Moneta, potere economico, potere politico

Indice-sommario: 1. Tre funzioni della moneta; 2. La moneta come una forma specifica di credito; 3. La moneta puramente contabile; 4. La creazione di moneta (sia in forma di banconote sia in forma di pure scritture contabili) delle banche centrali; 5. La creazione di moneta da parte della banche; 6. La moneta in tutte le sue forme come capitale totale; 7. Se c’è un credito totale ci deve essere un debito totale di pari entità; lo Stato come garante del pagamento dei debiti; 8. La confusione tra creditori e debitori, tra Stati creditori e Stati debitori; 9. Il senso della riforma dell’art. 81 della Costituzione; 10. Il senso complessivo della crisi del 2008; 11. E’ possibile al potere politico controllare e governare il potere economico?

1. Tre funzioni della moneta

Il punto di partenza di questo scritto è l’analisi della moneta (o danaro, con parola equivalente e che comunque qui sarà usata come sinonimo di moneta).

Moneta è il dollaro, l’euro, lo yen giapponese, e così via, cioè qualcosa (uso volutamente una parola la più generica e vaga possibile, in attesa di chiarire che cos’è questo qualcosa per ora solo presupposto) che svolge tre funzioni collegate: 1) stabilisce l’unità di conto, cosicché vi sono i multipli e i sottomultipli dell’unità, senza limiti per i multipli (dieci, cento, mille, … un miliardo di euro, ma se necessario anche di più), con limiti pratici per i sottomultipli (non avrebbe senso pratico andare oltre il centesimo di euro): in tal modo qualsiasi cosa vendibile ha un prezzo espresso in moneta, e tutte le cose vendibili sono comparabili sulla base del loro valore monetario; 2) facilita lo scambio tra tutti coloro che intendono vendere qualcosa e tutti coloro che intendono comprare qualcosa, separando la vendita di merci (e servizi) dalla compera di merci (e servizi): chi vende è disposto a trasferire la cosa in vendita al compratore in cambio di moneta, chi compra usa moneta al fine di ottenere la merce che desidera; in altre parole alla permuta (come dice il codice civile) o baratto (come preferiscono dire gli economisti) si sostituisce il mercato basato sulla moneta: è sufficiente che ogni merce abbia il suo prezzo in termini monetari e che circoli tanta moneta quanta è sufficiente per portare a termine tutti gli scambi entro un periodo arbitrario (qui bisogna ricordare la velocità di circolazione della moneta: la stessa quantità di moneta può essere usata più volte per molti scambi successivi, cosicché la quantità di moneta necessaria affinché tutti gli scambi possano avvenire è molto inferiore alla somma dei prezzi delle merci scambiate); 3) la funzione di strumento di scambio non potrebbe aver luogo se la moneta non conservasse nel tempo, come cosa verificabile e verificata, il valore della merce che è stata venduta in cambio di moneta; in altre parole chi vende in cambio di moneta deve avere la ragionevole certezza che con quella moneta potrà successivamente comprare qualunque merce che aveva lo stesso prezzo di quella da lui venduta; se la cosa venduta aveva un prezzo di cento, ed in cambio ha ricevuto una moneta da cento, il venditore deve avere la ragionevole certezza che con quella stessa moneta da cento domani potrà comprare qualcosa che aveva e conserva un prezzo di cento; ragionevole certezza non vuol dire assoluta certezza: in realtà qualunque moneta varia nel tempo, in più o in meno, nel senso che aumenta o diminuisce il suo potere d’acquisto; oppure ciascuna merce nel tempo varia il suo prezzo, in più o in meno rispetto ad altre merci; queste continue variazioni nel prezzo di tutte le merci e quindi anche nel potere d’acquisto della moneta non tolgono che nel tempo la moneta conservi (sia in grado di conservare) un potere d’acquisto (calcolato ad es. su un pacchetto di merci eguale nel tempo) eguale o quasi eguale: se dunque queste variazioni nel potere d’acquisto della moneta sono piccole, i vantaggi del mercato basato sulla moneta sono talmente grandi che il meccanismo funziona con sufficiente regolarità e prevedibilità; quello che qui interessa è sottolineare la necessità e inevitabilità di questa terza funzione: la moneta come depositaria di valore; chi possiede moneta ha tanto potere di acquisto quante sono le merci che egli può acquistare con la moneta posseduta; va poi sottolineato che si tratta di un potere di acquisto generico e generale, misurato solo dal numero di unità di conto che il proprietario di moneta possiede; in altre parole chi possiede un milione di euro può comprare quante merci vuole, nel periodo che vuole, nella quantità che vuole, fino alla compensazione col suo milione di euro: se ha speso l’ultimo euro, il suo potere di acquisto è finito; fino a che possiede ancora euro ha tanto potere di acquisto quanti sono gli euro che possiede.

