Proposte per la semplificazione

Premessa
Le proposte di interventi legislativi, volti a semplificare i rapporti tra cittadini ed amministrazioni pubbliche, che verranno qui formulate, muovono dalle seguenti premesse:
a) la complessità dei rapporti, che con la semplificazione si vuole ridurre, non dipende dalle procedure amministrative, ma dall’insieme degli interessi sostanziali,  pubblici e privati, in gioco, in una determinata situazione;
b) in effetti, innumerevoli interventi sulle procedure sono stati fatti, con qualche miglioramento, ma senza risultati significativi ed affidabili;
c) gli interessi privati hanno una struttura elementare e ben nota. Non occorre fermarsi su essi. Si vuole “poter fare” qualche cosa e quindi ottenere le autorizzazioni o altri provvedimenti consimili, richiesti dalle leggi;
d) al contrario, gli interessi pubblici hanno una struttura complicatissima, che si può cercare di schematizzare e riassumere così:
d1) l’ente titolare della competenza principale (funzione) ha interesse a veder realizzato l’intervento privato in conformità alle nome che lo disciplinano. Per dare un nome emblematico a questa funzione si può parlare di “amministrazione attiva”, che approva e consente l’intervento – o, viceversa, non lo consente. Si può ben dire che questo tipo di interessi è orientato al futuro;
d2) non tutte le norme disciplinatrici sono però attribuite alla competenza dell’amministrazione attiva. Esistono – e sono capillarmente presenti – norme che mirano a conservare certe condizioni di partenza date, nonostante l’intervento che si vuole realizzare: a questo fine di conservazione mirano con intensità tale, da poterne non solo ostacolare e rallentare, ma addirittura impedirne la realizzazione. In altri termini, queste norme proteggono e tutelano alcuni tipi di interessi pubblici, in linea di massima lato sensu impersonali e quindi non facenti capo alle “amministrazioni attive”; impongono quindi divieti, vincoli, rispetto di limiti, che spesso sfuggono al controllo di queste amministrazioni;
e) dall’esistenza di una pluralità di interessi pubblici che si intersecano ed interagiscono nasce la complessità. Il fenomeno è sempre esistito, ovviamente, da quando il potere pubblico è stato organizzato secondo criteri di competenza (per materia, per valore, per ambiti territoriali) e non di pura autorità; ma nel corso degli ultimi decenni ha assunto dimensioni gigantesche e quindi tendenzialmente caotiche. Merita osservare che è nata da qui la necessità (i) di dettare norme estremamente dettagliate; (ii) di prescrivere quindi il consenso di una serie di autorità per qualunque attività coinvolgente interessi pubblici; (iii) quindi di subordinare al loro consenso la possibilità di agire;
e1) le matrici della complessità sono dunque ben chiare: (i) la sostanziale equivalenza di tutti gli interessi pubblici in gioco; (ii) la tendenziale assenza di riferimenti unitari di coordinamento; (iii) il delirio di norme settoriali che si incrociano;
f) il luogo di elezione per l’esprimersi e lo svilupparsi della complessità è il territorio. Sul territorio si collocano e gravano infatti interessi antitetici e addirittura antagonisti:
f1) tutte le attività economiche, esclusa forse la sola finanza, si esprimono attraverso una qualche trasformazione del territorio – hanno quindi il loro riferimento di base nell’edilizia;
f2) ma il territorio è per sua natura il punto di riferimento di quel complessissimo fenomeno che prende nome di ambiente, che deve essere salvaguardato per consentire la prosecuzione della vita stessa;
f3) esso è dunque sede naturale ed essenziale del futuro; ma, con la stessa logica, sede della storia, ovvero delle trasformazioni portate dall’uomo al territorio. In linguaggio giuridico, di tutti i beni storici, culturali, archeologici formatisi nei millenni, noti e non noti;
f4) come è evidente, (i) la proiezione dell’agire umano verso il futuro da un lato, (ii) la conservazione dell’ambiente e (iii) la salvaguardia del patrimonio storico espresso con le più antiche trasformazioni del territorio dall’altro, sono interessi e valori intrinsecamente antagonisti, che devono in qualche modo essere composti;
f5) come questa è la complessità, così si pone il problema della semplificazione: che ha il suo riferimento fondamentale negli interventi sul territorio, che vedono contrapposte “amministrazioni attive” e “amministrazioni di conservazione”;
g) più nel dettaglio: per la realizzazione di un intervento qualsiasi – apertura di un supermercato ad es. – gli interessi affidati all’amministrazione attiva sono chiari, tangibili, conoscibili e quindi prevedibili. L’intervento deve essere conforme alle previsioni di piano regolatore e compatibile con la viabilità esistente; deve rispettare altre regole ad hoc, comunali, provinciali, regionali, e simili. Il comune è l’amministrazione attiva. Gli interessi ambientali e culturali investiti dall’intervento sono sostanzialmente imprevedibili. Specie per la tutela dell’ambiente, non solo lo spettro degli interessi è sterminato, ma innumerevoli sono gli enti competenti. Immissione di gas nell’atmosfera; rumori; rifiuti; acque e loro inquinamento; materiali che si vogliono impiegare: sono solo alcuni profili dell’intervento che vengono discussi nelle sedi più diverse, in un’ottica ben precisa: garantire che l’intervento non alteri l’equilibrio ambientale preesistente.
