Riflessioni sui tortuosi itinerari della semplificazione nell’amministrazione della complessità

Sommario: 1. Premessa. – 2. Dall’età delle certezze alla stagione della mutante complessità. – 3. Complessità, semplificazione e divisione dei poteri.- 4. L’auspicio al ritorno alla divisione dei poteri ovvero: evviva il Barone di Montesquieu.

 1.      Premessa.

La prospettiva generale che si deve tratteggiare, nell’affrontare il tema della semplificazione amministrativa, non può dirsi certo incoraggiante ed è tuttavia necessario nell’affrontare questo argomento avere piena evidenza e disincantata consapevolezza delle difficoltà derivanti dal contesto ordinamentale e dalla sua complessità[1].
Ciò è ancor più vero alla luce del recente intervento legislativo che, incamminandosi sul sentiero percorso nell’ultimo decennio, affastella in un unico testo normativo una pluralità di disposizioni cui si riconosce come unico denominatore comune la funzione di semplificazione della complessità ordinamentale. Il riferimento è come intuibile al D.L.9 febbraio 2011, n. 5 recante Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e sviluppo.
Non è certo il gusto per gli ossimori che porta a dare esordio ad un approfondimento sui temi della semplificazione partendo dalle complessità di sistema. Si vuole evitare – grazie a questa preliminare avvertenza – che si possa giungere a conclusioni amare come quelle, non senza ragione, avanzate in dottrina circa la inutilità degli interventi di semplificazione[2].
In questa occasione di approfondimento, sembra utile invece dare giusta evidenza e riconoscere il rilievo e la significatività di alcuni istituti di semplificazione[3] che hanno visto la luce con grande abnegazione del legislatore e soprattutto dei tecnici che sostengono l’opera del legislatore, non si può non riconoscerlo; si pensa al lavoro ed all’impegno prezioso dei componenti degli Uffici legislativi dei Ministeri e di alcuni Ministeri in particolare[4].
Occorre ricordare come questo straordinario impegno di semplificazione è corso su di un duplice binario[5]. Una semplificazione che in sostanza ha una doppia declinazione: quella amministrativa e quella legislativa, come appare evidente anche nell’ultimo decreto legge n. 5/2012.
Per semplificazione amministrativa si intende la semplificazione quanto alle forme di esercizio del potere ed alle inutili duplicazioni o stratificazioni di fasi procedimentali attribuite peraltro a sfere competenziali distinte (o imputabili ad Amministrazioni distinte) per la soluzione del medesimo “problema amministrativo”[6]; a tale forma di semplificazione si riconduce quindi anche l’opera di disboscamento delle stesse norme attributive di poteri e di funzioni amministrative non necessari e che possono quindi essere abrogate con l’intento di restituire più ampio margine di gioco alla sfera di libertà e di autonomia dei cittadini e delle imprese.
Per semplificazione normativa, invece, si intende l’opera di, raccolta, codificazione, razionalizzazione e chiarificazione di una legislazione spesso oscura[7], stratificata e di incerta lettura. L’intento è quello di porre rimedio alla ipertrofia normativa e, con essa, alle difficoltà ed ai costi derivanti dall’interpretazione ed applicazione quotidiana di tali norme[8].
Queste due declinazioni della semplificazione rappresentano due paralleli e talvolta connessi processi evolutivi che dagli anni Novanta dello scorso secolo in poi, hanno profondamente inciso sull’evoluzione del nostro diritto amministrativo.

