Il problema della responsabilità politica nelle ‘reti di regolatori’ indipendenti del mercato

Sommario: 1. Il rapporto tra ‘regolazione’ e ‘mercato’. – 2. Forma giuridica e materia economica: la tecno-economia come fattore di erosione e di trasferimento di sovranità. – 3. Ordinamento democratico, principio della sovranità popolare, regolazione ‘indipendente’ del mercato. – 4. Frammentazione della sovranità, unificazione del mercato: l’istituzione delle ‘reti di regolatori’ indipendenti.

1.    Il rapporto tra ‘regolazione’ e ‘mercato’
Quello della regolazione del mercato è un tema, oggigiorno, estremamente complesso da affrontare. Perché lo è, oggi, più di quanto non lo sia stato, per un lungo periodo, almeno in Europa, dopo la fine della seconda guerra mondiale?
Il significato che i due termini, ‘regolazione’ e ‘mercato’, hanno assunto nel tempo è molto diverso rispetto a quello che li aveva identificati in quella circoscritta fase temporale. La regolazione, oggi, non è una funzione ‘essenzialmente’ giuridica a differenza di quanto, invece, non avvenisse in passato, almeno nei sistemi ad economia mista o a ‘Stato interventista’. E il mercato non è soltanto quello che Einaudi rappresentava nelle lezioni di politica sociale[1]. Con il termine mercato non ci riferiamo più soltanto al luogo, fisico o virtuale che sia[2], nel quale prendono forma le transazioni economiche, ma ad un principio generale di regolazione economica in cui i fattori della produzione (terra, capitale e lavoro) sono intesi giuridicamente come merci[3] e i bisogni sociali come ‘diritti condizionati’. Dunque, nel rapporto tra mercato e diritto, il primo, se mai lo sia stato, non è più subalterno al secondo. La subalternità viene meno con la trasformazione della concezione giuridica della regolazione. La regolazione non è più concepita, soltanto, come ‘regolazione amministrativa’[4] ma anche, amplius, come forma giuridica di tutela del principio di libera concorrenza e garanzia del mercato[5].
Per i giuristi italiani, occuparsi di regolazione ha significato, a lungo, studiare le possibili forme di intervento di natura pubblicistica che, per effetto della stessa forma di Stato costituzionale sociale, legittimavano i pubblici poteri ad incidere direttamente sulle scelte economiche dei soggetti di natura privata[6]. Dunque, la regolazione, termine estraneo al linguaggio giuridico nell’esperienza di allora, era, in realtà, concepita come comando, direzione, e, al limite, controllo dell’attività economica[7]. Non si parla, certo, di mercato, se non per alcuni settori dell’attività economica che sono già oggetto di regolazione ‘condivisa’ con le istituzioni comunitarie come è, primariamente, per la politica agricola comune[8]. E, comunque, non se ne parla ancora nell’accezione datane dal diritto comunitario fino all’istituzione, nell’ordinamento nazionale, di un potere pubblico ‘speciale’ chiamato dalla legge a regolare, appunto, il mercato sulla base del principio di concorrenza[9]. D’altronde, sia il mercato sia il principio di concorrenza non sono contemperati, fino a quel momento, nella ‘costituzione economica’.
È con l’uscita formale (e, per la gran parte, sostanziale) dei pubblici poteri dalla gestione diretta delle attività economiche che avviene una trasformazione nel ‘governo dell’economia’, modificandosi il ruolo dello Stato da ‘imprenditore’, in un sistema ad economia mista, a sostanzialmente ‘regolatore’, in un sistema configurabile come economico di mercato[10]. Con questa trasformazione avviene anche un riposizionamento nei rapporti tra potere politico e potere economico. Riposizionamento, che è favorito dal venir meno della sovrapposizione tra spazio economico e spazio politico; e dalla fine del monopolio dei cambi e delle politiche protezionistiche per effetto, rispettivamente, dell’adesione ad un sistema valutario basato su cambi fissi irreversibili e alle politiche di liberalizzazione adottate dalla World Trade Organization. Nei Paesi europei interessati da queste trasformazioni, il trasferimento della sovranità monetaria ha fatto emergere con maggiore evidenza le problematiche inerenti la concezione della neutralità del rapporto tra diritto e mercato.

