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Riforme costituzionali e principi in tema di sfera pubblica e di interessi privati

di - 1 Agosto 2012
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L’ultimo comma di tale articolo, oltre a eliminare ogni potere di intervento dei pubblici poteri al fine di indirizzare e coordinare l’attività economica pubblica e privata, aggiunge l’eliminazione di ogni controllo preventivo sull’attività imprenditoriale, limitandosi ad affermare che la legge deve ispirarsi ai “principi di fiducia e leale collaborazione tra le pubbliche amministrazioni e i cittadini” che esercitano le attività economiche. L’art. 97 cost., nella nuova formulazione, riguarda in particolare le pubbliche funzioni e afferma in termini generali che tali funzioni sono al servizio dei soli diritti di libertà dei cittadini (la commissione propone di estendere la portata alla tutela di tutti i diritti dei cittadini). Il secondo comma del nuovo art. 97 cost. propone di introdurre l’affermazione che “l’esercizio, anche indiretto delle pubbliche funzioni è regolato in modo che ne siano assicurate l’efficienza, l’efficacia, la semplicità e la trasparenza“, mentre il buon andamento e l’imparzialità già previsti dal testo soggetto a revisione, fanno la loro ricomparsa nel comma successivo. La ricchezza persino eccessiva di espressioni relative alla qualità delle funzioni amministrative esercitate in Italia dai pubblici poteri fanno in effetti dubitare dell’effettivo stato delle cose, in un Paese nel quale la lotta contro le disfunzioni amministrative, la corruzione e gli eccessivi dispendi richiederebbero livelli di impegno sempre più alti in opposizione alla crescita esponenziale di tali fenomeni. L’ultimo articolo del disegno di legge governativo tende a introdurre una previsione diretta, niente di meno, che a “garantire” e “favorire” l’autonoma iniziativa dei cittadini “singoli o associati“, “per lo svolgimento di attività di interesse generale“( art. 3 del disegno di legge n. 4144 del 2012). Se si ha presente la situazione reale della società italiana, caratterizzata dalla presenza di associazioni criminali e di una gestione spesso minacciosa del potere economico, può stupire che la costituzione imponga agli enti territoriali di “garantire” e “favorire” i privati limitando l’intervento pubblico, attraverso un’ambigua invocazione del “principio di sussidiarietà“, in materie scottanti come quella dei servizi pubblici assicurati da imprenditori privati.

3. – Il percorso che ha portato nella direzione di una progressiva visione sempre più tecnica e specialistica del diritto costituzionale italiano. La discussione sui problemi di metodo nello studio del diritto costituzionale in Italia è stata profondamente condizionata dal passaggio dall’ordinamento costituzionale monarchico, liberale e poi fascista a quello democratico e repubblicano, con un mutamento di orizzonti che non poteva non produrre i suoi effetti sul travagliato pensiero dei costituzionalisti. L’entrata in vigore della Costituzione repubblicana ha provocato, in particolare, prese di posizione, a volte molto nette, da parte dei giuristi che si sono interessati dell’interpretazione costituzionale; si è cercato di fugare ogni dubbio sul carattere imperativo e non solo programmatico delle disposizioni costituzionali e di superare tutti gli ostacoli e le remore che si facevano valere contro l’entrata in vigore della Costituzione perfino da parte di alcuni poteri dello Stato. Gran parte della dottrina culturalmente più avanzata reagì a tale stato di cose, insistendo nell’affermazione del carattere rigido e normativo del testo costituzionale, di cui si denunciava la mancata “attuazione”, chiedendosi il ricorso alle necessarie innovazioni legislative, amministrative e giurisprudenziali, per realizzare quel nuovo ordine costituzionale auspicato da gran parte del Paese. Si sottolineava perciò, anche se con un’evidente forzatura, il carattere egualmente vincolante di tutte le enunciazioni costituzionali (si pensi a Crisafulli e all’opera “La costituzione e le sue disposizioni di principio”) e si tentava da parte di molti scrittori di costruire un rigido sistema concettuale, che sottolineasse la connessione sistematica dei diversi principi normativi enunciati dalla Costituzione, con il risultato, non certo auspicato, di un irrigidimento della dogmatica costituzionale. Ciò ha contribuito a diffondere un’idea formale della Costituzione e alla straordinaria diffusione in Italia del pensiero di Kelsen, considerato, forse a torto, come il profeta del rigore scientifico e di un’interpretazione costituzionale che cerca di tenersi il più possibile lontana dalla comprensione dei fenomeni non normativi.
La conclamata intrinseca “normatività” della Costituzione, oltre ad avere avuto molti riconoscimenti da parte della dottrina più sensibile al contenuto innovatore dei nuovi principi costituzionali, ha prodotto anche conseguenze molto rilevanti sui metodi di studio del diritto costituzionale, che, dall’entrata in vigore del testo repubblicano, ha preso le distanze tanto dalle altre discipline giuridiche, quanto dalla vecchia dottrina di stampo monarchico e liberale. La nuova dottrina costituzionalistica, affermando la propria autonomia scientifica specialistica, fece leva soprattutto su una dogmatica argomentativa di nuovo conio, fondata sul richiamo al principio della “gerarchia delle fonti”, oltre che sulla dottrina della imperatività delle norme costituzionali, e costruì le proprie categorie concettuali sui presupposti dell’effettiva entrata in funzione dell’ordine repubblicano, anche nelle sue parti più innovative, e di un rigido sistema di connessioni concettuali. Solo successivamente, quando si diffusero tecniche di interpretazione costituzionale più raffinate, l’impostazione iniziò ad essere riveduta e si evidenziarono percorsi ermeneutici della Costituzione che avrebbero consentito tecniche di bilanciamento tra i valori costituzionali, mettendo in evidenza l’importanza degli spazi di valutazione consentiti dalla Costituzione rigida ai suoi interpreti, prima di tutti al legislatore e poi alla corte costituzionale e alla magistratura. Gli ottimi risultati raggiunti dalla dottrina italiana, specialmente nella costruzione del sistema costituzionale democratico e parlamentare, incoraggiarono un impegno scientifico di gran parte dei giuristi, caratterizzato da una presa di distanza sempre più marcata, e talora persino polemica, nei confronti della dottrina dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento, alle quali si rimproverava l’eccessivo ricorso allo studio della storia e della filosofia del diritto e una certa tendenza verso il rifiuto di una visione veramente imperativa e sistematica del diritto costituzionale. La disciplina che va sotto il nome di diritto costituzionale ha così perduto lentamente le sue radici storiche e teoriche per assumere, almeno prevalentemente, come punti di riferimento schemi argomentativi tratti dalla giurisprudenza, considerata come vera e propria fonte del diritto, quasi allo stesso modo di come si era considerato in passato ogni dato che si presentasse nelle vesti di norma imperativa.

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