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Il concetto di merito e l’economia

di - 24 Gennaio 2013
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Per comprendere tuttavia la posizione di Arrow e Debrew bisogna tener presente un passaggio nel percorso dello sviluppo del pensiero economico che ha aperto a strada agli sviluppi futuri.
Nel 1939 vennero pubblicati separatamente due lavori di due economisti, Nicolas Kaldor[4] e John Hicks[5] che possono ritenersi fondamentali per la comprensione dello sviluppo del pensiero economico, finanche della elaborazione dei due teoremi dell’economia del benessere. L’economista Lionel Robbins[6] aveva scritto una articolo in cui rifiutava l’utilitarismo, respingeva l’idea che si potessero confrontare le utilità delle persone concludeva che ben poco potevano consigliare gli economisti ai politici senza prendere una posizione politica. Rimaneva salvo il concetto di miglioramento paretiano, cioè di cambiamento in cui qualcuno guadagna e nessuno perde. In altre parole si salvava il cambiamento che avrebbe dovuto ricevere il consenso unanime dei membri di una comunità. Sulla base del criterio del miglioramento paretiano gli economisti avrebbero potuto dire ben poco ai politici. Ma Kaldor e Hicks propongono un nuovo criterio che a loro parere può essere considerato apolitico: essi affermano che è desiderabile, indipendentemente dalla politica che si vuole attuare, ogni cambiamento in cui chi guadagna ha un beneficio maggiore di chi perde.
È una elaborazione che anticipa le idee di Arrow e Debrew. Scelta politica diviene invece la scelta di indennizzare totalmente, in parte o per nulla, coloro che hanno visto peggiorare la loro posizione. Detto in altri termini, tale principio afferma che è desiderabile ogni cambiamento in cui, potenzialmente, chi ha guadagnato può indennizzare chi ha perso. Sulla base di questo criterio si poteva così, ad esempio, imporre al monopolista un prezzo uguale al costo marginale perché i consumatori avrebbero potuto, potenzialmente, indennizzare il monopolista stesso.
Questo semplice avverbio usato dagli economisti –potenzialmente – ha ridato slancio all’economia. Sulla base di esso si è elaborata la teoria della organizzazione industriale e l’analisi economica del diritto e si può ritenere che abbia facilitato l’elaborazione dei due teoremi dell’economia del benessere. Anche l’attenzione costante al PIL di una nazione ha trovato una giustificazione sulla base di questo criterio. Il Pil può aumentare ma ci possono essere dei perdenti. Tuttavia se il Pil è aumentato, chi ha guadagnato può potenzialmente indennizzare che ha perso. Sebbene tale criterio fosse e sia in realtà una mera finzione, perché ad esempio individuare chi ha guadagnato dalla correzione di una esternalità per indennizzare coloro che hanno perso risulta praticamente impossibile, come è impossibile individuare chi ha guadagnato dalla produzione di un bene pubblico per indennizzare gli svantaggiati, tale finzione ha dato la serenità filosofica-morale agli economisti. Un ulteriore passo avanti si ha, come si è detto, con i due teoremi dell’economia del benessere. Grazie ad essi si può affermare che è desiderabile correggere i fallimenti del mercato senza preoccuparsi di indennizzare i danneggiati perché, con un adeguato sistema redistributivo, si può ottenere la distribuzione della ricchezza che politicamente si vuole creare senza alcuna perdita di benessere. Il secondo teorema ci dice infatti che se i fallimenti del mercato sono corretti, allora partendo da una qualsiasi distribuzione delle risorse si arriva ad una allocazione efficiente delle stesse, con beni e servizi che saranno diversi a seconda della distribuzione che si è scelta inizialmente, ma con un risultato socialmente efficiente.