2.    Forma giuridica e materia economica: la tecno-economia come fattore di erosione e di trasferimento di sovranità
Di queste problematiche si era occupato, in tempi non sospetti, Luigi Mengoni. Alcuni suoi scritti sono ancora estremamente attuali. Mengoni, all’inizio del suo saggio, dei primi anni sessanta, “Forma giuridica e materia economica”, si domanda “se il diritto abbia soltanto la funzione di organizzare forme esteriori del processo economico, nell’àmbito delle quali i singoli comportamenti economici si svolgono in condizioni di sostanziale immunità dalla regola giuridica, essendo deterministicamente orientati verso un ordine naturale prestabilito, oppure se il diritto costituisca uno strumento attivo del processo economico, in virtù del quale l’ordine economico riceve l’impronta della volontà umana”[11]. Questo tema verrà ripreso, in seguito, tra gli altri, da Natalino Irti. Irti, sollecitato dagli effetti prodotti sull’ordinamento costituzionale dal Trattato di Maastricht, avvia alla fine degli anni novanta del secolo scorso un dibattito intorno all’ordine giuridico del mercato[12]. Dibattito, sul quale, evidentemente, pesano non poco le convinzioni ideologiche e politiche proprie di coloro che si addentrano nel groviglio di questo specialissimo rapporto. Tanto che viene da chiedersi se davvero sia possibile districare il groviglio, sbrogliarlo, fino ad arrivare ad individuare quelle regole che non appartengono alla sfera della politica ma che sono ‘tecniche’, neutrali, proprie del processo economico e come tali assecondabili, asservibili, in quanto regole efficienti[13]. E, ancora, è spontaneo chiedersi se tali regole siano sempre compatibili con la cornice di principi e valori delineati dall’ ‘ordinamento politico’.

Il giurista che affronti le due questioni non ricorrendo a considerazioni di natura ideologica non può che imbattersi in un’inevitabile riflessione quale che sia il tipo di relazione che lega il diritto al mercato e viceversa. E, cioè, che la regolazione non è solo un fenomeno giuridico, proprio del diritto. La regolazione può essere anche, come spesso è, in relazione al mercato, di natura extragiuridica. Il mercato, d’altronde, è esso stesso un sistema di regolazione. Dunque, regolare il mercato può significare sia volerlo modificare in funzione di finalità di natura politica sia volerlo difendere dall’intrusione della politica nel funzionamento spontaneo dei suoi meccanismi naturali. Nell’uno e nell’altro caso, essendo entrambi ‘sistemi’ di regolazione, gli effetti prodotti dall’uno ricadranno sull’altro sistema in un processo inevitabile di feedback.
Ascarelli, qualche anno prima di Mengoni, osservava in un Suo contributo, “Ordinamento giuridico e processo economico”: “al mutamento come proprio della scienza economica corrisponde un mutamento nello stesso concetto del diritto, così come a sua volta lo sviluppo del pensiero economico subisce le sollecitazioni di quello giuridico; e prima che di reciproche influenze tra i diversi settori si tratta di orientamenti generali egualmente operosi”[14]. Cosa intendesse Ascarelli per ‘orientamenti generali egualmente operosi’ non è cosa semplice da estrapolare da tale contesto. Piuttosto che tentare un’operazione esegetica, allora, basti osservare che all’eguale operosità dei due sistemi non corrispondono gli stessi mezzi e gli stessi fini.
Può un sistema di regolazione sociale essere regolato da un altro sistema di regolazione sociale? Perché il diritto dovrebbe regolare il mercato quando potrebbe essere il mercato a regolare il diritto? Insomma, il dibattito sulla regolazione non è più incentrato sulla neutralità del diritto nei confronti della disciplina del mercato ma si è spostato in avanti concentrandosi sulla poligenesi delle fonti di regolamentazione del mercato e coinvolgendo, oltre ai giuristi, anche economisti, politologi e sociologi.
L’ampliamento dello strumentario utilizzato per la regolazione del mercato e la specializzazione del contributo del diritto hanno incentivato lo sviluppo di discipline giuridiche di settore, a partire dal diritto pubblico dell’economia, per proseguire, poi, con il diritto della concorrenza, dei mercati finanziari, dell’ambiente, etc. Il diritto civile, il diritto pubblico, il diritto dell’Unione europea e il diritto internazionale, in questo contesto, diventano, quindi, dei diritti funzionali ai diritti ‘settoriali’[15]. I valori, i principi, i diritti, gli obblighi sanciti dal diritto statuale vengono sottoposti costantemente ad una progressiva erosione della loro effettività da regole di varia natura, sia giuridiche sia extragiuridiche, imposte, avallate o contrattate dal c.d. mercato globale o ‘totale’ nel processo di trasferimento della sovranità.
La profondità raggiunta da questo fenomeno erosivo è, particolarmente, evidente in relazione al mercato finanziario. In nome delle ragioni, e per le pressioni, del mercato globale o totale, vengono assunte decisioni politiche vestite solo formalmente di giuridicità. Ma che, sempre più frequentemente, originano da processi estranei a quelli del circuito politico rappresentativo sul quale sono strutturati gli ordinamenti democratici.