2. Dall’età delle certezze alla stagione della mutante complessità.

Non può non ricordarsi – talvolta con non poco rimpianto – come fino agli anni Novanta del secolo passato questa esigenza di semplificazione non fosse affatto avvertita. Come molti ricorderanno, il nostro diritto amministrativo e l’esercizio delle pubbliche funzioni era affidato a poche e stabili norme e viceversa ad un corpo molto solido di principi e di regole guidate dalla saggezza dei giudici amministrativi.
Nelle diverse stagioni e nelle diverse generazioni di giuristi del secolo scorso, erano riconoscibili e riconosciuti uno o al massimo due testi manualistici in tutto il Paese. Dai volumi di Guido Zanobini[9] alle diverse edizioni del volume (e poi dei due tomi) del Manuale di Aldo M. Sandulli[10]. Essi facevano riferimento ad un consolidato e stabile corpus di principi e regole che se qualche pecca aveva era forse quello della noiosa continuità e sostanziale immutabilità.
Ora questa evidente, tranquillizzante, stabilità del quadro normativo e la conseguente sostanziale certezza nei punti di riferimento giuridici è andata smarrita. Essa è andata smarrita proprio nel 1990 nel momento in cui si è avviato un processo di instabilità che ha riguardato sicuramente il Paese nel suo complesso: i poteri pubblici, il potere giudiziario, l’economia e l’intero corpo sociale.
Un processo a mio avviso involutivo, ma questa è una valutazione evidentemente atecnica ed un giudizio di valore e lo si prenda quindi per quanto vale; una involuzione destabilizzante che ha creato un processo di destabilizzazione del quadro normativo e di ripensamento continuo da parte del legislatore. Questo continuo ed incessante processo di ripensamento del legislatore parlamentare e di quello delegato si sono ripercossi con inevitabile pregiudizio sia sull’interprete, sia sull’amministrazione, sia sulle sfere di responsabilità degli agenti pubblici, sia sugli organi giurisdizionali chiamati alla verifica della legittimità e della correttezza dell’agire delle pubbliche amministrazioni e dei suoi agenti, riproponendosi così al legislatore ed alimentando un circolo vizioso il cui moto pare sempre più vorticoso ed inarrestabile.
Questo processo involutivo ha inevitabilmente generato una esigenza sempre più avvertita di semplificazione.

In realtà se poniamo mente al momento storico in cui questi fatti si sono sviluppati, quella che viene definita come stagione della semplificazione amministrativa[11] appare piuttosto una stagione di mutante e vischiosa complessità, e pare difficile smentire questa impressione a fronte di una realtà che si è inevitabilmente complicata per fenomeni in parte esterni all’ordinamento giuridico, in parte alimentati dallo stesso ordinamento giuridico che aveva perduto i capisaldi del suo proprio ordinario funzionamento e l’ancoraggio forte ai suoi principi costituzionali.
Nel 1990, quando finalmente viene approvata la legge n. 241, si percepiva nella dottrina e nella comunità degli studiosi l’attesa di una nuova era di legalità e trasparenza nell’amministrazione, per rievocare le parole di Silvio Spaventa di “giustizia nell’amministrazione”[12]; quella legge avrebbe dovuto costituire il coronamento o se si vuole la sintesi di un lungo processo di distillazione di principi e regole dell’agire amministrativo negli alambicchi della Giustizia amministrativa, dopo la maturazione del mosto nel grande tino della Costituzione repubblicana. L’affermazione di fasi procedimentali ordinate e semplici, con una valorizzazione degli apporti partecipativi degli amministrati e della responsabilità dei funzionari (sia attraverso l’individuazione dei responsabili dei procedimenti, sia con il rafforzamento e la ridefinizione del ruolo e dei poteri della giurisdizione contabile).
La realtà però, come spesso accade, non ha dato soddisfazione alle attese e le ha mandate per gran parte deluse. L’evoluzione legislativa degli anni Novanta infatti è andata di pari passo con una trasformazione politica ed economica del Paese che, lungi dall’aver prodotto effetti di semplificazione, ha determinato effetti di incremento ed esasperazione della complessità.
E che questo rilievo non sia soltanto il frutto di una valutazione di fenomeni storico-politici, ma tragga piena evidenza dalle concrete disposizioni legislative approvate con intento di semplificazione, basta prendere ad esempio una sola disposizione normativa.
Per dimostrare quest’affermazione che altrimenti potrebbe sembrare estemporanea o estremizzante è sufficiente far richiamo alla disposizione legislativa in materia di conferenza di servizi. L’evoluzione che ha subito la disciplina del più classico degli istituti di semplificazione amministrativa e cioè la conferenza dei servizi è riprova evidente di quanto si afferma[13].
Quella norma pensata nell’agosto del 1990 sulla scorta dei lavori della Commissione Nigro è una classica norma che “non trova pace”, per rievocare la classica poesia napoletana “Io vulesse truvà pace” di Eduardo de Filippo[14]. Ecco la norma sulla conferenza di servizi è una classica norma che non trova pace. In oggi legislatura essa è sottoposta a continui e ripetuti ripensamenti[15].
Ma un discorso analogo potrebbe farsi con riferimento all’istituto della Denuncia (poi Dichiarazione, poi Segnalazione certificata) di inizio di attività[16].
Ciò accade ed è imputabile all’incapacità degli uffici legislativi che propongono questi mutamenti? Non lo si crede certo. Si deve ritenere viceversa che questo tentativo nobile del legislatore, e per esso dei suoi tecnici, di migliorare il quadro normativo e di semplificare l’amministrazione nella complessità, sia un nobile ma spesso inutile tentativo a fronte di problemi che non hanno la loro origine e la loro causa negli strumenti giuridici e che, conseguentemente, molto difficilmente possono trovare soluzione a mezzo della semplificazione degli strumenti giuridici e dell’ordinamento.

