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Prime osservazioni intorno alla cd. ‘sentenza Grandi Rischi’

di - 29 Ottobre 2013
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Certamente lascia perplessi l’adesione ad un rigoroso determinismo meccanicistico applicato al profilo psicologico laddove, da un lato, si registra l’attuale perdita di valore, ad opera delle recenti ricerche sulla teoria dei quanti, proprio della versione assolutistica del determinismo meccanicistico, diretto ascendente di quello psichico e sinora presupposto inelimininabile della scienza della natura. E, dall’altro, diventano sempre più evidenti le resistenze della psicoanalisi e delle neuroscienze a riconoscere valore assoluto di ‘formante’ della volontà a singoli ed esclusivi fattori di influenza, avvalorando, invece, analisi multifattoriali.

V. Il rischio e il principio di precauzione.
Il problema del legittimo arretramento della soglia di tutela penale dal ‘pericolo’ al ‘rischio’ e, conseguentemente, il possibile ingresso del principio di precauzione nel diritto penale appaiono i temi più ‘difficili’ e ‘discutibili’ consegnati dalla lettura della sentenza.
Come noto, l’offesa, nel diritto penale classico, trova il punto più alto di tensione nel reato di pericolo. L’obiezione circa la perdita di materialità del risultato lesivo connaturata al concetto di nocumento potenziale in cui si sostanzia il pericolo stesso, viene superata con l’ancoraggio della fattispecie ad un giudizio di relazione probabile tra un fatto e un evento dannoso. Il giudizio di pericolo, pertanto, presupponendo un sapere scientifico avvalorato, consente ‘giudizi di probabilità’ agganciati a conoscenze scientifiche certe.
Il problema nasce in condizioni di ‘incertezza scientifica’. In tale contesto accanto al concetto tradizionale di ‘pericolo’ si fa spazio la dimensione del ‘rischio’, ossia “un pericolo che dipende da una decisione dell’uomo, e che quindi può essergli imputato, laddove il pericolo in genere tende ad attrarre nella spiegazione fattori ed eventi naturali sopravvenuti e non governabili se non operando sulle decisioni ‘a monte’, relative alla creazione o gestione delle fonti di pericolo, e alle posizioni di garanzia e controllo che le concernono” (Donini M., Il volto attuale dell’illecito penale, Giuffrè editore, 2004). Il diritto penale del rischio “genera un’esplosione di funzioni preventive in campo economico-sociale, di tutela della sicurezza collettiva, che vuole rispondere ad un bisogno di assicurazione del nostro futuro, ma appunto con i mezzi del diritto penale, sembrerebbe pienamente coerente con l’idea di un sistema punitivo ‘orientato allo scopo’, con un uso ‘politico’ del diritto penale quale strumento per il raggiungimento di obiettivi di controllo e di delimitazione di rischi socialmente gravi nelle loro potenzialità cumulative” (Donini M., Il volto attuale dell’illecito penale, Giuffrè editore, 2004).
Nella discussione sulla possibile allocazione della soglia della tutela penale al ‘rischio’ si avvertono chiaramente le suggestioni del principio di precauzione, invocato nelle ipotesi di ‘rischio potenziale’ e legato alla necessità di fronteggiare la paura dell’incerto e governare, attraverso lo strumento preventivo, le angosce collettive di fronte al ‘nuovo’ e all’ignoto. Il territorio coperto dal principio di precauzione presuppone, tuttavia, in ambito europeo, una valutazione scientifica del rischio che, per l’insufficienza dei dati, il loro carattere non concludente o la loro imprecisione, non consente di determinare con sufficiente certezza il rischio in questione.
Orbene, razionalizzare la paura del ‘rischio’ corredando le politiche preventive dell’intervento penale, quale tutela dei beni, o delle funzioni, scolora in una imbarazzante quanto anacronistica caccia alle streghe se la criminalizzazione del comportamento non è ancorata ad un principio di ‘ragionevolezza’. Tradotto in termini ‘penalistici’, la legittimità dell’intervento repressivo in situazioni di incertezza scientifica presuppone comunque e sempre la conoscenza della pericolosità o della efficenza eziologica della condotta da reprimere. Dunque, come il pericolo astratto, anche il concetto di rischio, per fondare una qualsisasi idea di tutela penale, non può essere epurato della necessaria ‘prevedibilità’ di un danno. In buona sostanza, il ‘rischio’ deve risolversi in una sinonimia della ‘possibilità (o non impossibilità) dell’evento’.
A concedere spazio ad una ricostruzione in chiave meramente precauzionale, e preventiva pura, del precetto penale, oltre a vedere radicalmente rovesciata la base epistemologica del modello punitivo del pericolo (per l’impossibilità di fornire, a differenza del pericolo stesso, prova contraria alla affermazione di pericolosità del comportamento, non disponendo delle conoscenze scientifiche certe), la ricognizione causale degrada a mero accertamento dell’aumento del rischio.
Se, dunque, nel concetto di rischio non è estrapolabile, a meno di un netto tradimento dei principi penalistici, la prevedibilità del danno, ciò significa che l’affermazione di responsabilità degli scienziati per non aver previsto il rischio sismico diviene affermazione di responsabilità per non aver previsto il terremoto. E la sentenza appare precipitarci nell’incubo di una responsabilità oggettiva laddove la colpa viene ‘depsicologicizzata’ – perché epurata anche del requisito della prevedibilità – e normativizzata.
La funzione ‘propulsiva’, già tipica del diritto penale contravvenzionale, oggi assegnata al diritto penale del rischio, pone la necessità di fattispecie-avamposto, utili a non ‘attendere’ la consumazione di un disastro, e sollecita un intervento penale anche in chiaroscuro e flessibile sulle zone lasciate scoperte da una applicazione rigorosa del paradigma classico di criminalizzazione. Il provvedimento aquilano, dunque, segna il passo in questo percorso e richiama ad una razionalizzazione della paura del rischio che non disconosca il limite estremo, anch’esso comunque discusso e discutibile, di legittimazione dell’intervento penale consegnato dalle fattispecie di pericolo astratto, pena distorsioni del sistema capaci di consacrare disequilibri e derive laceranti.

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