2. La moneta come specifica forma di credito

La moneta, riguardata sotto questo aspetto, ha qualcosa eguale al credito, anche se giuridicamente non è un credito in senso stretto (nel senso cioè del codice civile); ha qualcosa di eguale al credito del codice civile perché rappresenta la possibilità di ottenere qualcosa da qualcun altro, come accade nel credito in senso proprio; non è un credito nel senso giuridico stretto perché il credito nel senso tecnico del termine è sempre un credito verso uno specifico soggetto ed è determinato o determinabile (è diritto ad ottenere da quello specifico debitore quello specifico bene), mentre il denaro permette di acquistare qualunque bene in vendita da qualunque persona disposta a vendere; inoltre in termini giuridici il possessore di moneta non ha diritto a comprare sol che lo voglia, perché il venditore deve essere d’accordo nel vendere.

Però la moneta ha valore legale, il che significa che il creditore deve accettare la moneta legale come pagamento del debito calcolato in moneta (così lo Stato non può rifiutare di ricevere le tasse pagate con moneta legale, e qualunque privato non può rifiutare di accettare il pagamento del suo credito fatto dal debitore con moneta legale); tranne casi eccezionali (ad es. una terribile carestia o una guerra disastrosa per cui chi ha beni alimentari non è disposto a venderli ad alcun prezzo perché con quei beni può sopravvivere e senza morirebbe di fame), in generale chi possiede moneta ha la certezza di poter comprare qualunque cosa sul mercato che ha un prezzo pari alla somma di moneta che possiede.

Se teniamo presenti tutti questi aspetti della moneta, possiamo concludere che la moneta è anche un particolare credito generico su tutta la ricchezza presente su quel mercato al quale il possessore può accedere, credito pari alla somma di danaro che possiede; il fatto che il possessore di moneta potrebbe essere un debitore in senso proprio verso lo Stato o verso un privato non toglie che la moneta mantenga questa caratteristica di credito generico: infatti il debitore nel pagare il suo debito con moneta legale trasferisce il suo credito generico allo Stato o al privato creditore, che potranno usare a loro volta questo credito generico passato dal primo agli altri. E’ proprio questa possibilità garantita dal diritto dello Stato che giustifica la moneta e permette che funzioni come moneta; in altre parole la moneta non potrebbe funzionare come moneta se effettivamente quel pezzo di carta che lo Stato dice di essere moneta e impone di accettare come moneta non valesse sul mercato quanto dice di valere (ad es. cento euro, mille dollari, e così via).

3. La moneta puramente contabile

A questo punto la cosa sorprendente che deve occuparci (e che però conferma l’analisi precedente e la rende evidente) è la constatazione che la moneta può essere puramente contabile, rappresentata da mere scritture contabili. Già la carta moneta con valore legale, paragonata alle manifestazioni tradizionali della moneta (e cioè l’oro e l’argento, ma anche il sale, il bronzo, il bestiame, ecc.: moneta in latino si diceva pecunia, viene da pecus, e pecus è la pecora), desta meraviglia: come può un pezzo di carta (sia pure stampato in modi complessi per rendere difficili le falsificazioni) fungere da moneta? La risposta che viene data (perché lo Stato ne impone la circolazione, ed in particolare stabilisce che nessun creditore può rifiutare in pagamento quella moneta con valore legale imposta dallo Stato), non è sbagliata rispetto alla carta moneta (il c.d. contante), ma anzitutto non spiega perché oggi sempre più anche la carta moneta sta scomparendo sostituita da pure scritture contabili, e poi non spiega come mai tali scritture contabili conservano nel tempo il valore monetario (sia pure con quello slittamento continuo, piccolo, ma talvolta grande e violento, manifestato dalla inflazione).

Vediamo più da vicino sia le banconote sia le scritture contabili (che sono di vario genere anche se tutte rappresentano e conservano un valore monetario).

