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Proposte per la semplificazione

di - 14 Giugno 2013
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h) infine, la qualità della legislazione. Essa è tendenzialmente cattiva, per due concorrenti ordini di ragioni:
h1) il primo è che, essendo ormai quasi tutta di dettaglio e non costruita su regole generali e principi, è (i) di difficile lettura e comprensione; (ii) soggetta a continue modifiche e adeguamenti. È frequentissimo il caso di norme di legge con cui le parole “a, b, c, d,” dell’art. x della legge y vengono sostituite da “k, l, m, n”; (iii) ne derivano norme farraginose, di cui spesso è addirittura incerta la portata, perché non è sicura la ricostruzione del testo che si deve fare.
h2) il secondo è dato dalla pluralità delle fonti. L’art. 117 Cost. ha tracciato confini difficilissimi tra competenze legislative statali e regionali. Questo è un problema grave, politicamente difficile, che può solo essere ricordato in questa sede..
Conclusione n. 1
Ai fini di un efficace intervento semplificatore sembra essenziale spezzare il rapporto malsano tra amministrazioni attive, responsabili del’intervento, da un lato, e amministrazioni di conservazione, ambientali e culturali, dall’altro. Le amministrazioni di garanzia non possono essere equiparate alle amministrazioni attive. Devono mettere le prime in condizioni di provvedere causa cognita, cioè sapendo come si devono comportare nelle valutazioni ambientali e culturali. Funzioni di amministrazione attiva possono essere loro riservate solo per casi particolari, in cui la questione ambientale o culturale sia determinante.
L’intervento legislativo dovrebbe dunque prevedere che nell’arco di alcuni anni le amministrazioni attive vengano poste in grado di assicurare la tutela dei valori ambientali e culturali, oggi affidata alle amministrazioni di conservazione. Questo risultato può essere raggiunto attraverso i seguenti passaggi:
Ambiente
a) digitalizzazione di tutti i parametri di tutela conservativa, suscettibili di definizione quantitativa. In questo modo, i tecnici progettisti dell’intervento avranno punti di riferimento certi, cui adeguarsi, ed il cui rispetto dovrà essere asseverato;
b) formazione del personale tecnico delle amministrazioni attive, in modo da consentire la verifica del rispetto dei parametri;
c) controlli casuali, a campione, da parte delle amministrazioni di conservazione, competenti per la materia ambientale;
Beni culturali
Per i beni culturali il discorso è più semplice e più difficile al tempo stesso. È più semplice perché il danno ambientale è tendenzialmente molto più grave del danno “culturale”. È più difficile perché noi abbiamo alle nostre spalle una storia che ha fatto dei beni culturali autentici idoli da adorare. Quest’idea deve essere razionalizzata. I beni culturali sono un patrimonio di chi li possiede e di tutti; è giusto quindi che vi sia un’amministrazione attiva che se ne prenda carico; non ci può essere un’amministrazione di pura conservazione. Quindi:
a) deve cadere l’idea – che ispira il codice dei beni culturali e del paesaggio, d. l.vo 24 febbraio 2004, n. 28 – secondo cui la tutela dei beni culturali e del paesaggio è una sorta di monopolio dell’omonimo ministero e delle sue articolazioni territoriali. Questa è un’idea malsana perché attribuisce alle soprintendenza un ruolo che si sovrappone a quello dei comuni per i profili lato sensu culturali, legati cioè alla storicità del bene: e per giunta lo attribuisce, senza che le soprintendenza abbiano mezzi e personale sufficiente per svolgere in tempi ragionevoli questo compito;
b) deve quindi cadere l’idea dei vincoli di interesse culturale in senso ampio (e generico). Il primo soggetto pubblico interessato ad una crescita rispettosa dei valori culturali è il comune. La sua funzione di amministrazione attiva deve essere anche garante di una conservazione adeguata. I vincoli possono valere solo per immobili straordinari, non per edifici che sono semplicemente belli. La città – e quindi il comune – ne deve favorire la vita;
c) devono scomparire vincoli tanto generali quanto generici di inedificabilità, come ad es. per motivi archeologici ed in molti casi per motivi paesaggistici: si possono dettare regole per una corretta e contenuta edificazione;
d) devono finire i diritti di prelazione, che, tra l’altro, non vengono mai esercitati, ma che hanno un effetto di freno sull’economia..
Conclusione n. 2 
Lo stato attuale della legislazione non è più sostenibile. È indispensabile ridurla, eliminando disposizioni inutili e portando all’essenziale ciò che richiede regolazione attraverso l’intervento della pubblica amministrazione.
Valgano due esempi.
Forse il vertice della complessità della legislazione, del suo disperdersi nel dettaglio, con tutto quello che ne può derivare se le circostanze di fatto sono anche leggermente diverse da quelle ipotizzate, è rappresentato dall’art. 5 bis della legge ordinamentale sui porti, 28 gennaio 1994, n. 84, introdotto dall’art. 48 d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. in l. 24 marzo 2012, n. 27. Questa norma disciplina i dragaggi nelle aree portuali, ciò che è correttissimo. Ma entra nel dettaglio delle operazioni, prescrivendo che cosa si deve fare al ricorrere dei risultati in un senso, nell’altro, in un terzo e quarto, ennesimo, delle analisi chimiche dei materiali scavati. E se capita qualche cosa di diverso? Bisogna fermare il dragaggio? Sembra evidente che questa norma deve essere soppressa e che la disciplina dei dragaggi deve essere delegata ad un regolamento – comunque più lineare di questa legge.

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