A cosa servono gli economisti

Ronald H. Coase è un economista difficilmente classificabile. Sebbene, infatti, egli sia stato insignito del Premio Nobel per l’Economia, tuttavia ha sempre mantenuto, per svariate ragioni, un atteggiamento critico nei confronti del mainstream della scienza economica neoclassica. Coase non ha mai accettato passivamente le idee unanimemente condivise e, quando ha avuto un dubbio, lo ha preso in considerazione e lo ha sviluppato, indipendentemente dalle conclusioni che potevano derivarne. Così, ancora ventenne, a fronte delle lezioni dei suoi docenti che descrivevano l’economia di mercato come un sistema assolutamente decentrato in cui gli individui si coordinano attraverso il sistema dei prezzi, egli si rese conto che l’impresa, motore dell’economia di mercato, aveva invece una struttura gerarchica, basata sul comando anziché sull’accordo (come è invece per i contratti). Indagò quindi la natura dell’impresa e alla fine giunse alla tesi secondo cui essa esiste a causa dei costi di transazione. Coase mise cioè in evidenza che, talvolta, l’uso del mercato comporta dei costi troppo elevati e quindi risulta più conveniente creare una struttura gerarchica. In tal modo egli poteva spiegare, ad esempio, un’integrazione verticale: essa poteva nascere dal fatto che l’uso del contratto fra due imprese comportava costi eccessivi e che l’integrazione, sostituendo il contratto con il comando, rendeva meno costosa la produzione. L’esistenza dei costi di transazione fu una scoperta che Coase tenne sempre viva nella sua mente. Il suo articolo “Il problema del costo sociale” (1960), a dispetto dell’atteggiamento dell’accademia che aveva accettato pacificamente le idee di Pigou, contiene l’affermazione che, in assenza di costi di transazione, le esternalità vengono corrette in modo spontaneo dagli individui, i quali negoziano fino al punto in cui il costo marginale sociale è uguale al beneficio marginale sociale. Ne discendono le due conclusioni secondo le quali 1) i rimedi proposti da Pigou non sono necessari; 2) il sistema legale non incide sull’allocazione dei diritti, è cioè irrilevante. Infatti, anche assegnando una pretesa ad un soggetto che la valuta meno di altri, egli non produrrà l’esternalità negativa che deriverebbe dall’esercizio della pretesa ma cederà la stessa a chi la valuta di più e che quindi è disposto a pagare una somma maggiore del valore attribuito dal titolare di essa.
La scoperta di questo risultato portò Coase a rendersi conto del significato e dell’importanza dell’argomento a contrario che si poteva sviluppare partendo dalle sue conclusioni. Argomentando a contrario si arrivava alla conclusione che il diritto, quindi l’istituzione per eccellenza, è rilevante ai fini del raggiungimento dell’efficienza economica quando i costi di transazione esistono. Se, infatti, i costi di transazione sono positivi, allora le esternalità non si possono correggere con le negoziazioni ed i diritti soggettivi rimarranno tendenzialmente nelle mani dei soggetti a cui l’ordinamento li ha attribuiti. L’allocazione iniziale dei diritti soggettivi risulterà essere quella definitiva. Di qui la conseguenza che se l’ordinamento attribuisce il diritto ad un individuo che lo valuta poco rispetto ad un altro individuo, quel diritto rimarrà nelle mani del primo titolare, con l’effetto che si arriverà ad un risultato inefficiente. Ronald Coase, nella sua lezione Nobel del 1991, ha affermato che il giorno in cui gli economisti inseriranno i costi di transazione nei modelli economici le conclusioni di questa scienza saranno molto diverse. L’economista inglese ha inoltre sostenuto che la scoperta dei costi di transazione è indubbiamente la sua scoperta più importante.
Ma Coase non si è limitato nella sua lunga vita di ricerca (di oltre ottant’anni) a mettere in discussione i dogmi dell’economia mediante riflessioni teoriche più approfondite. Egli ha anche fatto e ha stimolato a fare ricerche empiriche sull’economia reale, evitando di assumere per certe le conclusioni teoriche. Così, nell’articolo “Il faro nell’economia” (1974), Coase studiò la costruzione dei fari in Inghilterra nel corso di vari secoli e mise in evidenza, attraverso tale ricerca, che i fari erano sorti talvolta senza l’intervento dello Stato o con interventi atipici rispetto a quelli che l’economia neoclassica, dopo la lezione di Samuelson, consigliava. Questa esigenza di studi empirici è stata una costante del modo di pensare di Ronald Coase il quale, nella Lezione Nobel, ha messo in evidenza come gli economisti si siano appassionati ai modelli matematici che hanno scarsa attinenza con l’economia così come essa è. Egli parlò di “economia della lavagna”.
Nel dicembre 2012 Coase, a 102 anni compiuti, ha pubblicato un articolo sulla Harvard Business Review (numero del dicembre dello scorso) in cui esprime la sua idea sul modo di studiare l’economia oggi.
Il titolo dell’articolo è suggestivo: “Salviamo l’economia dagli economisti”[1].
Si capisce che Coase voglia esprimere una critica al pensiero economico contemporaneo ed infatti così è .
Ronald Coase sostiene che il pensiero economico produce modelli matematici che hanno un grado di complicazione molto elevato e che hanno scarsa attinenza con la realtà. In tal modo gli economisti dimostrano di voler scrivere per altri economisti e non sentono l’esigenza di parlare ad un pubblico più vasto. Sono cioè autoreferenziali. L’effetto negativo maggiore che Coase ravvisa in questo atteggiamento sta nel fatto che essi non producono idee su come funziona l’economia reale, idee che sarebbero molto utili per i manager e gli imprenditori. Gli economisti scrivono per un club che assegna ai più capaci nell’uso della matematica i premi costituiti dalle posizioni nelle università, ma non hanno interesse né di comprendere l’economia reale “così come essa è” né di parlare ad un pubblico più vasto.
Ben diversa era la natura della scienza economica quando essa vide la luce. La “Ricchezza delle Nazioni”, scrive Coase, fu concepita da Adam Smith per esser letta da persone che non avevano una conoscenza pregressa ed infatti venne letta e discussa da imprenditori e intellettuali. Totalmente diverso è l’atteggiamento degli economisti di oggi. Ora gli economisti si parlano fra loro facendo un largo uso della matematica e producono conclusioni che sono poco utili per comprendere l’economia reale.