Se una persona deposita in banca banconote per un importo x ed apre contestualmente un conto corrente a vista con la stessa banca, il contante scompare perché ritirato dalla banca, ed al suo posto c’è una scrittura contabile che accredita la stessa cifra a favore del depositante. Il depositante può in ogni momento (a vista si dice) ritirare il suo contante che la banca non può rifiutare di restituire, ma egli può anche incaricare la banca (se così dispone il contratto di conto corrente, come in generale accade) di pagare un’altra persona versando la somma sul conto corrente bancario di tale altra persona. Anche in questo caso non si muove neppure una banconota: la banca diminuisce il conto del correntista che ha dato la disposizione e, o direttamente o mediante collegamento con la banca del beneficiario, aumenta contabilmente il conto di quest’ultimo.

Chi possiede un conto corrente bancario può sottoscrivere un assegno bancario e cioè un titolo di credito (una particolare scrittura sottoposta a regole specifiche) che viene materialmente consegnato al beneficiario il quale potrà incassare la somma scritta nell’assegno tramite la sua banca (o direttamente ottenendo contante, sempre che il conto dell’emittente risulti sufficiente, o più comodamente, se ha un conto corrente bancario, chiedendo alla banca di versare la cifra su tale conto).

Il bancomat da qualche anno è una forma ancora più comoda che non costringe ad andare fisicamente in banca: chi compra è titolare di un conto corrente al quale può accedere direttamente mediante una speciale tessera; il venditore è anche lui titolare di un conto corrente e si è dotato, col consenso delle banche interessate, di uno speciale apparecchio; inserendo la tessera in esso e digitando il numero segreto di accesso, il compratore dà “ordine” al suo conto corrente di spostare la cifra indicata dal suo conto a quello del venditore; tutto avviene mediante flussi elettronici per cui in un attimo il conto del compratore diminuisce e di altrettanto aumenta il conto corrente del venditore. Anche in questo caso il contante scompare, ma non scompare affatto, anzi si realizza proprio il potere d’acquisto della moneta.

4. La creazione di moneta (sia in forma di banconote sia in forma di pure scritture contabili) delle banche centrali

Non è il caso di descrivere qui (posto che ne avessi la capacità) tutti gli innumerevoli modi attraverso cui il contante viene sostituito da scritture contabili.

Il caso più clamoroso è quelle delle banche centrali. Esse possono creare dal nulla, o stampando banconote nella misura richiesta dal mercato o più spesso mediante scritture contabili, quanta moneta vogliono, dandola in prestito alle banche, cosicché nella voce debiti della banca centrale figura la somma creata con l’emissione (in generale puramente contabile) di moneta, bilanciata nella parte crediti da quanto le banche si sono impegnate a restituire nei tempi stabiliti. Naturalmente il meccanismo può funzionare soltanto se questo danaro puramente contabile una volta giunto alle banche viene a sua volta dato in prestito a fini produttivi, e nei tempi stabiliti gli ultimi prenditori restituiscono alle banche il capitale più gli interessi, e le banche chiudono il cerchio con la banca centrale, salvo ricominciare da capo il gioco. Insomma, alla base di questo circuito puramente monetario deve esserci una economia reale, che produce quanto è sufficiente per restituire capitali monetari e interessi. Il gioco, se necessario, può essere invertito: la banca centrale aumenta drasticamente il tasso di interesse, pone condizioni più onerose alle banche, il credito complessivo diminuisce, l’economia reale ha una frenata più o meno brusca.

5. La creazione di moneta da parte delle banche

Finora abbiamo considerato soltanto contanti e depositi a vista (che equivalgono a contanti, sempre che la banca non fallisca; come è noto ci sono garanzie per i piccoli depositi fino ad una certa cifra, ma oltre questa può esserci una perdita di moneta per il loro possessore per il fallimento della banca; nonostante tutto il contante è più sicuro dei depositi a vista; ma anche il contante può risultare insicuro: una violenta e progressiva inflazione, come è già accaduto varie volte, può annullare rapidamente il valore monetario delle banconote; a questo punto ci sono appunto i beni rifugio: oro, diamanti, opere d’arte, edifici, e così via, cioè cose materiali che hanno una valore intrinseco sul mercato).

Ma la creazione di potere d’acquisto e cioè di moneta come depositaria di valore è appena cominciata.

