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Una rinnovata legge quadro sulle calamità?

di - 5 Marzo 2013
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Altra rilevante diversità è quella degli strumenti di pianificazione dei processi di ricostruzione. Man meno che ci si è allontanati dalla legge n. 27 ottobre 1951, n. 1402 recante modificazioni al D.L. 1 marzo 1945, n. 154 sui piani di ricostruzione degli abitati danneggiati dalla guerra, quella appunto sui piani ricostruzione, il legislatore ha mostrato molta incostanza: dall’originario piano di ricostruzione di porzioni di città, variante automatica del piano regolatore generale, al piano di ricostruzione di dettaglio «conforme» al piano regolatore generale, all’uso degli strumenti di programmazione negoziata. Questo il panorama degli strumenti urbanistici delle varie leggi sulla ricostruzione nel caso del Belice, dell’Irpinia, del Friuli, della Campania, dell’Umbria, quindi dell’Abruzzo ed ora dell’Emilia Romagna, Lombardia e Veneto.
Perché tanta diversità, con le inevitabili disparità di trattamento delle posizioni soggettive oltre che della funzionalità del processo di ricostruzione?
Sembra come se dall’esperienza si apprenda solo l’esigenza di variare gli approcci e non di perfezionarli mano a mano che, purtroppo, ci si trova a fronteggiare le conseguenze degli eventi calamitosi.
E sì che l’esperienza internazionale è maestra nel suggerire di tenere fermi gli approcci, di migliorarli proprio sulla base delle esperienze.
Particolarmente interessante al riguardo è l’approccio metodologico suggerito dalla Banca Mondiale in base alla propria esperienza anche se in contesti molto diversi dal nostro. L’approccio inerisce sia le filosofie d’intervento (modello del coinvolgimento diretto degli interessati oppure quello della «agency»), che gli strumenti d’intervento[3].

2. Un aspetto molto critico è divenuto di recente la fase di previsione dell’entità di eventi potenzialmente calamitosi e quindi di comunicazione/informazione[4] del pubblico di tali previsioni.
L’anno 2012 ha segnato l’accentuarsi del problema. Un evento quale la «neve a Roma» e poi una precipitazione che per molte ore ha – come si dice -, «messo in ginocchio» la Capitale, con le conseguenze concrete – disagi vari, perdite economiche, etc. – che è facile comprendere, hanno fortemente influenzato il comportamento delle autorità preposte alla informazione sulle possibili conseguenze degli eventi meteorologici potenzialmente calamitosi. È indubbio che il «tono» dell’informazione sia divenuto più forte.
Che si tenda ad accentuare, cioè, l’entità del rischio potenziale da parte di chi è preposto a fornire previsioni al riguardo?
O che si tratti di una impropria applicazione del principio di precauzione che senza una puntuale delimitazione porta – come si dice con arguzia – al «principio di astensione»?
Hanno influito su ciò il comportamento della magistratura in analoghi casi e, da ultimo, nella condanna sanzionata ai componenti della Commissione Grandi Rischi nella gestione delle informazioni nel caso del terremoto di L’Aquila del 2009[5]?
Come noto si è in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza. Dal dibattimento sembrerebbe essere emerso che il Tribunale abbia maturato il convincimento che tra la morte di alcuni cittadini e il «tono» della informazione/comunicazione sul rischio di terremoto ci sia una stretta correlazione. Che cioè il messaggio sia stato rassicurante (o sia stato inteso come rassicurante) e da ciò l’attenuazione delle precauzioni da parte delle autorità e dei cittadini.

3. L’eventuale nuova legge quadro o generale dovrebbe quindi riorganizzare il complesso dell’azione che si estende da:

->previsione di eventi calamitosi;
->informazione / comunicazione degli stessi;
->interventi nel caso di verificarsi di calamità, distinguibili in:

a) fase di emergenza, che si estende fino alla eliminazione dell’esistenza di pericoli per le popolazioni, i beni, gli insediamenti, l’ambiente (si riprende la declaratoria degli oggetti che ne fa la legge n. 100/2012);
b) fase di indagine (dapprima speditiva), in funzione della decisione sulla agibilità (provvisoria e definitiva) delle costruzioni danneggiate, sulla base di «format» stabiliti per tipologie edilizie;
c) accertamento dei danni, chiarendo se riguardano i soli immobili od anche le attrezzature necessarie allo svolgimento di attività economiche;
d) valutazione economica degli stessi, per mezzo di «format» tipo;
e) definizione delle entità, delle forme e delle modalità di ristoro – indennizzi o contributi -, monetarie od altro, considerando anche ipotesi di premialità urbanistico-edilizie e di trasferibilità delle volumetrie edilizie (del resto già in uso nella pratica urbanistica e previsto nella legge sui piani di ricostruzione del 1951 e nella stessa «legge delega» sull’ambiente n. 308/2004, seppure limitatamente al caso del rischio di esondazione);
f) redazione di agili piani di ricostruzione (che ridisegnino il sistema delle reti, la «impronta urbana» complessiva, gli ambiti unitari di intervento, gli interventi isolati, etc.), nei casi ove le indagini precedenti, obbligatoriamente accompagnate da quelle conoscitive sulla sismicità dei luoghi e su altre fonti di rischio e sulla base anche di approfondite analisi benefici – costi ne mostrino la opportunità / convenienza;
g) valutazione della “viabilità” del piano di ricostruzione e quindi la decisione sulla attuazione dello stesso, se previo intervento pubblico o privato o secondo forme «miste»;
h) attuazione del piano di ricostruzione.

Note

3.  Cfr. in proposito  il libro di Jennifer Duyne Barenstein, http://www.g.fdrr.org/gfdrr/node/1074.

4.  I due termini vengono qui usati genericamente, consapevoli della profonda diversità dei loro significati: informare non è infatti sinonimo di comunicare. E viceversa.

5.  Rinvio alle considerazioni sulla vicenda che di essa fanno Lucia Margheriti e Francesco Pio Lucente, ricercatori dell’INFN, nel presentare la traduzione italiana del libro di  Susan E. Hough, The Tumultuous Science of Earthquake Prediction, Princeton UP, 2010 (trad. it., Sprinter – Verlog Italia, 2013).

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