 

3. Complessità, semplificazione e divisione dei poteri.

In realtà, le operazioni di semplificazione rimesse alla modifica dei testi legislativi, e con esse anche gli interventi di semplificazione legislativa, sono operazioni che producono un risultato evidente ed immediato. Proprio l’opera di codificazione ne è testimonianza, si guardi come si opera meglio dal punto di vista concreto avendo a disposizione dei Codici o dei testi unici piuttosto che una congerie disordinata di norme di epoche diverse.
Si guardi ad esempio cosa è accaduto con il Codice dei contratti pubblici che al di là dei miglioramenti sempre possibili (ed in questo caso ripetuti: con il primo, secondo e terzo correttivo), sono testi normativi che per la loro completezza e tendenziale esaustività assicurano una stabilità di conoscenza del diritto applicabile e quindi una stabilità del corpus normativo applicabile nelle interpretazioni consequenziali.
Per non dire del positivo effetto della codificazione delle norme del processo amministrativo che, con tutti i loro limiti e con tutte le loro lacune (tutte suscettibili di miglioramenti in favore di soluzioni tecnico-processuali più accettabili e condivise) è però un risultato straordinario di stabilità, certezza, garanzia del trattamento eguale ed imparziale di chi domanda giustizia[17] o di chi partecipa ad una gara pubblica se si fa riferimento al Codice dei contratti.
La semplificazione amministrativa, viceversa, è una semplificazione che non raccoglie successi, non assicura soddisfazione alla reale esigenza di semplificazione e conseguentemente non trova stabilità ed è sottoposta a continue evoluzioni.
Occorre allora domandarsi perché ciò accade.
E nel tentare di dare una risposta a questo interrogativo sovviene evidente un vulnus che non risiede nella qualità delle politiche di semplificazione e tantomeno nella qualità delle soluzioni tecniche che il legislatore consegna alle pagine della Gazzetta Ufficiale. Si tratta di un vulnus che rende impossibile la semplificazione auspicata ed anche a volte confusamente declinata da giuristi e studiosi nella loro pur apprezzabile produzione scientifica.