La preoccupazione dell’economista inglese non è tanto quella che l’“economia della lavagna” non determini fra gli studiosi una conoscenza più esatta dell’economia reale, ma soprattutto quella che tale modo di studiare l’economia, esprimendosi con tecniche troppo difficili e con assunti poco probabili, non dia utili consigli ai manager e agli imprenditori su come agire. Una delle conseguenze più importanti di questo disinteresse verso un pubblico più ampio sta nel fatto che gli imprenditori e i manager nel loro operare non usano concetti elaborati analiticamente ma si basano sul loro intuito e, quando si verifica una situazione nuova e perdono la fiducia in esso, sono portati a chiedere aiuto allo Stato. E lo Stato è sempre pronto ad intervenire nell’economia.
Vi è quindi in Coase la preoccupazione di un eccessivo intervento dello Stato nell’economia, chiamato ad interessarsi alle faccende economiche anche della classe dei manager e degli imprenditori che non ha, in una situazione particolare, gli strumenti per prendere le decisioni. Questi strumenti dovrebbero essere forniti dagli economisti i quali potrebbero preoccuparsi maggiormente di comprendere l’economia reale così come essa è piuttosto che costruire elaborati modelli matematici che hanno un debole legame con la realtà.
Coase, nell’articolo del 2012, invita allora gli studiosi di economia a compiere ricerche empiriche e ad abbandonare l’attitudine a considerare l’economia come fonte di spunti per costruire modelli matematici. L’economista di Chicago ritiene che la conoscenza delle economia è ancora troppo poco sviluppata per potersi dire che vi è l’utilità di costruire i modelli matematici. Egli ricorda come l’economia sia influenzata dal diritto, dalla storia e dai costumi di un Paese e che questi fattori non siano mai stati considerati dagli economisti. Quindi, la conoscenza è ancora insufficiente e le ricerche empiriche sono necessarie.
Coase, nella Lezione Nobel del 1991, affermò: “Le mie osservazioni hanno fatto talvolta ritenere che io sia ostile alla matematizzazione della teoria economica. Ciò non è vero. Una volta, infatti, che cominceremo a scoprire i fattori reali che influiscono sul sistema economico, le complicate interrelazioni esistenti tra di essi richiederanno necessariamente un trattamento matematico, come è avvenuto nelle scienze naturali, e gli economisti come me, che scrivono in prosa, s’inchineranno. Speriamo che questo momento venga presto”.
Coase non si è inchinato, anzi ha ripetuto le sue critiche. La sua lezione non è stata ancora accolta.
Ritiene Coase ritiene che oggi vi siano condizioni eccezionali per fare ricerche empiriche molto importanti. L’economia di mercato si sta diffondendo in Paesi e continenti che prima conoscevano sistemi economici diversi: la Cina, l’India, l’Africa e altri Paesi sono oggi passati all’economia di mercato. Vi è adesso l’occasione di vedere come nasce e cresce non una singola impresa ma tutto il sistema economico fondato sulle imprese. Vi è quindi la chance, che Coase vorrebbe fosse colta dagli economisti, di studiare empiricamente il mondo della produzione. Abbandonando perciò gli studi astratti e matematizzati e ritornando all’interesse per l’economia reale.
Deve dirsi che vi sono autori che hanno seguito l’insegnamento di Coase: Williamson e Ostrom hanno seguito le sue indicazioni e sono stati insigniti del Premio Nobel per l’economia. Questo è il segnale che i problemi di Coase sono stati fatti propri da parte dell’accademia. Coase, probabilmente, nel suo articolo è eccessivamente pessimista o forse dimostra di essere particolarmente modesto.
Vi è un punto su cui Coase non si sofferma e la cui risoluzione è indispensabile al fine di stabilire come le indagini empiriche debbano essere svolte. Coase non affronta il problema della necessità o meno che uno studioso abbia in mente un modello economico di riferimento quando fa ricerca. Richard Posner, in Overcoming Law (1995), afferma che un modello di riferimento lo studioso deve averlo, altrimenti rischia di ammassare dati senza alcun criterio e senza la possibilità che poi possano essere utilizzati. Come si è detto, Coase è silente sul punto. Esaminando tuttavia gli studi dell’economista inglese si può notare che egli, anche quando ha compiuto ricerche empiriche, aveva in mente il modello economico neoclassico È molto chiaro il suo riferimento alla economia neoclassica nell’articolo “Il problema del costo sociale” e in quello successivo, “Il faro nell’economia”. Quindi deve dirsi che, almeno nei fatti, Coase utilizza una schema già elaborato per affrontare le ricerche empiriche. Questa è forse la strada più utile per ottenere risultati che possano aiutare a comprendere come funziona l’economia reale così come essa è.

Note

1.  L’articolo di Ronald Coase è consultabile all’indirizzo web http://hbr.org/2012/12/saving-economics-from-the-economists/ar/1