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L’istruttoria e il passato di una legge: i vecchi tribunali di commercio e le attuali sezioni d’impresa

di - 20 Ottobre 2012
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I Tribunali di commercio, insieme alle Corporazioni, e prima ancora alle corti varie della giurisdizione di settore (e alle stesse Camere di Commercio) avevano disegnato un reticolato d’interessi e specializzazione che non era facile da superare. Una tra le molte testimonianze promosse da queste ultime spiega con enfatica chiarezza quanto fossero radicate le convinzioni dei mercanti: «Nella storia del progresso dei popoli e della loro legislazione, può dirsi istituto civile ed il più popolare nell’amministrazione della giustizia, il Tribunale di Commercio… E comechè la bontà delle leggi è la espressione più solenne del grado morale e civile di un popolo, la soppressione dei Tribunali di Commercio indicherebbe che i costumi del popolo italiano, lungi di perfezionarsi in intelligenza ed onestà, sarebbero in iscoraggiante declino»[52]. E infine, con generiche ma convinte notazioni storiche: «Farebbero invero meraviglia come l’Italia, reggendosi oggi a libere istituzioni, si volessero sopprimere Camere e Tribunali di Commercio, istituzioni eminentemente popolari e benefiche, delle quali non temerono mai i Re assoluti o costituzionali, che le fondarono e rispettarono»[53].
Molti scrittori e politici, infine, posero la questione nell’ultimo scorcio del secolo fino a provocare un intervento di Giuseppe Zanardelli. Il primo ministro il 13 dicembre 1887, pochi giorni prima dell’approvazione della legge che soppresse i tribunali mercantili, in risposta alle interrogazioni di numerosi parlamentari, fece notare che le corti di commercio potevano essere sostituite da sezioni speciali dei tribunali ordinari[54].

5) La preparazione di una riforma
Il ministro della giustizia, aveva dunque in mente il sistema dei privilegi[55], ma si poneva il problema della specialità della materia, affrontando insieme a giuristi d’ogni tipo e ad un numero davvero ampio di deputati, il tema della conservazione o soppressione degli organi della giustizia mercantile. Permaneva quindi nell’età liberale un costume tipico dell’antico regime: nel tratto iniziale dell’età moderna il numero delle leggi fondamentali, emanate nel breve periodo, non era elevato e in ogni caso si presentava, di certo, inferiore a quello che caratterizzò, dopo il 1789, l’età propriamente moderna. Tutto ciò per tacere dei tempi recenti: la dialettica parlamentare, democratica e la statualizzazione del diritto, comprimendo il valore delle consuetudini, hanno reso incessante il riformismo, in particolare da noi.
Una rivoluzione continua, una contraddizione in termini[56]; e un ritorno paradossale alle logiche proprie del particolarismo: le troppe leggi della stagione che anticipò il Code Napoléon sono tornate a caratterizzare la situazione delle fonti.
Prima del luglio francese di fine Settecento e dell’epopea bonapartiana che completò il processo di riduzione ad unità del pluralismo (processo già iniziato per mano dei privati e dello stesso potere centrale[57]), l’antico regime era connotato da un complesso di sistemi, di ordinamenti – ciascuno con una sua specificità e con una tendenziale stabilità – ma non certo da stravolgimenti delle materie più importanti. Tutto ciò accadeva perché la logica complessiva di quel mondo era di tipo statico e non dinamico. In ogni caso le riforme, o meglio i cambiamenti, anche nel maturo Settecento, procedevano ad intervalli irregolari e lunghi. Di riforme vere e proprie si cominciò a parlare sotto la spinta del movimento illuministico e, in un senso meno ideologico, dalle necessità di mercanti e in genere dei ceti mediani, che tuttavia confidavano più sulle prassi che sulle disposizioni della legge scritta.
Le armi dell’ideologia borghese erano, infatti, prima di tutto quelle messe a punto dalle Corporazioni. Soggetti di diritto e insieme soggetti politici, gli Ordini assumevano compiti di rappresentanza attiva dell’intera associazione, come accadde in Catalogna, ove i Consulat svolsero un’azione incisiva, come nessuna altro organo seppe fare[58]. Naturalmente i tribunali e le camere di commercio, come espressione e braccio operativo delle “Arti e dei mestieri”, assicurarono la tenuta del sistema, mentre la diffusione delle idee mercantilistiche era garantita, oltre che dal funzionamento dei mercati, da coloro che si battevano contro gli innumerevoli ostacoli posti dai conservatori alle logiche commerciali. Tradizionalisti e novatori si disputavano il campo per questioni apparentemente marginali e per altre più centrali: si spaziava, come si è detto, da vicende relative al teatro, al consumo di carni o cioccolato al venerdì o durante la quaresima, ad altre riguardanti l’onerosità del mutuo, la pericolosità dei traffici ferroviari, la libertas philosophandi e la libertà di stampa, che ne era un corollario[59]. Si può dunque ritenere che in quella stagione, a ridosso di cambiamenti epocali, in pieno Settecento, la preparazione delle riforme fosse un fatto naturalmente lungo, meditato ed indotto da trasformazioni di forma e genesi varie.
In età moderna le innovazioni legislative di notevole rilevanza hanno tempi più ridotti e sono occasionate dalla necessità di tenere il passo di mutamenti continui. La frequenza di interventi legislativi, anche decisivi, dipende inoltre dalla mutevolezza della situazione politica e dalla conseguente necessità di seguirne il corso.
In ogni caso, in tempi recenti e nel mondo occidentale, si notano profonde assonanze e qualche negativa differenza, che riguarda purtroppo il nostro costume politico e normativo. Per cenni si possono indicare talune vicende, delineate per il loro valore anche simbolico. E così si possono richiamare alcune esperienze europee e quelle americana ed inglese, unite per motivi di tradizione. A tal proposito è possibile far iniziare la comparazione da una situazione ben nota: in Germania le leggi più importanti prima di essere approvate sono sottoposte al giudizio delle maggiori Università, chiamate ad una funzione di alta consulenza. In Svizzera invece si ricorre al mezzo referendario o in ogni caso ad approfondimenti così ampi da determinare un duplice, eccezionale risultato: la sperimentazione della democrazia diretta e l’assunzione del più ampio consenso. Si tratta naturalmente di alcuni tra i molti esempi possibili: negli Stati Uniti d’America le lobbies, riconosciute per legge, svolgono, come si sa, nel processo di formazione di una legge, un’azione in parte ricostruibile e perciò priva di alcune delle opacità che caratterizzano i nostri procedimenti normativi. Sottoposta a controlli finanziari e politici (in particolare di tipo giornalistico o ad opera delle élites), quel procedimento legislativo determina un’opportunità d’informazione o di conoscenza diretta, per la possibilità di collegare il provvedimento ad un gruppo di persone, ad un centro d’interessi. Si tratta d’automatismi, in parte e in linea teorica, assimilabili alla legislazione emanata dalle istituzioni cetuali, seppure in una logica tutta interna, domestica e senza la dialettica e il contrasto d’interessi tipico degli organi rappresentativi di stampo democratico e parlamentare. Per la dichiarata e preventiva difesa d’interessi riferibili a gruppi sociali ben individuati, le descritte procedure finiscono per togliere una buona parte delle ombre che si addensano invece ove il legislatore non tiene la pubblica opinione in nessun conto. Ciò vale, ovviamente, soprattutto per le materie di maggiore impatto politico-sociale e per temi di natura economica e commerciale (le ipotesi di corruzione o di falso in bilancio) in ogni modo non lontani da questa e in ogni caso legati e destinati a formare un sistema.
  In sintesi: il grado d’efficacia, anche in termini temporali, degli antichi procedimenti legislativi riguardanti il commercio era altissimo. Si tratta di un dato costante e indipendente dai luoghi o dai tempi, indifferente ai cambiamenti epocali di tipo legislativo. Un risultato che, come il suo aspetto più importante, ma non esclusivo[60], dipendeva dal legame esistente tra le parti e tra queste ultime e i giudici, uniti tutti insieme dal vincolo più duraturo, almeno nella vita pubblica: quello degli interessi.