Il vulnus che non consente una reale semplificazione sta, a mio avviso, in un’ormai oscurata percezione del preciso perimetro degli ambiti di attribuzione dei poteri. O, se la si vuole leggere in termini forse un po’ antichi, nello sfilacciamento sempre più evidente dell’ordito, della trama propria di ogni ordinamento giuridico: la precisa demarcazione e la chiara separazione dei diversi poteri pubblici[18]. La semplificazione amministrativa nel nostro Paese, molto diversamente dalla semplificazione legislativa di cui viceversa utilmente si parla, soffre di un limite che non consente risultati apprezzabili derivante dal tramonto, dal totale oblio, del principio cardine dello stato liberale di diritto costruito sulla separazione dei poteri.
La separazione dei poteri, come è noto, è andata tramontando in conseguenza ed a causa di ragioni storiche che tutti conoscono e che molti ancora ricordano come vicende di cronaca. La crisi di questo principio non è che una delle facce del complesso prisma della crisi che ha afflitto il nostro Paese e che è deflagrata nei primi anni Novanta. Essa è stata generata dalla sopravvalutazione necessitata dell’esercizio della funzione giudiziaria, una vera e propria funzione di supplenza dell’ordine giudiziario in quegli anni (e non solo in quelli) di cui molto si è detto anche in dottrina. Si è parlato, come è molto ben noto, di supplenza della funzione giudiziaria rispetto a quella propria dell’esecutiva amministrazione in ragione della scarsa considerazione collettiva della qualità complessiva dell’agire dei pubblici poteri.
Rispetto a questo problema, storico si potrebbe dire, per l’essere oramai trascorsi oltre vent’anni, l’attività sostitutiva di un potere dello Stato o se si vuole di un ordine, è continuata in modo sempre più incisivo. Non si dubita che essa sia stata animata dalle migliori intenzioni sia chiaro, ma deve del pari esser chiaro che tale cristallizzata supplenza (perdendo il suo carattere straordinario ed eccezionale) non ha consentito negli anni successivi di restituire alla funzione amministrativa quella sua sfera riservata quella che un tempo gli studiosi chiamavano riserva di amministrazione[19].
Quella riserva di amministrazione è il campo di gioco, per usare l’espressione tedesca, che definisce la discrezionalità amministrativa il campo di gioco del pubblico potere. Con il tramonto della riserva di amministrazione, i pubblici poteri, la funzione pubblica oggi non hanno più un campo di gioco, non ha più un campo di gioco in cui si possa giocare perché evidentemente in questo campo di gioco, non tanto le regole, ma la presenza debordante di alcune funzioni di controllo giurisdizionali determinano un effetto di blocco.
A questo punto ci si potrebbe porre l’interrogatorio del perché si parli di questi temi in un intervento dedicato alla semplificazione. Ebbene, ove non fosse autoevidente, la ragione risiede nel fatto che a fronte di tale effetto di blocco la semplificazione si rende impossibile. Se infatti semplificare implica ridurre le sfere di imputazione della responsabilità, eliminare fasi procedimentali, concentrare il potere decisionale e quindi concentrare la responsabilità della funzione delle scelte in capo ad un unico soggetto (piuttosto che ad un numero ampio ed indistinto di soggetti) questo processo comporta un incremento del rischio della responsabilità degli agenti pubblici ed è visto come un non sostenibile costo da parte di dirigenti e funzionari pubblici che tale costo sarebbero chiamati in solitudine a sostenere[20].
Cosa accade, in altri termini, in un contesto storico nel quale in virtù dell’accrescimento delle sfere e dei rischi connessi alla responsabilità dei pubblici agenti – si badi si pensa al funzionario onesto perché i pubblici agenti sono generalmente persone molto rispettose della legge – il rispetto delle norme non tutela il pubblico agente dai rischi enormi che egli assume rispetto alle decisioni che comportano particolari costi per la collettività e particolari impieghi di risorse pubbliche.
Ebbene, il timore di assunzioni di responsabilità eccessive rispetto alla motivazione professionale propria di ogni pubblico dipendente genera, sul versante della semplificazione (o della complicazione amministrativa), la richiesta di inevitabile condivisione delle scelte da parte di una sfera più ampia di funzionari ed in generale di centri di imputazione, l’esigenza di moltiplicazione e di ripetizione di fasi deliberative o di momenti decisionali diversi per dare soluzione al medesimo problema amministrativo per usare quella bella espressione di Franco Ledda[21].
Semplificare significa che ogni problema amministrativo abbia un suo solutore ed è evidente che se si riesce a semplificare ciò comporta che il risolutore sia unico responsabile dalla soluzione. Nel momento in cui per assenza di garanzia da riserva dell’amministrazione chi è chiamato in solitudine a risolvere il problema si trova circondato da arbitri, controllori e giudici che verificano la sua responsabilità (e mai i suoi meriti, si badi) non può fare altro che richiedere verifiche aggiuntive condividere le scelte e gli approfondimenti che effettua per diminuire il rischio e ridurre la sfera di responsabilità[22].
Se non addirittura abdicare all’esercizio della funzione e consegnare l’esercizio dell’amministrazione allo strumento legislativo[23].

4. L’auspicio al ritorno alla divisione dei poteri ovvero: evviva il Barone di Montesquieu.

È possibile quindi semplificare per legge, ma impossibile diventa restituire semplicità (e quindi efficacia) all’azione amministrativa se non si ritorna ad un equilibrio giusto, un equilibrio fisiologico quanto al rapporto fra poteri e nella divisione dei poteri.
Dovrebbe esser chiaro, infatti, che l’accrescimento dell’ambito della responsabilità individuale del pubblico funzionario rispetto alle decisioni che assume a seguito della spinta derivante dalla semplificazione, produce l’effetto inevitabile (la controspinta) alla riduzione di tale rischio grazie al procurato appesantimento dei processi decisionali a fini della loro più estesa condivisione, e ciò tanto più quando tali decisioni comportano conseguenze sul patrimonio erariale se non addirittura sulla finanza pubblica. Avremo quindi sempre un legislatore che spinge verso la semplificazione e un funzionario pubblico che immediatamente reagisce con la interposizione in fasi procedimentali di condivisione della responsabilità.