3.    Ordinamento democratico, principio della sovranità popolare, regolazione ‘indipendente’ del mercato
Se, in passato, il dibattito sul rapporto tra potere pubblico e potere privato si incentrava sui limiti dell’intervento del primo sul secondo, oggi, ci troviamo, di converso, a dover affrontare il tema inverso. Occorre interrogarsi, allora, su quale debba essere, in un mercato globale o totale, il limite all’autonomia privata degli operatori economici che non deve essere oltrepassato prima che si frantumino quei principi, quei valori, quei diritti, quegli obblighi fondanti l’ordinamento costituzionale. Più nello specifico, fino a che punto può comprimersi la sovranità rappresentativa prima che, per una sua risposta immunologica naturale – citando Luhmann -, reagisca alla torsione dell’ordinamento costituzionale ed eviti il naufragio dello Stato di diritto (o del regime di diritto)?
La regolazione non è estranea all’esercizio della sovranità ma incide sulla sua espressione.
L’Ocse definisce la regolazione come “the diverse set of instruments by which governments set requirements in enterprises and citizens[16] ricomprendendovi “leggi, provvedimenti formali ed informali e le norme delegate emesse da tutti i livelli governativi e da organismi non governativi o di autoregolazione ai quali i governi hanno delegato  poteri di regolazione”[17].
Dalla definizione emerge che la regolazione è affidata al government (al potere esecutivo) come potere legittimato all’esercizio della sovranità statale. Ma in un mercato globale o totale, dove la sovranità statale tende a frammentarsi, a erodersi, a trasformarsi, il government tende a confondersi con la governance[18]. Governance funzionale alla gestione del mercato globale o totale ma solo parzialmente vincolata, a differenza del government, ai profili dell’ordinamento ‘politico-costituzionale’.
I principi costituzionali, i valori, i diritti, gli obblighi sono rimessi alla vivificazione degli ambiti giurisdizionali statali e sempre più spesso mortificati dall’attività regolativa.
Si pensi alla vicenda delle autorità indipendenti di regolazione (d’ora in poi, a.i.r.).