Sulla base di questi presupposti si è implicitamente arrivati alla conclusione che l’economista si deve occupare di correggere i mercati quando vi è un fallimento del mercato (come il monopolio o l’esternalità per esempio) mentre gli organi politici devono occuparsi della redistribuzione della ricchezza. La redistribuzione della ricchezza comporta conflitti di interesse e quindi è faccenda politica, su cui l’economista non può dir nulla senza prendere una posizione di parte.
Sebbene l’idea fosse chiara nei lavori di Kaldor-Hicks -Arrow e Debrew e già nel famoso volume di Arthur Pigou sull’economia del benessere, sia pur pensatore utilitarista[7], tale distinzione era presente, bisogna aspettare Ronald Coase[8] con il suo articolo del 1960 per vedere all’opera, senza alcuna titubanza, tale distinzione.
Coase, esaminando talune sentenze inglesi su vari casi, fa riflessioni circa i modi per massimizzare la produzione (secondo l’espressione da lui usata, che equivale a quella di “massimizzazione della ricchezza” oppure di “massimizzazione del benessere sociale”) senza aver alcun riguardo alcuno alla distribuzione della ricchezza. D’altronde la redistribuzione della ricchezza è una decisione politica e quindi non tocca agli economisti dare consigli, se non per scegliere le tasse i trasferimenti meno inefficienti. Nella redistribuzione vi è chi perde e chi guadagna e quindi vi è un conflitto di interessi su cui l’economista nulla può dire. Con Coase la distinzione è netta. Il diritto dei mercati, cioè il diritto privato, si occupa di massimizzare la ricchezza, senza aver riguardo ai perdenti; il diritto tributario invece serve per distribuirla.
Coase applica con totale convinzione il principio della massimizzazione della ricchezza alla Kaldor -Hicks. Se la ricchezza globale viene aumentata il danneggiato potrebbe – potenzialmente – essere indennizzato. L’avverbio “potenzialmente” tranquillizza gli economisti anche quando appare chiaro che è una semplice illusione trovare gli avvantaggiati da un intervento regolativo per indennizzare i perdenti. Con Coase nasce l’analisi economica del diritto che vuole individuare un diritto privato finalizzato a massimizzare la ricchezza senza preoccuparsi della distribuzione. Con Coase si ha la prima convinta applicazione del criterio della massimizzazione della ricchezza.
Richard Posner, consapevole che le indicazioni degli economisti non potessero essere spesso attuate, ha cercato una giustificazione filosofico-morale, alla Rawls, per il criterio di Kaldor-Hicks. Egli ha affermato che gli individui posti dietro un velo di ignoranza sceglierebbero il criterio della massimizzazione della ricchezza come criterio per la conduzione della loro società[9]. Nel 1976 Mishan pubblicò un libro sull’analisi costi-benefici in cui spiegava in modo molto semplice il concetto di compensazione potenziale. Era come se gli economisti usassero il criterio senza avere una piena consapevolezza di esso[10].

Note

4. N. Kaldor, 1939, Welfare propositions of economics and interpersonal comparisons of utility, Economic Journal 49:549–52, ora,tradotto, in Saggi sulla nuova economia del benessere, a cura di F. Caffè, 1956

5. Hicks, 1939. The Foundations of Welfare Economics, Economic Journal, December 1939, ora tradotto in Saggi sull’economia del benessere cit.

6. L.  Robbins, Interpersonal Comparison of Utility, A Comment, in Economic Journal, December 1938.

7. A. Pigou, The Economics of Welfare , fourth edition, 1932.

8. R. H. Coase, The Problem of Social Cost, 3 J. Law Econ. 1, 1960

9. R. Posner, Utilitarism, Economics, and Legal Theory, 8 J. of Legal Stud. 103, 1979.

10. E. J. Mishan, Cost-Benefit – Analysis, prima edizione del 1976. Ora il volume è alla quinta edizione e il numero elevatissimo di citazioni mette in evidenza come sul tema gli economisti sembra che  abbiano bisogno di un testo a cui far riferimento. Sul concetto di miglioramento paretiano, ad esempio non si cita nessuno.

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