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È possibile semplificare?

di - 1 Giugno 2013
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In effetti, se da questa astrazione si scende al concreto dell’esperienza, emerge chiaramente che la necessità – giuridica – di realizzare qualche cosa nel rispetto delle regole dell’arte ha un’origine precisa. Essa è l’esigenza di certezza e di sicurezza sulla qualità ed affidabilità di un prodotto, che ne accompagnano l’immissione sul mercato. Questa certezza sulla qualità diventa una garanzia nei confronti dei terzi e trasforma la regola dell’arte in norma tecnica. Si tratta di vedere come questa certezza possa essere raggiunta – ovviamente in termini umani.

La questione non è banale. In natura forse non esiste alcunché di cui si possa dire che si conosce tutto delle sue caratteristiche e attitudini. Men che mai si possono avere certezze di tal genere per i manufatti, per le opere realizzate dall’uomo. Con il tempo è dunque divenuto necessario irrigidire i processi produttivi, partendo da una premessa: le “regole dell’arte” devono essere formalizzate in norme di contenuto tecnico, ma di efficacia giuridica, perché il loro rispetto garantisce, giuridicamente appunto, la qualità del prodotto. Tutto ciò porta con sé una serie di conseguenze, operative, si potrebbe dire. La prima è certamente che la formalizzazione di ogni regola dell’arte in norma tecnica deve essere accompagnata da una procedura produttiva e di controllo, il cui rispetto garantisca il raggiungimento del livello di qualità voluto. Sembra ovvio che il sistema di controllo debba essere gestito da un soggetto pubblico e tutt’al più da organismi privati abilitati. Parallelamente, in concreto l’osservanza di tale normativa sia in fase di progettazione, sia in fase di esecuzione dell’intervento, quale che esso sia, deve essere garantita da un terzo indipendente.

Come è evidente, tutto ciò ha un significato univoco. Viene richiesta una quantità incredibile di attività amministrativa, nella quale si incontrano e scontrano competenze, dirette e indirette, norme di vario rango (leggi, regolamenti, circolari) e soprattutto di varia natura: basti pensare alla possibile responsabilità civile legata alla discussa osservanza di norme tecniche, per non parlare della responsabilità penale.

5. In questa situazione, non esiste una soluzione, né unica, né unitaria. Si possono solo porre alcune premesse metodologiche.

La prima è che ogni discorso sulla semplificazione deve partire dal diritto sostanziale. Occorre studiare quali interessi pubblici, che concorrono in una determinata materia, siano realmente meritevoli di tutela. Esemplare è la liberalizzazione dell’iniziativa economica privata disposta dal d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, cui si accennava sopra: essa prevede l’abrogazione delle norme che prescrivono limiti numerici, autorizzazioni, licenze, nulla osta o altri atti di assenso della pubblica amministrazione dopo l’entrata in vigore di una serie di regolamenti; e dispone che le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all’accesso e all’esercizio di attività economiche sono interpretate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato in relazione al principio per cui l’iniziativa economica privata è libera, “e ammette solo i limiti, i programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all’ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana  e possibili contrasti con l’utilità sociale, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica”. Appare evidente che solo iniziative economiche di minime dimensioni possono essere liberamente intraprese in base a questa norma; e non è esagerato pensare che in realtà nessuna possa essere realmente indenne da qualche autorizzazione preventiva.

La seconda premessa metodologica è che questo lavoro di ricerca degli interessi realmente meritevoli di tutela deve condurre all’identificazione delle norme portanti ai fini della tutela stessa, al loro eventuale miglioramento. Per la tutela di questo tipo di interessi, e di essi soltanto, si potranno mantenere in vigore procedure mirate al rilascio di autorizzazioni, permessi, n.o. e simili ex ante.

Per gli altri interessi pubblici – ovviamente di rango secondario – ancora oggetto di tutela, il primo problema che si pone è quello di verificarne l’attualità e quindi in sostanza il loro permanere in vita. Esiste un gran numero di disposizioni che hanno il loro riferimento in interessi privi di significato, puramente autoreferenziali, si potrebbe dire. Norme di questo genere, divenute inutili, perché è venuta meno la rilevanza pubblica degli interessi che tutelano, meritano di essere abrogate. In passato è già stato fatto, naturalmente su scala ridotta o ridottissima, ma comunque senza danno alcuno.

Esistono però anche interessi che hanno una rilevanza pubblica, ma non di livello tale da richiedere autorizzazioni ex ante e quindi giustificare l’onere amministrativo che esse comportano. Qui ci vorranno pazienza, coraggio e voglia di lanciarsi in una battaglia di civiltà. La pazienza riguarda la costruzione di un catalogo di queste norme. Il lavoro può essere molto lungo, per la difesa di interessi particolari in cui ci si può imbattere.

Ma ci vuole anche molto coraggio da parte del Governo e del Parlamento. Escluse infatti le procedure di autorizzazione ex ante, la tutela degli interessi pubblici minori ha un percorso obbligato. Esso è il rispetto spontaneo delle norme da parte dei cittadini e delle imprese. Senza illudersi che tutti i cittadini diventino improvvisamente virtuosi, qualche cosa si può apprendere dal traffico, che è probabilmente il momento della vita individuale più impregnato di interesse collettivo: gli spostamenti di ciascuno dipendono dal comportamento degli altri. Norme chiare; autoregolazione; misure repressive e sanzionatorie efficaci e soprattutto giuste; inducono più facilmente di quanto si pensi correttezza di comportamenti, ampiamente ricompensata dalla riduzione degli oneri amministrativi.

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