La vicenda delle a.i.r. pone in evidenza come tali organi contribuiscano, a causa della loro stessa, ‘complessa’ (da definire), natura giuridica, a frammentare, erodere, trasformare l’esercizio della sovranità statale. La concretezza dei fatti, e quel precetto fondamentale delle scienze politiche, in base al quale ogni potere pubblico, una volta istituito, tende naturalmente ad espandersi, può essere esteso anche alle a.i.r. Come noto, le ragioni dell’istituzione di questi particolari ‘enti’ di regolazione affondano, almeno nell’ordinamento nazionale, nei processi di privatizzazione delle aziende a partecipazione statale e delle banche pubbliche e nella liberalizzazione dei mercati delle telecomunicazioni e dell’energia. Con l’introduzione delle a.i.r. si abbandonano anche quelle forme giuridiche di programmazione e controllo delle attività economiche realizzate attraverso gli enti di gestione delle partecipazioni statali e gli organi governativi di natura interministeriale, eccetto che, in quest’ultimo caso, per il Cipe ed il Cicr. La trasformazione del sistema amministrativo, originatasi negli anni novanta del secolo scorso, individua, quindi, nelle a.i.r. gli organi attraverso i quali gestire la nuova fase regolativa del modello economico prefigurato dai Trattati comunitari. Tuttavia, le a.i.r. non sono gli unici enti ai quali l’ordinamento affidi, ancora oggi, compiti di natura regolativa. In vari settori economici, il legislatore affida compiti di regolazione a soggetti di diversa natura giuridica come è, ad esempio, per le Camere di commercio – come noto, enti pubblici dotati di autonomia funzionale[19] – che sono chiamate a svolgere, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza, sulla base del principio di sussidiarietà di cui all’articolo 118 Cost., funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese, curandone lo sviluppo nell’ambito delle economie locali[20]. Gli Enti bilaterali – definiti in dottrina anche come “associazione di associazioni”[21] – sono organismi costituiti, su iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, quali sedi privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro[22]. L’Ente nazionale per l’aviazione civile (ENAC) è un ente pubblico “dotato di autonomia regolamentare, organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile e finanziaria” e “sottoposto all’indirizzo, vigilanza e controllo del Ministro dei trasporti e della navigazione”[23]. Sono solo alcuni esempi di attribuzione di poteri di regolazione ad enti pubblici, economici o non, o ad organizzazioni di natura privata, che svolgono l’attività regolativa “settoriale” sotto la vigilanza ministeriale. Si tratta, evidentemente, di situazioni specifiche e marginali rispetto alla scelta del legislatore di affidare la regolazione del mercato ad a.i.r.[24] Come, d’altronde, conferma, anche la recente (e travagliata) introduzione nell’ordinamento nazionale dell’Autorità di regolazione dei trasporti[25].
Tuttavia, non in tutti gli Stati membri dell’Unione europea si è fatta la stessa scelta. Nell’ordinamento tedesco, il modello delle a.i.r. è costruito sul fondamento giuridico del principio democratico, come conferma anche la stessa giurisprudenza costituzionale tedesca. Se si fa eccezione per la Bundesbank[26], le autorità di regolazione come la Bundesnetzagentur (o Federal Network Agency o Agenzia federale delle reti), il BundesKartellamt (o Federal Cartel Office o Agenzia federale di controllo della concorrenza) ma anche la Bafin (Bundesanstalt für Finanzdienstleistungsaufsicht o Autorità di regolazione delle banche, delle assicurazioni e dei mercati finanziari) non sono ‘giuridicamente indipendenti’[27]. La loro legittimazione democratica, infatti, deriva dal potere politico esercitato dal Ministro competente che, in qualità di organo di vertice settoriale, indirizza e controlla tutta l’attività amministrativa esercitata sotto il suo dicastero. Questa ‘specificità’ dell’ordinamento tedesco emerge in una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che ha per oggetto l’applicazione, da parte della Repubblica federale di Germania, degli obblighi previsti dall’art. 28.2, n. 1, della Direttiva privacy 95/46/CE rubricato “Autorità nazionali di controllo – Indipendenza – Vigilanza amministrativa esercitata su dette autorità”[28]. Per la Repubblica federale di Germania, l’indipendenza degli enti di regolazione riguarda le possibili ‘influenze’ esterne ma non il Governo, poiché le autorità sono ritenute parte dell’amministrazione[29]. La Commissione ritiene, invece, che il dettato della Direttiva debba essere inteso nel senso che nessuna influenza esterna sull’autorità sia accettabile, anche quella dei Governi, poiché compromette il carattere di indipendenza dell’autorità[30].
La Corte di giustizia si è pronunciata a favore dell’interpretazione della Commissione. Le autorità di regolazione – precisa la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione – sono le custodi dei diritti e delle libertà fondamentali[31], e la garanzia della loro indipendenza, andrebbe interpretata alla luce della finalità di assicurare l’efficacia e l’affidabilità dei compiti di regolazione loro affidati[32].
La declinazione dell’indipendenza delle a.i.r. sancita dalla Corte di giustizia dell’Unione non sembrerebbe compatibile, quindi, con il principio democratico richiamato, oltre che nella Costituzione della Repubblica federale tedesca, anche dal diritto dell’Unione all’art. 6 del TUE. Tuttavia, il giudice europeo afferma che il principio democratico “non osta all’esistenza di autorità pubbliche collocate al di fuori dell’amministrazione gerarchica classica (…) L’esistenza e le condizioni di funzionamento di siffatte autorità, negli Stati membri, rientrano nella sfera della legge o persino, in taluni Stati membri, della Costituzione e tali autorità sono soggette al rispetto della legge sotto il controllo dei giudici competenti. Autorità amministrative indipendenti di tale genere, come ne esistono del resto nel sistema giuridico tedesco, hanno spesso funzioni regolatrici o svolgono compiti che devono essere sottratti all’influenza politica, pur restando subordinate al rispetto della legge, sotto il controllo dei giudici competenti”[33]. Lo status di indipendenza, quindi, secondo la sentenza della Corte di giustizia, non priva le autorità della loro legittimità democratica[34].