Anzitutto le banche sanno per esperienza ormai con consolidata che, data la somma di 100 in depositi a vista, solo una minima parte viene ogni giorno ritirata (o in banconote o con trasferimento ad altri soggetti); esse dunque possono prestare la parte restante, calcolando attentamente i tempi in modo da avere sempre tanta liquidità quanta è necessaria per soddisfare i correntisti che chiedono indietro la somma da essi posseduta; se poi i depositi sono a tempo (con obbligo di restituzione dopo sei mesi, o un anno, oppure a risparmio per anni, naturalmente in cambio di un interesse), a maggior ragione su questi la banche possono calcolare quanta parte è libera per fare altri prestiti, rimborsabili in tempi certi, ovviamente con intereressi. Coloro che ricevono i mutui bancari a loro volta pagano in tal modo i loro debiti, e i loro creditori a loro volta usano il danaro ricevuto per fare altri pagamenti, e così via all’infinito. Tutto il gioco funziona se e finché tutti i debitori pagano alla scadenza capitale e interessi, e tutti i debitori sono in grado di pagare soltanto se l’attività economica reale che essi hanno intrapreso con il danaro preso a prestito dà un ritorno tale da pagare capitale e interessi (e cioè dà un utile).

6. La moneta in tutte le sue forme come capitale totale

Le banche dunque sono le maggiori creatrici di moneta come deposito di valore (come dispensatrici di potere d’acquisto che si manifesta in termini monetari).

Ma non sono affatto finite le forme di creazione di moneta come deposito di valore. Qui bisogna trascurare la disciplina specifica di ciascuna forma nella quale si incarna un valore monetario, in base alla quale non sono forme totalmente equivalenti. In particolare varia continuamente la liquidità, la possibilità cioè di realizzare il valore monetario traducendolo in contante (o scritture contabili del tutto equivalenti): è chiaro che nessun titolo di credito per definizione è tanto liquido (e cioè immediatamente spendibile contro merci e servizi o come mezzo di pagamento dei debiti) quanto la moneta ufficiale. Se però esistono, come esistono, mercati efficienti attraverso i quali realizzare, quanto più rapidamente è possibile, il valore monetario del titolo rappresentativo di valore monetario, si ottiene di fatto un enorme aumento della moneta come deposito di valore, e quindi anche della moneta come mezzo di pagamento (diventa possibile acquistare beni e servizi, o pagare debiti, mediante tali titoli rappresentativi di valore monetario).

Attraverso le c.d. cartolarizzazioni diventa possibile trasformare in titoli di credito qualsiasi cosa: la proprietà sulle cose diventa la base di un credito sulla produzione futura, credito che mediante il mercato dei titoli può trasformarsi in qualsiasi momento in moneta e cioè in credito generico su qualunque cosa vendibile.

Si crea inoltre un mercato puramente finanziario nel quale si scambiano titoli rappresentativi di valore (il mercato delle azioni, delle obbligazioni, e degli innumerevoli altri tipi di documenti rappresentativi di valore creati dalla capacità inventiva umana).

Qui non ci interessa una analisi (che del resto non saprei fare) delle molte forme di creazione e circolazione dei titoli rappresentativi di valore monetario. Mi interessa quello che hanno in comune: sono tutte manifestazioni di valori monetari visti e gestiti come capitale in forma monetaria, e poiché sono capitali in quanto valori monetari che cercano di ottenere un interesse, e cioè una restituzione di moneta tale che venga garantito il valore capitale iniziale ed in più il titolare del capitale ottenga un di più (l’interesse sul capitale), nel loro insieme tutte le forme mediante le quali si manifesta la moneta come deposito di valore (come potere d’acquisto) sono una gigantesca e proteiforme manifestazione di credito generico che i possessori di tali capitali hanno nei confronti dell’intera futura produzione di beni e servizi.

Diventa così possibile trascurare le molte forme di creazione e circolazione della moneta come capitale, e vedere l’insieme come il capitale totale, e cioè l’equivalente in termini monetari di tutto il capitale (oggi mondiale), e quindi di tutti i proprietari di tale capitale, e quindi di tutti i creditori che, titolari del capitale, esigono che tutto il capitale, e quindi tutti i loro titolari, vengano retribuiti al massimo possibile, col massimo possibile di interesse (come e perché si ottiene questa remunerazione del capitale in forma monetaria, come e perché cresce o diminuisce per tutti in un certo periodo, ed in altri cresce per alcuni e diminuisce per altri, come e perché alcuni non solo non ottengono interesse ma perdono in tutto o in parte il loro capitale, come e perché i diversi capitali vengono trasferiti da una persona ad altra persona, sono l’oggetto di quelle scienze specifiche che si occupano di tali domande che qui ovviamente non possiamo trattare se non all’ingrosso).

7. Se c’è un capitale totale ci deve essere un debito totale di pari entità: lo Stato come garante del pagamento dei debiti

Mi pare che questa visione semplificata, ma non erronea, dell’economia mondiale consente di chiarire le dinamiche economiche e politiche di questi anni.