f) Per i beni culturali le amministrazioni coinvolte sono meno numerose – le varie soprintendenze in sostanza; ma in compenso del tutto imprevedibile è lo spettro dell’azione protettiva che ognuna di esse può intraprendere. Basti pensare che la sola possibilità di reperimenti archeologici può paralizzare i lavori; che il paesaggio può apparire pregiudicato; che il disegno architettonico può non convincere la soprintendenza. Vi è insomma una discrezionalità vastissima che in qualunque momento può arrestare i lavori ovvero consentire di proseguirli, con pesanti oneri a carico del costruttore;
g) a tutto ciò deve aggiungersi l’incombente presenza del giudice penale. Praticamente tutte le materie che hanno un impatto sul territorio prevedono che sia soggetta a sanzione penale non solo, come è ovvio, la violazione di norme incriminatrici (costruzione senza permesso, ad es.), ma anche la violazione della norma incriminatrice nonostante la presenza di un titolo legittimante. Dice la giurisprudenza che il titolo legittimante può essere disapplicato;
h) infine, la qualità della legislazione. Essa è tendenzialmente cattiva, per due concorrenti ordini di ragioni:
h1) il primo è che, essendo ormai quasi tutta di dettaglio e non costruita su regole generali e principi, è (i) di difficile lettura e comprensione; (ii) soggetta a continue modifiche e adeguamenti. È frequentissimo il caso di norme di legge con cui le parole “a, b, c, d,” dell’art. x della legge y vengono sostituite da “k, l, m, n”; (iii) ne derivano norme farraginose, di cui spesso è addirittura incerta la portata, perché non è sicura la ricostruzione del testo che si deve fare.
h2) il secondo è dato dalla pluralità delle fonti. L’art. 117 Cost. ha tracciato confini difficilissimi tra competenze legislative statali e regionali. Questo è un problema grave, politicamente difficile, che può solo essere ricordato in questa sede..
Conclusione n. 1
Ai fini di un efficace intervento semplificatore sembra essenziale spezzare il rapporto malsano tra amministrazioni attive, responsabili del’intervento, da un lato, e amministrazioni di conservazione, ambientali e culturali, dall’altro. Le amministrazioni di garanzia non possono essere equiparate alle amministrazioni attive. Devono mettere le prime in condizioni di provvedere causa cognita, cioè sapendo come si devono comportare nelle valutazioni ambientali e culturali. Funzioni di amministrazione attiva possono essere loro riservate solo per casi particolari, in cui la questione ambientale o culturale sia determinante.