Ma, come è stato osservato, il modello regolativo basato sulle autorità indipendenti non esclude a priori che le decisioni assunte da tali autorità siano neutrali sotto il profilo politico[35]. Riprendendo un’affermazione di Schmitt, tratta da “Le categorie del politico”, potremmo dire che “la tecnica è sempre e soltanto strumento ed arma e proprio per il fatto che serve a tutti non è neutrale”[36]. Non solo, ma ripensando alle riflessioni di Marver H. Bernstein formulate in un suo scritto del 1955, “Regulating Business by Independent Commissions”, laddove cita “Policy and Administration” di Paul H. Appleby, “tenere fuori le cose dalla politica significa tenerle fuori dal controllo popolare. Questo è uno strumento usato di frequente dai gruppi che sono portatori di interessi speciali per condizionare il trasferimento del potere esecutivo portandolo lontano dal grande pubblico e vicino al più piccolo pubblico dei soggetti interessati”[37]. Le affermazioni di Schmitt e di Bernstein sollecitano, nel tempo, una ‘libera’ riflessione sulla responsabilità politica delle a.i.r.[38] La questione della responsabilità politica delle autorità, anche alla luce dei recenti accadimenti, non pare più liquidabile e/o riducibile alla sola regolamentazione giuridica del procedimento deliberativo adottabile dalle a.i.r.[39]
Le trasformazioni sociali ed economiche avvenute nell’ultimo decennio, nonché il ruolo assunto dalle a.i.r. all’interno e all’esterno degli ordinamenti statuali, svelano, se mai fosse stato celato, che il problema della responsabilità politica delle a.i.r. è strettamente legato alla declinazione della sovranità. Negli ordinamenti democratici la responsabilità politica rinvia al luogo in cui la sovranità è mediata, vale a dire al Parlamento e al Governo, nella misura stabilita dalla forma di governo adottata. Ma, comunque, ad organi che rispondono ad una concezione della sovranità ancora formalmente inquadrata nel ‘principio democratico’.
Viene da chiedersi, allora, se l’assenza di responsabilità politica nell’operato delle a.i.r., pur potendo tali organi esercitare anche poteri sostanzialmente politici, possa essere colmata con il loro inquadramento tra le ‘autorità amministrative’, il formale rispetto del principio di legalità, la sindacabilità degli atti adottati. La realtà dei fatti pone non pochi dubbi in merito.