È una dinamica socioeconomica inevitabile perché se la responsabilità costituisce un modo per allocare i rischi derivanti da determinate condotte è evidente che l’effetto, sul piano burocratico, sul piano dei procedimenti, sul piano del tempo dei procedimenti e quindi del tempo di risoluzione dei problemi amministrativi non può che essere negativo.
Rispetto alle speranze degli anni Novanta dello scorso secolo, le prospettive di apertura alla semplicità e le aspettative per una primavera della semplificazione sono andate profondamente deluse[24], ma badate sono state deluse non per un vizio intrinseco alle regole che disciplinano l’esercizio del potere e delle funzioni, né per incapacità del legislatore o dei tecnici che assistono il legislatore nella faticosa opera di legiferare. L’ostacolo è derivato dalla mancata restituzione degli ambiti di riserva delle competenze e delle responsabilità delle amministrazioni[25].
Il pensiero corre a taluni eccessi del giudice ordinario ed alla costante (pur meritoria) opera dei giudici contabili. Si è prodotto infatti un effetto di deterrenza che è stato sicuramente un effetto bloccante la semplificazione amministrativa[26].
È solo da una riacquisita consapevolezza di questi problemi che gli itinerari della semplificazione potranno essere meno tortuosi e coloro che vi si incamminano potranno nutrire senza illusione la speranza di raggiungere, pur faticosamente, la meta.

Note

1. Una complessità su cui si interrogava già G. Corso, Perché la complessità?, in Nuove Autonomie, 2008, 325 ss. e di cui si dà piena evidenza nel volume collettaneo La tela di Penelope. Primo rapporto Astrid sulla semplificazione legislativa e amministrativa, Bologna, 2010 e ancor prima la ricerca FORMEZ, Semplificazione amministrativa e cittadini: le soddisfazioni, le attese, le proposte, Roma, 2007.

2. Si veda ad esempio M. Clarich, Semplificare per finta, in www.ilsole24ore.com, maggio 2005. Sul tema, più in dettaglio, il lavoro a cura di G. Vesperini, Che fine ha fatto la semplificazione amministrativa?, Giuffré,  Milano, 2006 e lo studio monografico di  S. Amorosino, Achille e la tartaruga: semplificazione amministrativa e competitività del sistema Italia, Milano, 2006.

3. Si veda F. Patroni Griffi, La semplificazione amministrativa nel decennio 1997-2007, Atti del convegno internazionale Il sistema amministrativo a dieci anni dalla riforma Bassanini,  Roma, gennaio 2008, in www.semplificazionenormativa.it..

4. Si veda  sul punto la testimonianza di L. Carbone, L’esperienza “taglialeggi” a metà del suo cammino, in www.semplificazionenormativa.it..

5. Binari che non necessariamente corrono senza interferenze reciproche. Sul punto si veda F. Merusi, La semplificazione problema legislativo o amministrativo? in Nuove Autonomie, 2008, 335 ss.
Si leggano anche M. P. Chiti, Semplificazione delle regole e semplificazione dei procedimenti: alleati oavversari?, in Il Foro Amministrativo C.d.S., 2006, 1057 ss.  Si veda anche G. Sciullo, La semplificazione nelle leggi e nell’amministrazione: una nuova stagione, Bologna 2008; M. A. Sandulli,  La semplificazione dell’azione amministrativa: considerazioni generali, ivi, 2008, 405 ss.; L. Vandelli,  Tendenze e difficoltà della semplificazione amministrativa,ivi, 2008, 417 ss.

6. Si veda, in merito, per tutti, G. Vesperini, Semplificazione amministrativa, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, 2006, vol. VI, 5479 ss. ed anche Id., Il governo della semplificazione, in Giornale di diritto amministrativo, 2007, 266 ss.