Note

52.  Francesco Puglisi, I Tribunali di Commercio in Italia, Relazione alla Camera di commercio ed arti di Messina, Tipografia del Commercio, Messina, 1882, pp. 3-4.

53.  Ivi, p. 38.

54.  Giuseppe Zanardelli, Discorsi parlamentari (Discorso del 13 dic. 1887), vol. II,
Tipografia della Camera dei Deputati, Roma 1905, p. 496. Nel testo si dà risalto alle posizioni dei molti deputati che intervennero sulla questione, chiusa il 23 gennaio 1888 con la legge che sopprimeva i tribunali commerciali.

55.  Ivi, p. 497.

56.  Cambiare in maniera radicale l’assetto di un intero settore significa sottoporre il sistema a traumi improduttivi: succede, e, per esempio, nella materia fiscale, ed è comprensibile, o nel campo dell’istruzione.

57.  Cavanna, op. cit. in nt. 8, pp. 237-293; cfr. Tarello, op. cit. in nt. 14, pp. 22- 42.

58.  Pere Molas i Ribalta, Le marchand espagnole entre 16.e et 18.e siècles, in Cultures et formations négociantes dans l’Europe moderne, Éditions de l’Ecole des Hautes Études en Sciences Sociales, Paris 1995, a cura di Franco Angiolini e Daniel Roche, p. 63.

59.  Vincenzo Ferrone, I profeti dell’Illuminismo, Laterza Roma-Bari 2000; Libertas philosophandi in naturalibus: libertà di ricerca e criteri di regolamentazione istituzionale tra Cinquecento e Settecento (a cura S. Ferretto, P. Gori, M. Rinaldi con la supervisione di A. Olivieri); M. Fioravanti, Le libertà: presupposti culturali e modelli storici, Giappichelli, Torino 1991. Si veda, per le questioni relative al teatro o alle strade ferrate, la nt. 22.

60.  Accanto alla durata dei giudizi, è possibile collocare la stabilità della decisione (le poche impugnazioni, per esempio) e la prontezza dell’esecuzione.

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