4.    Frammentazione della sovranità, unificazione del mercato: l’istituzione delle ‘reti di regolatori’ indipendenti
Il problema, si potrebbe obiettare, è più ampio e riguarda, più in generale, l’effettività del diritto anche in ambiti non presidiati dalle a.i.r. Un problema, quello dell’effettività, legato alla trasformazione della sovranità statale che, per effetto di esigenze primariamente economiche, di unificazione del mercato, si frammenta, a vari livelli, in organi di natura più o meno tecnica, più o meno politica, più o meno istituzionali, fino ad arrivare a riemergere in forma di governance piuttosto che di government. Ma, per dirla alla Bernstein, le decisioni delle autorità di regolazione ricadono quasi sempre non soltanto sul gruppo più piccolo, quello legato agli interessi speciali, ma anche sull’intera comunità dei cittadini di uno Stato o di un metastato, come nel caso dell’Unione europea. E quando tali decisioni non tutelano efficacemente quegli interessi costituzionali che giustificano l’esercizio dei poteri regolativi, cosa accade? Interviene il government, vale a dire i Governi nazionali e, per mezzo di essi, i poteri politici che sono legittimati ad intervenire dalle rispettive Costituzioni statali. E gli effetti dei provvedimenti adottati legittimamente da quegli organi ricadono su tutti i cittadini.
Un’ultima riflessione riguarda l’oggetto della regolazione. Nel modello tedesco la regolazione è, per così dire, ‘orizzontale’ o ‘trasversale’ concepita in funzione del ‘mercato’, eccetto che per la Bundesbank. Nell’ordinamento nazionale, invece, la regolazione è tendenzialmente ‘settoriale’ o ‘verticale’. Le a.i.r. sono distinte in base al settore di competenza esclusa, evidentemente, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato e, forse, anche la neonata, ma non ancora operativa, Autorità dei trasporti.
In entrambi i casi, tuttavia, non vi è omogeneità funzionale tra i settori oggetto di regolazione poiché la dimensione dei poteri di regolazione si modificano in relazione alla declinazione della sovranità. Ad esempio, la ‘cessione’ della sovranità monetaria ha inciso sulle funzioni esercitate dalla Banca d’Italia in relazione alla politica monetaria e ne ha modificato l’assetto istituzionale in qualità di organo di vigilanza del sistema bancario e finanziario nazionale. In altri settori, in cui tale cessione non è – ancora – avvenuta, come, ad esempio, nel caso della vigilanza del mercato finanziario, i poteri e i compiti dell’autorità si sono estesi con l’accadere di crisi finanziarie in seguito alle quali sia il legislatore nazionale sia il legislatore europeo sono intervenuti sugli assetti istituzionali della vigilanza prima rafforzando la cooperazione tra le autorità di vigilanza nazionali e, poi, istituendo, come noto, dal 1° gennaio 2011, un Sistema europeo di vigilanza finanziaria[40]. Il modello delle ‘reti di regolatori’ è stato adottato anche in altri settori come è, ad esempio, per il Body of European Regulators for Electronic Communications (Berec) e l’Agency for the Cooperation of Energy Regulators (Acer)[41]. Network di regolatori diversi per inquadramento giuridico, poteri, funzioni. C’è chi intravede nella costruzione di una rete di a.i.r. un segno di debole ‘statualità’ del diritto; chi, invece, una proiezione delle autorità statali di regolazione nell’ordinamento comunitario[42]. L’adozione dell’uno o dell’altro modello dipenderà molto da come le autorità di regolazione europee useranno i poteri e perseguiranno i compiti ad esse affidati dal legislatore europeo. Certo è che in una dimensione metastatale, come quella europea, si fa ancora più rilevante la questione della responsabilità politica delle a.i.r.
Se già nell’ordinamento nazionale, la rinuncia alla legittimazione democratica poteva dar adito a dubbi di costituzionalità sull’istituzione di a.i.r.[43], la creazione di ‘reti di a.i.r.’ pone l’accento sul potenziale definitivo distacco tra ordine dei fini/mezzi, bisogni della persona umana e organizzazione del mercato. Come suggerisce Supiot, in suo recente libro[44], occorrerebbe ritornare allo spirito della Dichiarazione di Filadelfia del 1944, in cui il mercato è al servizio dei principi di dignità umana e di giustizia sociale. Principi sui quali è fondata anche la nostra Carta costituzionale.

Opere citate

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Testo, parzialmente riveduto, con l’aggiunta di minimi riferimenti bibliografici, della relazione tenuta il 29 maggio 2012 nel Seminario su “La regolazione del mercato” presso l’Università degli Studi di Firenze

Note

1.  Cfr. L. Einaudi, 1949, pp. 3-4.

2.  Cfr. V. Atripaldi, 1998, p. 17.

3.  Cfr. K. Polanyi, 1999, pp. 88 e ss.

4.  Mi riferisco a M. Libertini, 1979 che, denunciando la mancanza di una tradizione scientifica relativa allo studio di questa parte dell’ordinamento, esordisce così nel proprio studio sulla regolazione economica: “Non è agevole esporre sistematicamente i contenuti e i problemi delle discipline amministrative concernenti il funzionamento del mercato”.