Anzitutto è o dovrebbe essere evidente che il danaro, qualunque sia la sua forma, di per sé non produce nulla (l’albero cacazecchini non esiste). Come mai un valore monetario di cento alla fine restituisce non centro ma ad es. centrotre? Si faccia attenzione: non si tratta di un numero, e neppure di una banconota che porta il numero centrotre anziché cento (o di due o tre banconote il cui totale sia centotre), ma del fatto che effettivamente i cento iniziali acquistavano beni e servizi per un valore di cento, ed ora i cento iniziali ritornano al proprietario con un aggiunta di tre che permettono al proprietario di acquistare beni e servizi pari a tre oltre i beni e servizi iniziali pari a cento. Si deve trattare cioè di un fenomeno reale, di una vera ricchezza pari a centrotre superiore di tre alla ricchezza iniziale pari a cento. Bisogna dunque che vi siano tanti produttori che ricevuti i cento iniziali producono e vendono sul mercato beni e servizi per un valore pari a centrotre, in modo tale da potere pagare l’interesse di tre. In sintesi, di fronte al capitale monetario totale, nelle sue varie forme, deve stare una produzione mondiale capace di restituire il capitale monetario iniziale e di pagare in più l’interesse su di esso (trascuro il fatto che in generale il capitale viene rimborsato in quote annuali e l’interesse cresce col crescere degli anni necessari per rimborsare tutto il capitale: naturalmente il ciclo economico è molto diverso sulla base delle variazioni di tale fatto). Di fonte alla massa dei creditori sta la massa dei debitori.

Chi deve garantire che i debitori paghino il loro debito? Come sempre il garante è lo Stato, monopolizzatore della forza armata entro il suo territorio (e quindi anche lo Stato che minaccia o usa ritorsioni fino alla guerra per tutelare i suoi creditori contro un altro Stato che non ottempera al suo obbligo di far pagare i debitori).

8. La confusione tra creditori e debitori, tra Stati creditori e Stati debitori

A questo punto le cose si complicano in modo inestricabile ed imprevedibile. Anzitutto è impossibile distinguere creditori e debitori in due classi rigorosamente separate: anche se alcuni pochi (rispetto all’insieme degli esseri umani: quindi in ipotesi pochi milioni di persone, contro sette miliardi) sono soltanto creditori (sono proprietari di masse enormi di capitali in forma monetaria) ed altri moltissimi sono soltanto debitori (non sono proprietari di alcun capitale in forma monetaria), vi sono molti che sono sia creditori che debitori: sono debitori in quanto, o per debiti contratti da essi direttamente o per debiti contratti indirettamente dal loro Stato, debbono produrre in termini monetari più di quanto possono trattenere, ma sono anche creditori in quanto contemporaneamente posseggono titoli di credito. Avviene qualcosa di simile alla proprietà di terreni, o di abitazioni, o alla speculazione edilizia: pochi sono i grandi proprietari o i grandi speculatori, magari illegali, ma moltissimi sono i piccoli proprietari e i piccoli speculatori, cosicché ogni tentativo di condizionare la proprietà o diminuire la speculazione si scontra con reazioni popolari di massa, che salvaguardano anche i grossi proprietari e i grossi speculatori.

I grandi proprietari di capitali monetari da tempo hanno capito che se rimanessero da soli sarebbero facilmente individuabili e facilmente aggredibili dalla massa dei nullatenenti: ecco dunque la moltiplicazione delle forma di risparmio che creano una grande massa di piccoli proprietari di capitali, ferocemente interessati a conservare il piccolo loro capitale ed ottenere il piccolo interesse che li ha indotti a risparmiare. Ecco anche spiegata la segretezza che circonda la distribuzione dei capitali e le infinite forme di soggetti impersonali che impediscono di comprendere quali sono le persone fisiche realmente proprietarie.

Esistono poi Stati creditori e Stati debitori, e cioè Stati che hanno più crediti che debiti e Stati viceversa che hanno più debiti che crediti; però anche gli Stati debitori sono costretti a difendere i creditori sia perché molti dei loro cittadini sono creditori e pretendono anch’essi di essere pagati come stabilito, sia soprattutto perché gli Stati debitori sono costretti a rivolgersi al mercato e per ottenere crediti debbono promettere e garantire che i debiti saranno onorati.