L’intervento legislativo dovrebbe dunque prevedere che nell’arco di alcuni anni le amministrazioni attive vengano poste in grado di assicurare la tutela dei valori ambientali e culturali, oggi affidata alle amministrazioni di conservazione. Questo risultato può essere raggiunto attraverso i seguenti passaggi:
Ambiente
a) digitalizzazione di tutti i parametri di tutela conservativa, suscettibili di definizione quantitativa. In questo modo, i tecnici progettisti dell’intervento avranno punti di riferimento certi, cui adeguarsi, ed il cui rispetto dovrà essere asseverato;
b) formazione del personale tecnico delle amministrazioni attive, in modo da consentire la verifica del rispetto dei parametri;
c) controlli casuali, a campione, da parte delle amministrazioni di conservazione, competenti per la materia ambientale;
Beni culturali
Per i beni culturali il discorso è più semplice e più difficile al tempo stesso. È più semplice perché il danno ambientale è tendenzialmente molto più grave del danno “culturale”. È più difficile perché noi abbiamo alle nostre spalle una storia che ha fatto dei beni culturali autentici idoli da adorare. Quest’idea deve essere razionalizzata. I beni culturali sono un patrimonio di chi li possiede e di tutti; è giusto quindi che vi sia un’amministrazione attiva che se ne prenda carico; non ci può essere un’amministrazione di pura conservazione. Quindi:
a) deve cadere l’idea – che ispira il codice dei beni culturali e del paesaggio, d. l.vo 24 febbraio 2004, n. 28 – secondo cui la tutela dei beni culturali e del paesaggio è una sorta di monopolio dell’omonimo ministero e delle sue articolazioni territoriali. Questa è un’idea malsana perché attribuisce alle soprintendenza un ruolo che si sovrappone a quello dei comuni per i profili lato sensu culturali, legati cioè alla storicità del bene: e per giunta lo attribuisce, senza che le soprintendenza abbiano mezzi e personale sufficiente per svolgere in tempi ragionevoli questo compito;
b) deve quindi cadere l’idea dei vincoli di interesse culturale in senso ampio (e generico). Il primo soggetto pubblico interessato ad una crescita rispettosa dei valori culturali è il comune. La sua funzione di amministrazione attiva deve essere anche garante di una conservazione adeguata. I vincoli possono valere solo per immobili straordinari, non per edifici che sono semplicemente belli. La città – e quindi il comune – ne deve favorire la vita;
c) devono scomparire vincoli tanto generali quanto generici di inedificabilità, come ad es. per motivi archeologici ed in molti casi per motivi paesaggistici: si possono dettare regole per una corretta e contenuta edificazione;
d) devono finire i diritti di prelazione, che, tra l’altro, non vengono mai esercitati, ma che hanno un effetto di freno sull’economia..
Conclusione n. 2 
Lo stato attuale della legislazione non è più sostenibile. È indispensabile ridurla, eliminando disposizioni inutili e portando all’essenziale ciò che richiede regolazione attraverso l’intervento della pubblica amministrazione.
Valgano due esempi.
Forse il vertice della complessità della legislazione, del suo disperdersi nel dettaglio, con tutto quello che ne può derivare se le circostanze di fatto sono anche leggermente diverse da quelle ipotizzate, è rappresentato dall’art. 5 bis della legge ordinamentale sui porti, 28 gennaio 1994, n. 84, introdotto dall’art. 48 d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. in l. 24 marzo 2012, n. 27. Questa norma disciplina i dragaggi nelle aree portuali, ciò che è correttissimo. Ma entra nel dettaglio delle operazioni, prescrivendo che cosa si deve fare al ricorrere dei risultati in un senso, nell’altro, in un terzo e quarto, ennesimo, delle analisi chimiche dei materiali scavati. E se capita qualche cosa di diverso? Bisogna fermare il dragaggio? Sembra evidente che questa norma deve essere soppressa e che la disciplina dei dragaggi deve essere delegata ad un regolamento – comunque più lineare di questa legge.
Il vertice della vanità sta forse nelle vicende dell’art. 4 del d.l.vo n. 228/2001, dedicato alla modernizzazione del settore agricolo. Questo articolo consentiva al coltivatore di caricare i suoi prodotti su un mezzo di trasporto e di venderli per strada. Occorreva farne comunicazione al sindaco e attendere trenta giorni prima di poter cominciare. Nella comunicazione si dovevano specificare i prodotti che si sarebbero venduti e le modalità del commercio. Era previsto anche il commercio elettronico. Uno dei decreti sulla semplificazione del governo Monti (9 febbraio 2012, n. 5, conv. in l. 4 aprile 2012, n. 35) ha modificato l’art. 4, con una straordinaria semplificazione: fatta la comunicazione si può cominciare a vendere. Ma resta l’obbligo di specificare il carico! Puro non sense.
La conclusione è univoca. Dopo la grande opera di cancellazione delle norme perente, fatta negli anni scorsi, si dovrà porre mano alla pulitura, razionalizzazione e chiarificazione delle leggi in vigore ed imporsi ferrei criteri di linearità e semplicità per le leggi future..
Conclusione n. 3
Senza gli immani sforzi che si è tentato di rappresentare qui sopra, nessuna vera semplificazione sembra possibile.