5.  V., A. Zoppini, 2010, p. 9. Zoppini sostiene che la regolazione “ (…) ha oggi assunto un significato sufficientemente univoco, atteso, che individua l’insieme delle discipline che mirano a reagire al fallimento del mercato e/o a garantire con l’eteronomia il mercato concorrenziale: quindi a correggere l’asimmetria informativa tra le parti, a evitare il prodursi di esternalità negative, a rimediare alle situazioni di monopolio. In particolare, la regolazione si esplica essenzialmente in forma di norme imperative che integrano il contenuto dei rapporti giuridici privati, così da disciplinare l’agire degli attori economici e orientare i comportamenti verso i risultati allocativi ritenuti socialmente preferibili, in quanto coerenti al paradigma concorrenziale”.

6.  V., S. Cassese, 2008, pp. 39-47 relative al Capitolo IV dell’opera intitolato, significativamente, “Dalla sovranità pubblica sull’economia alla sovranità dell’economia sullo Stato”.

7.  Cfr. M. S. Giannini, 1985, pp. 271 e ss.

8.  Cfr. V. Grementier, 1971, pp. 245-249.

9.  Si v. la nota 1 in A. Zito, 2010.

10.  Si rinvia per un approfondimento a, A. Pisaneschi, 2009.

11.  Si v., L. Mengoni, 1963, p. 1075.

12.  La prima edizione del libro di Natalino Irti, “L’ordine giuridico del mercato”, appare, come noto, nel gennaio 1998. Per il dibattito che si crea sull’idea del libro si v., AA.VV., Il dibattito sull’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, Laterza, 1999.

13.  Si v., ancora, L. Mengoni, 1997, p. 1. In una lettera che Mengoni scrive a Irti dopo aver letto, alla sua uscita, “Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto” emerge una considerazione premonitrice: “Il normativismo puro non solo de-territorializza il diritto, ma lo disumanizza. Esso sarà pure congeniale alla tecno-economia despazializzata, ma le è proprio necessario? Come si spiega allora la scarsa fortuna di Kelsen negli Stati Uniti d’America, cioè nel paese di gran lunga più tecnologicamente avanzato del mondo? Se non vuole sprofondare nell’abisso di follia preconizzato da Severino, la tecno-economia dovrà pure accettare il limite di un minimo di prescrizioni etiche che non vanno nel senso dell’efficienza pura e semplice”.

14.  V., T. Ascarelli, 1958.

15.  Come avvertiva già, nel passato, Giannini in relazione al Diritto pubblico dell’economia che definiva una ‘disciplina oggettuale’: M. S. Giannini, 1985, pp. 16 e ss.

16.  V., OECD, 1997, p. 6.

17.  Ibidem, p. 6.

18.  V., M. R. Ferrarese, 2010.

19.  Si v., art. 1 L. n. 580/93.

20.  Arbitrato, conciliazione, consumatori, ecc. di cui all’art. 2.4, L. n. 580/93.

21.  Si v., diffusamente, V. Bavaro, 2007 e S. Scarponi, 2003, p. 234.

22.  Si v., l’art. 2, lett. h) D.Lgs n. 276/2003: “(…) attraverso la promozione di un’occupazione regolare e di qualità; l’intermediazione nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro; la programmazione di attività formative e la determinazione di modalità di attuazione della formazione professionale in azienda; la promozione di buone pratiche contro la discriminazione e per l’ inclusione dei soggetti più svantaggiati; la gestione mutualistica di fondi per la formazione e l’integrazione del reddito; la certificazione dei contratti di lavoro e di regolarità o congruità contributiva; lo sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento”.

23.  V., art. 1 D.Lgs n. 250/97.

24.  Cfr. G. Napolitano, 2012.

25.  V., A. Tonetti, 2012, p. 593: “Significativo è pure l’impatto dell’Autorità sull’Enac, che perde la generale competenza relativa all’istruttoria degli atti concernenti i diritti aeroportuali. Non sembrano, altresì, irrilevanti gli effetti sulle autorità portuali, in ordine ai criteri di accesso alle infrastrutture portuali e alla determinazioni dei corrispettivi”.