7. Per usare le parole di M. Ainis, La legge oscura. Come e perché non funziona, Laterza, Roma-Bari, 2002, 205 ss.

8.   Si veda, in merito ai diversi profili della semplificazione normativa, A. Celotto e C. Meoli, voce Semplificazione normativa (diritto pubblico), in Digesto Discipline pubblicistiche, Agg, Torino, 2008, 9 ss.; V. Vincenzi, Semplificazione della legislazione e “taglia-leggi”, in Rassegna parlamentare, 2008, 771 ss.;  R. Viriglio, La neocodoficazione. Riordino e riforma della legislazione per mezzo di testi unici e codici, Napoli, 2007; N. Lupo, “Dal regolamento alla legge”: semplificazione e delegificazione: uno strumento ancora utile?, in Diritto e società, 2006, 399 ss.; P. Carnevale, Qualità della legge e politiche di semplificazione normativa fra istanze del mondo economico e risposte del legislatore, relazione al Convegno su “Legge ed economia“, 2006; P. Carnevale P., Le politiche sulla legislazione: codificazione e semplificazione, in M. Ruotolo (a cura di), La funzione legislativa oggi, Napoli 2007, p. 56 ss.; F. Sorrentino, Dai testi unici misti ai codici di settore: profili costituzionali, in Dir. Amm, 2005, 261 ss.; M.A. Sandulli (a cura di), Codificazione, semplificazione e qualità delle regole, Milano,  2005.

9. Il riferimento è a G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, cominciato nel 1935 (per i tipi dell’editore Giuffré di Milano), e suddiviso in cinque volumi (il sesto, che contiene gli indici, è stato redatto a cura del figlio di Guido Zanobini, Luciano), che alla morte dell’Autore era giunto alla sesta edizione. Come è noto, nel dettaglio, il Corso si occupa nel I° volume dei Principi generali, nel secondo della Giustizia, nel terzo della Organizzazione amministrativa, nel quarto dei Mezzi dell’azione amministrativa e nell’ultimo, il quinto, delle Principali manifestazioni dell’azione amministrativa.

10. Il riferimento è a A. M. Sandulli,  Manuale di diritto amministrativo, dalla prima edizione pubblicata a Napoli nel 1952, fino ai due volumi dell’ultima edizione curata dall’Autore (XV),  Napoli, 1989. Sul rilievo di quest’opera per la scienza giuridica italiana si veda E. Casetta, Il Manuale di diritto amministrativo di Aldo M. Sandulli, in Aldo M. Sandulli (1915-1984). Attualità del pensiero giuridico del Maestro, Milano, 2004, 17 ss., ed ivi anche i lavori di Alb. Romano, Aldo M. Sandulli amministrativista, 277 ss. e di G.Berti, Aldo M. Sandulli amministrativista e il suo tempo, 289 ss.

11. Molto meno la semplificazione legislativa.

12. Il riferimento è al Discorso del commendatore Silvio Spaventa letto la sera del 7 maggio 1880 nella sala dell’Associazione costituzionale di Bergamo, ora nel volume S. Spaventa, Giustizia nell’amministrazione ed altri scritti, a cura dell’Istituto Studi Filosofici, Napoli, 2006, 17 ss.

13. Sul punto si veda D. D’Orsogna, Conferenza di servizi e amministrazione della complessità, Torino, 2002 e, successivamente Id., Note in tema di conferenza di servizi, semplificazione, operazione amministrativa, in  Nuove Autonomie, 2008, 583 ss.

14. La poesia è degli anni di poco successivi alla fine del secondo conflitto mondiale (1948). L’opera poetica del grande Autore ed Attore del teatro napoletano è raccolta in due volumi curati da Einaudi, Le poesie di Eduardo, Torino, 1975 e ‘O penziero e altre poesie di Eduardo, Torino, 1985.

15. Non è questa la sede per soffermarsi sul punto, ma ci si riferisce all’evoluzione subita dall’art. 14 della legge n. 241/1990 alle modifiche ed integrazioni apportate dalle leggi nn.:
537/1993, 273/1995, 340/2000, 127/1997, 15/2005, 69/2009, 122/2010, con gli articoli 14 bis, ter, quater e quinquies.
Per un commento in dottrina dell’evoluzione normativa in materia si veda, da ultimo, G. Pagliari, La conferenza di servizi, Commento agli artt. 14 e ss. della legge n. 241 del 1990 e s.m.i., in  Codice dell’azione amministrativa (a cura di M.A. Sandulli), Milano, 2010, 750 ss.

