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Una rinnovata legge quadro sulle calamità?

di - 5 Marzo 2013
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Ogni passo della sequenza ha ovviamente un elevato livello problematico. La sequenza complessiva, nelle evidenti correlazioni tra i diversi passi, non può che essere disegnata di massima. La diversità dei casi è tale che non è pensabile poterli riportare ad un unico rigido e predefinito «format». Conviene definire gli approcci metodologici generali ed ancora di più gli strumenti che si possono applicare. In sostanza: linee guida/buone pratiche e una pluralità di strumenti tutti molto attentamente disciplinati.
Al fondo, riprendendo anche dalle esperienze di altri eventi, ecco alcune delle questioni di fondo da dirimere:

-> dal caso dei recenti eventi calamitosi che hanno interessato gli Stati Uniti, la questione dell’approccio di base del Servizio di Protezione Civile: se cioè deve rispondere alla logica del «big government» o dello «small government».
In altri termini: centrale/federale o statale/regionale/territoriale (provinciale/comunale)?
E quindi quale è il grado ottimo di commistione tra i due approcci che deve essere raggiunto e, soprattutto, come deve essere organizzata la relazione tra «big» e «small», ferma restando la inevitabilità oramai della relazione. Quindi di un servizio unitario, articolato sul territorio;
-> da i casi più recenti di annuncio di possibili calamità naturali: a chi spetta, comunicare e informare su possibili eventi calamitosi, come farlo e quali le responsabilità;
-> dagli eventi che sono accaduti in un periodo di crisi fiscale dello stato, quindi di scarsità di risorse: definire la misura massima del contributo pubblico parametrizzata sull’entità del danno riconosciuto (agli immobili, alle
attività/dotazioni tecnologiche, etc.), in modo da non creare ingiustizie nel tempo;
-> dalla ricorrenza dei casi: come «semplificare» il processo di ricostruzione? Definendo cioè gli spazi di azione del pubblico e del privato, le discipline applicabili con riguardo a quelle -inerenti i contratti, le forniture ed i servizi, alla disciplina urbanistica ed al Testo Unico dell’Edilizia;
-> sempre dalla ricorrenza dei casi: affrontare la questione delle responsabilità della proprietà in materia di prevenzione (sismica, esposizione a rischi di frana, di esondazione, di vento, di incidente rilevante, etc., e concatenazione dei rischi), quindi dell’obbligo di accertamenti preventivi e di assicurazione dei beni (ipotesi che sembrerebbe essere contemplata in un ddl del Governo, su proposta del Ministro dell’ambiente, relativamente alle proprietà che si trovano in zone a rischio elevato accertato).

Un’attività molto generale e di ordine culturale inoltre dovrà essere svolta: la costruzione sociale del rischio[6].
Solo così non si perderà memoria degli eventi calamitosi e si darà un contributo concreto al perseguimento dell’obiettivo della sicurezza del territorio e delle costruzioni[7].
Solo così si potrà far crescere la domanda sociale per la sicurezza e la prevenzione. Solo così la prevenzione entrerà fisiologicamente nell’agenda del decisore politico. Solo così, si porrà l’attenzione necessaria alla prevenzione. Costantemente, in un processo di messa in sicurezza continuo. Altra faccia della necessità di manutenzione dei patrimoni esistenti.

Note

6.  Particolarmente, significativa è la testimonianza che G. Boutté, sistematizzando una lunga esperienza nel campo, ci restituisce in Risques et catastrophes: comment éviter et prévenir les crises? Le management des situations complexes, Editions du Papyrus, Montreuil, 2012.

7.  Molto interessante anche sotto un profilo filosofico e storico, il volume di F. Gros, Le Principe de Sécurité, NRF Essais Gollimard, Parigi 2012.

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