26.  Per il § 88 del Grundgesetz. Cfr. M. Clarich, 2005, pp. 7-11.

27.  Si v., per un approfondimento, G. Hermes, 2011, pp. 118 e ss.

28.  V., Corte giustizia Unione Europea sentenza n. 518 del 09/03/2010.

29.  V., § 16 della C-518/07: “La Repubblica federale di Germania, dal canto suo, caldeggia un’interpretazione più restrittiva dei termini «pienamente indipendenti» e sostiene che l’art. 28, n. 1, secondo comma, della direttiva 95/46 richiede un’indipendenza funzionale delle autorità di controllo, nel senso che dette autorità devono essere indipendenti dai settori diversi da quello pubblico soggetti al loro controllo e che non devono essere esposte a influenze esterne. Orbene, a suo parere, la vigilanza dello Stato esercitata nei Länder tedeschi non costituisce una siffatta influenza esterna, bensì un meccanismo di sorveglianza interno all’amministrazione, messo in atto da autorità appartenenti al medesimo apparato amministrativo delle autorità di controllo e tenute, proprio come queste ultime, a soddisfare le finalità della direttiva 95/46”.

30.  V., § 15 della C-518/07: “Secondo la Commissione e il GEPD, che si basano su di un’interpretazione lata dei termini «pienamente indipendenti», il requisito che nell’esercizio delle funzioni le autorità di controllo siano «pienamente indipendenti» deve essere interpretato nel senso che un’autorità di controllo deve essere sottratta a qualsivoglia influenza, sia esercitata da altre autorità sia al di fuori dell’ambito dell’amministrazione. La vigilanza dello Stato cui sono subordinate in Germania le autorità di controllo del rispetto della normativa in materia di protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nei settori diversi da quello pubblico costituirebbe pertanto una violazione di tale esigenza”.

31.  V., § 23 della C-518/07.

32.  V., § 25 della C-518/07.

33.  V., § 42 della C-518/07.

34.  V., § 46 della C-518/07.

35.  Cfr. G. C. Pinelli, in Forum di Quaderni Costituzionali: “La domanda autorevolmente posta da G. U. Rescigno circa l’effettivo esercizio o meno da parte delle Autorità indipendenti di poteri oggettivamente politici (ancorché formalmente non qualificati come tali) non può che trovare, almeno per il caso in questione, una risposta affermativa”.

36.  V., C. Schmitt, 1972, p. 178.

37.  V., M. H. Bernstein, 1955, p. 73.

38.  Per un approfondimento sui vari significati che possono essere dati al concetto di “responsabilità politica” si v., ancora, diffusamente, G. C. Pinelli che segnala come opera di riferimento sulla responsabilità politica G. U. Rescigno, La responsabilità politica, Milano, Giuffrè, 1967, pp. 45 e ss.

39.  V., A. Police, 2009, specie il § 5: “Generalmente si ritiene che, tutto sommato, queste particolari figure non pongano seri problemi di legittimità costituzionale, proprio perché il deficit democratico che le caratterizza verrebbe “compensato” dal procedimento amministrativo. Si afferma, infatti, che i procedimenti di loro competenza, essendo caratterizzati da una accentuata articolazione, dalla garanzia del pieno contraddittorio, scritto ed orale, con i soggetti interessati e da una forte esaltazione del principio di difesa (spesso sulla base di moduli così detti paragiurisdizionali), sopperiscono alla assenza di legittimazione democratica delle Autorità medesime. Ebbene, una tale giustificazione non appare affatto condivisibile, né dal punto di vista teorico né dal punto di vista degli effetti pratici che produce”.

40.  Per questi aspetti mi si consenta di rinviare a F. Zatti, 2012.

41.  Si rinvia per un approfondimento a P. Bilancia, 2012.

42.  Cfr. L. Torchia, 2012.

43.  V., tra gli altri, G. De Minico, 2012; G. Grasso, 2006; M. Cuniberti, 2002.

44.  Cfr. A. Supiot, 2011.