif, 2ème Ed., PUF, Paris, 2009, p. 120.

5.  Sul collegamento tra voie de fait e nullità-inesistenza dell’atto amministrativo, v. M. Debary, La voie de fait en droit administratif, LGDJ, Paris, 1960, 97 ss. ; E. Desgranges, Essai sur la notion de voie de fait, Thèse, Poitiers, 1937, 93 ss.

6.  Evidente soprattutto laddove è emersa nella casistica la sovrapponibilità dei due criteri del manque de droit e del manque de procédure. È il caso, emblematicamente, della vicenda che diede luogo all’arrêt Action Française, cit., vero e proprio leading case in materia di voie de fait.

7.  CE, 18 novembre 1949, Carlier, cit.

8.  Si è sostenuta in dottrina l’inutilità di distinguere tra le due categorie. L. Favoreu, La notion de liberté fondamentale devant le juge administratif des référés, D. 2001, chron.1739. Rispetto invece alla necessità di distinguere le due categorie, il cui accertamento divergerebbe, di veda S. Guillon-Coudray, La voie de fait administrative et le juge judiciaire, thèse, Université Panthéon-Assas, 2002, p. 157 ss., per cui il dato peculiare dell’accertamento della lesione alla proprietà sta proprio nella necessità di selezionare i livelli rilevanti di gravità della stessa.

9.  Difatti, l’esistenza di un potere legittimo che permette – pur solo astrattamente – che un interesse venga posto a bilanciamento con altri per la soddisfazione dell’interesse pubblico, implica automaticamente che tale interesse, valore o bene della vita possa essere legittimamente sacrificato; esso si qualificherà quindi come interesse legittimo. A riguardo si veda la Sentenza Costituzionale sul decreto cd. Salva Ilva, n. 85 del 9 maggio 2013, che risponde a quella giurisprudenza di Cassazione che ha sostenuto ed ancora sostiene la configurabilità dei cosiddetti “diritti fondamentali indegradabili”.

10.  Cfr. S. Guillon-Coudray, op. cit., 152, che cita l’arrêt TGI Vannes, 12 janvier 1999, Consorts Robert c/Commune de Sené, inedita. Cfr. anche S. Petit, La voie de fait dministrative, QSJ, PUF, 1995, p. 88 ss.

11.  Trib. Confl., 17 giugno2013, M. Bergoend c/ Société ERDF Annecy Léman, C3911, pub. au rec. Lebon.

12.  Così M. A. Ménéménis, Président adjoint de la section du contentieux du Conseil d’État, al convegno tenutosi il 24 ottobre 2013, presso l’Université Paris II Panthéon-Assas, «La voie de fait, nouvelle formule?», testo non pubblicato.

13.  CE, 18 novembre 1949, Carlier, cit.

14.  Tale sistemazione è consolidata già dalle leggi dell’8 marzo 1810 e del 3 maggio 1841, che pongono le basi su cui poi sono intervenute tutte le successive modifiche normative (di cui si dirà). La procedura espropriativa è scissa in due fasi: una, preliminare, affidata al giudice amministrativo, che include l’istruttoria, la dichiarazione di pubblica utilità, l’individuazione dell’indennizzo ai fini di pervenire ad una cessione spontanea; l’altra, affidata al giudice dell’espropriazione, cui compete l’ordinanza di esproprio, che trasferisce la proprietà e stabilisce l’entità dell’indennizzo, se questo non è stato concordato

15.  Ai sensi degli artt. 2 e 17 della Déclaration des droits de l’homme et du citoyen.

16.  L’art. 1-11 del Code de l’expropriation richiede che l’espropriazione di immobili o di diritti reali immobiliari non possa essere pronunciata fintanto che non si sia proceduto ad una dichiarazione di pubblica utilità. È quindi l’assenza o il vizio di questa a produrre l’illegittimità richiesta per l’operatività della teoria dell’expropriation indirecte.

17.  Tribunal des conflits, 30 giugno 1949, Nogier, in Rec. Lebon, p. 604.

18.  Ci si interroga tuttavia sulla sorte dell’ordinanza di esproprio in caso di annullamento, da parte del giudice amministrativo, della dichiarazione di pubblica utilità (è il caso della nostra occupazione usurpativa). Si veda diffusamente, sui dubbi in materia, J.-F. Struillou, Protection de la propriété privée immobilière et prérogatives de puissance publique, L’Harmattan, 1996, pp. 300 ss. e spec. 305.

19.  Tale divieto, posto dal decreto 16 Fructidor dell’anno III, costituisce il principale criterio di riparto della giurisdizione in Francia. Il criterio è, tuttavia, abbondantemente derogato dal legislatore.

20.  Tali poteri non spettano invece al giudice amministrativo, che è competente in materia di voie de fait soltanto per dichiarare la nullità dell’atto.

21.  Trib. Confl., 17 marzo 1949, Société immobilière Rivoli-Sépastopol, Rec. p. 594.

22.  Trib. Confl., 17 giugno 1948, Manufacture de velours et peluches , Rec. p. 513 ; Dalloz 1948 jurisprudence p. 377.

23.  Trib. Confl., 17 marzo 1949, Sté “Hôtel du Vieux-Beffroi”, Rec. CE 1949, p. 592 e CE, 15 febbraio 1961, Werquin, Rec. CE 1961, p. 118.

24.  Sulla distinzione tra emprise irrégulière e voie de fait, si veda S. Petit, L’administration et le juge judiciaire cit., p. 63.