16. Di cui la dottrina in successione si è occupata. Si vedano  L. Ferrara, Diritti soggettivi ad accertamento amministrativo. Autorizzazione ricognitiva, denuncia sostitutiva e modi di produzione degli effetti, Padova, 1996; G. Acquarone, La denuncia di inizio attività. Profili teorici, Milano, 2000; E. Boscolo,  I diritti soggettivi a regime amministrativo. L’art. 19 della l. n. 241 del 1990 e altri modelli di liberalizzazione, Padova, 2001; P. Marzaro Gamba, La denuncia di inizio attività edilizia. Profili sistematici, sostanziali e processuali, Milano, 2005; W. Giulietti, Attività privata e potere amministrativo. Il modello della dichiarazione di inizio attività, Torino, 2008; A. Police, Contributo allo studio delle Dichiarazioni di inizio di attività e della loro natura giuridica, in Nuove Autonomie, 2008, 17 ss.  ed anche in Istituzioni e dinamiche del diritto. I mobili confini della separazione di poteri (a cura di A. Vignudelli), Milano, 2009, 305 ss.
Da ultimo F. Doro, SCIA e DIA. Denuncia, dichiarazione e segnalazione certificata di inizio attività dopo il DL 78/2010, Padova, 2010 e N. Paolantonio e W. Giulietti, La segnalazione certificata di inizio di attività, Commento all’art. 19 della legge n. 241 del 1990 e s.m.i., in  Codice dell’azione amministrativa (a cura di M.A. Sandulli), cit., 750 ss.

17. Su meriti e sui limiti del Codice del processo amministrativo si veda per tutti F. G. Scoca, Considerazioni sul nuovo processo amministrativo, in Giustamm.it, Giustizia amministrativa. Rivista internet di diritto pubblico, n. 2-11.

18. Troppo evidente è il riferimento a quella idea fondante degli Stati nascenti dalle rivoluzioni borghesi che trova sua teorizzazione più chiara nell’opera di Charles-Louis de Secondat, barone de La Brède et de Montesquieu, L’esprit des lois.

19. Sul punto si veda D. Vaiano, La riserva di funzione amministrativa, Milano, 1996.

20. In tema di responsabilità il primo riferimento è agli studi di F. Satta, Responsabilità della pubblica Amministrazione, in Enc. Dir, vol. XXXIX, Milano, 1988, 1369 ss.  Da ultimo, sul punto, sia consentito il rinvio al mio Il principio di responsabilità nei rapporti tra Cittadini e pubbliche Amministrazioni, nel volume Studi sui principi del diritto amministrativo, a cura di M. Renna e F. Saitta, Milano,  2012, 195 ss.

21. Il riferimento è a F. Ledda, L’attività amministrativa, in Atti del XXX° Convegno di Studi di scienza dell’amministrazione, Varenna 20-22 settembre 1984, su “Il diritto amministrativo degli anni ‘80”, Milano, 1987, ora in F. Ledda, Scritti Giuridici, Padova, 2002.

22. Si veda sul punto C. Barbati, Semplificazioni e processi decisionali nei sistemi multilivello, in Nuove Automie, 2008, 435 ss.

23. Si veda l’approfondimento di S. Spuntarelli, L’amministrazione per legge, Milano, 2007.

24. Sul punto si veda F. Salvia, La semplificazione amministrativa: tra scorciatoie procedimentali e semplicismi mediatici, in Nuove Autonomie, 2008, 447 ss.

25.  Senza dire dei limiti propri dei paradigmi disciplinari, come segnalato da L. R. Perfetti,Il permanere dei paradigmi disciplinari e le difficoltà della semplificazione, in Nuove Autonomie, 2008, 457 ss.

26. Molto meno si può attribuire la responsabilità di tale blocco ai giudici amministrativi nella configurazione dei loro tradizionali poteri giurisdizionali. Sul punto si vedano da ultimo le opportune parole di P. de Lise, Relazione sull’attività della Giustizia Amministrativa, Roma, 1 febbraio 2012.
Anche in quell’ambito giurisdizionale, tuttavia, alcuni interventi legislativi recenti tendono a trasformare la natura della giurisdizione. Per fortuna si tratta di norme isolate (e tuttavia significative). Prevedere per esempio nella materia dei contratti pubblici che il giudice amministrativo debba erogare sanzioni significa trasformare la funzione anche di questo giudice e far sì che anche il giudice amministrativo diventi giudice della responsabilità; per non dire delle norme relative alla c.d. Class action pubblica che trasformano i rimedi giurisdizionali in una funzione sanzionatoria delle inefficienze dei singoli.