Moltissime persone sono debitori non direttamente ma indirettamente: i debiti non li hanno stipulati loro, ma il loro Stato. Ciononostante mediante la tassazione essi debbono contribuire al pagamento dei debiti contratti dallo Stato.

9.     Il senso della riforma dell’art. 81 della Costituzione

La recente riforma dell’art. 81 della Costituzione è la ultima prova e dimostrazione di questa realtà: addirittura a livello di Costituzione gli Stati si impegnano nei confronti dell’Unione europea (e quindi del mondo intero) e perseguire politiche economiche tali che i debiti saranno fedelmente ed integralmente onorati. Come le banche non concedono mutui per consumi se non in casi eccezionali e con adeguate garanzie (ad es. mutui per l’acquisto di una abitazione su cui contestualmente viene posta una ipoteca), così gli Stati dell’euro non possono contrarre debiti per spese correnti, se non in casi eccezionali e sotto stretto controllo dell’Unione europea, mentre possono contrarli per spese di investimento, e cioè spese che daranno luogo a produzioni che garantiscono (in principio) un ritorno sia del capitale investito sia degli interessi su di esso.

10.     Il senso complessivo della crisi del 2008

In astratto il potere politico è più forte di quello economico: ha dalla sua la forza armata, che quello economico non ha. Se però, quale che sia la ragione, il potere politico si è privato di poteri di controllo sul potere economico e gli lascia piena libertà di andare dove vuole (e sotto forma di capitale monetario può andare in qualsiasi luogo mediante spostamenti contabili permessi da strumenti elettronici), allora il potere politico diventa impotente di fronte alle manifestazioni del potere economico. E’ quello che accade oggi: il potere economico è oggi essenzialmente potere finanziario, potere cioè concentrato nella proprietà di moneta in qualunque sua forma; questo potere oggi può istantaneamente o in tempi molto brevi trasferirsi altrove, cosicché se uno Stato non vuole trovarsi improvvisamente senza capitali fuggiti altrove deve piegarsi alla loro volontà (la frase oggi in voga è: lo chiedono i mercati; lo vuole il mercato).

La crisi mondiale che dura dal 2008 ed ancora non è stata superata (sicuramente per l’Unione europea; gli Stati Uniti sono ancora in bilico; diversa la situazione per i c.d. Paesi Bric) ha visto comunque quanto grande è la sproporzione in termini di potere tra capitale monetario complessivo e popolo (la massa dei debitori): nel momento in cui la crisi di grandi capitalisti (grandi banche e imprese di assicurazione) stava portando al fallimento in termini tecnici di essi (e cioè alla perdita totale del capitale) sono intervenuti con prestiti massicci (di miliardi di dollari o monete equivalenti) gli Stati, che hanno impedito tali fallimenti; nel momento in cui gli Stati, indebitati per questo immenso e rapido salvataggio, hanno avuto bisogno di prestiti, gli Stati hanno dovuto pagare salati interessi e per pagare tali interessi diminuire drasticamente le loro spese e aumentare la tassazione sui ceti popolari, far crescere in modo pauroso la disoccupazione ed il lavoro precario. Due pesi e due misure, contro le quali poco hanno potuto le ribellioni e le proteste che pure ci sono state.

11. E’ possibile al potere economico controllare e governare il potere economico?

Naturalmente se il mercato viene visto come un fatto naturale oggettivo, simile in questo al clima atmosferico o alle stelle, il potere politico non solo oggi non riesce a governare quello economico ma neppure può immaginare forme di controllo. Al più, come oggi accade, può immaginare e praticare forme di controllo che garantiscono il capitale monetario, i suoi movimenti ed il profitto come remunerazione di esso. Se invece si pensa collettivamente che il capitalismo, in qualunque forma, è una costruzione umana, anche se come frutto di un processo del quale gli uomini non sono pienamente consapevoli (come insegnava già Vico), allora diventa possibile pensare e praticare forme di governo del capitale monetario. Sono però oggi forme di governo che comunque travalicano gli Stati, ed al più diventano praticabili, con forti limitazioni, a livello statale da grandi Stati (come gli Stai Uniti, la Cina, l’India e forse il Brasile) o unioni di Stati (come l’Unione europea), sempre che vogliano praticare tali forme (ed oggi non hanno alcuna intenzione di immaginarle e praticarle). Ma a questo punto dovrei avventurarmi su un terreno schiettamente politico, dicendo per di più cose talmente eterodosse da rischiare la figura di un ridicolo don Chisciotte, e perciò smetto qui di parlare in questa sede.