25.  L’amministrazione deve “mettre la main” sulla proprietà privata, come chiarito in modo emblematico nelle Conclusions du Commissaire du Gouvernement Romieu a Tribunal des conflits, 24 décembre 1904, Consorts Montlaur, Rec. p. 890. In altre parole, non basta la semplice immissione nel fondo o nell’immobile, è necessaria una manomissione dello stesso.

26.  CE, 5 octobre 1960, Cie d’assurances générales, in Rec., p. 517.

27.  Il cumulo dei rimedi è ammesso laddove l’occupazione senza titolo di un bene immobile, di proprietà o oggetto di diritto reale di un privato, realizzi al contempo un’offesa grave ad un diritto inviolabile. Un caso recente è quello della decisione del Tribunal de grande instance de Marseille, 18 aprile 2012, Consorts B. et Autres, commentata da J.-C. Lapouble, Emprise irrégulière et voie de fait dans un cimitière, in AJDA n. 29/2012, p. 1635.

28.  G. Vedel, op. cit., 181 ss.

29.  Con la Loi du 2 février 1995.

30.  Tale soluzione era auspicata dalla giurisprudenza, per compensare l’eccessiva severità conseguente alla conclusione della Cassazione (Cass. Civ., III, 2 mars 1988, D. 1989, p. 182) nel senso dell’impossibilità di intervenire sull’ordinanza passata in giudicato ai fini del trasferimento di proprietà. Per tutte si veda TC, 26 giugno 1989, Mme Plouin,in Rec. Lebon, p. 294.

31.  Riguardo alla modifica normativa del 1995 si è notato che in essa si limita a prevedere le conseguenze sull’ordinanza di esproprio dell’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità, lasciando irrisolta la questione degli effetti dell’annullamento degli altri atti amministrativi presupposti. Y. Gaudemet, Traité de droit administratif, LGDJ, Paris, 2011, 451.

32.  In base al principio di intangibilità dell’opera pubblica, non ne poteva in nessun caso essere ordinata la distruzione né dal giudice ordinario né da quello amministrativo. CE, 7 luglio 1853, Robin de Grimaudière, S. 1854, 2, p. 213, concordemente individuata in dottrina come affermatrice del principio e ampiamente confermata in seguito. In dottrina, si veda C. Boutayeb, L’irrésistible mutation d’un principe: l’intangibilité de l’ouvrage public, in Rev. Dr. Pub., n. 5/1999, p. 1449 ss., spec. p. 1454 ss. La teoria è del tutto analoga a quella nostrana dell’occupazione appropriativa, nella prima “versione” prettamente giurisprudenziale (a partire da SSUU n. 1464/1983) che applicava l’accessione invertita per realizzare il trasferimento di proprietà.

33.  Ci si riferisce alle pronunce che hanno portato alle note evoluzioni normative di cui all’art. 43, e poi 42 bis, del TU espropriazioni: Corte EDU, Sentenze Scordino c. Italia, 15 luglio 2004 e 29 luglio 2004.

34.  Era quanto avveniva nel nostro ordinamento con l’impropria distinzione, ormai superata, tra occupazione appropriativa (presenza della dichiarazione di pubblica utilità valida, ma mancato perfezionamento della procedura espropriativa) e occupazione usurpativa spuria (annullamento della dichiarazione di pubblica utilità o sua intervenuta inefficacia per decorrenza dei termini), quest’ultima ricondotta ad un’ipotesi di carenza insieme all’occupazione usurpativa pura (in cui la dichiarazione di pubblica utilità manchi ab origine). Cfr. Cons. St., Sez. V, 2 novembre 2011, n. 5844.

35.  Grazie al superamento del principio di intangibilità della stessa, operato a partire dai primi anni ’90 dalla mutata giurisprudenza del Conseil d’Etat, che ha cominciato a riconoscersi la possibilità di sindacare per eccesso di potere la legittimità di un rifiuto da parte della PA di distruggere un’opera pubblica, CE, Section, 19 aprile 1991, Epoux Denard, Epoux Martin, Rec. CE 1991, p. 184, seguito dalla giurisprudenza civile, Cass. Ass. Plen., 6 gennaio 1994, Consorts Baudon de Mony c/ EDF, in AJDA 1994, p. 329.

36.  Così il Professor B. Plessix, al convegno “La voie de fait, nouvelle formule?”, cit.

37.  La complessità del rimedio costituisce, a sua volta, un vulnus per il diritto di proprietà. Cfr. G. Pellissier, Des garanties efficaces au terme d’une procédure complexe : réflexions sur les modalités de réparation des dépossessions irrégulières de la propriété privée, in Revue juridique de l’Economie publique, n. 654, giugno 2008, p. 33.

38.  CE, Sect., 29 gennaio 2003, n. 245239, Syndicat départmental de l’éléctricité et du gaz des Alpes-Maritimeset Cne Clans¸ RFD Adm 2003, p. 477.

39.  Trib. Confl., 5 giugno 2002, Exp Binet c/EDF France, Rec CE 2002, p. 544.

40.  Così il Professor B. Plessix, al convegno “La voie de fait, nouvelle formule?”, cit. Nello stesso senso, G. Pellissier, op. cit., p. 32, e C. Boutayeb, op. cit., pp. 1475-1476.

41.  Si pensi al principio per cui il giudice ordinario sarebbe il giudice dei diritti, rispetto al quale lo stesso Conseil Constitutionnel ha rimesso in causa la portata, negando che esso imponga necessariamente la devoluzione al giudice ordinario delle relative questioni risarcitorie: Cons. Const., n. 85-198 DC, 13 dicembre 1985, Amendement Tour Eiffel, in Rec. Cons. Const., 1985, p. 78.