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La questione femminile a 150 anni e oltre dall’Unità d’Italia*

di - 7 Luglio 2012
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Come osserva una protagonista fra le donne della Resistenza, emblema di tutte, la partigiana “Chicchi” (Teresa Mattei, la più giovane “madre” della Costituzione, all’Assemblea Costituente), le donne partecipano alle iniziative della Resistenza esattamente come gli uomini; solo hanno meno gloria. Lo testimoniano, fra i tanti dimenticati, nomi come quelli – più o meno conosciuti dai non addetti ai lavoro – di Tina Anselmi (la prima donna ministro, nel 1976), Vanda Bianchi, Irma Bandiera, Carla Capponi, Bianca Ceva, Anna Maria Enriques Agnoletti, Ada Prospero Gobetti, Lina Merlin, Camilla Ravera, Teresa Vergalli, Renata Viganò. Sono i nomi di persone che hanno pagato con la vita il loro impegno o che hanno proseguito dopo la liberazione la loro testimonianza, nella lotta politica per la cittadinanza compiuta delle donne.

4. Dalla Resistenza nascono la Repubblica e la Costituzione, in cui le donne diventano finalmente cittadine a pieno diritto, almeno formalmente: un diritto conquistato proprio con la loro partecipazione alla Resistenza e poi esercitato subito, con il voto e con la partecipazione attiva all’Assemblea Costituente. Il voto alle donne – presupposto fondamentale di qualsiasi democrazia – rappresenta concretamente il riconoscimento di un diritto che le donne si sono guadagnate: sia per la loro centralità nella società e nella famiglia; sia per il loro impegno e sacrificio nel porre le premesse per un’Italia diversa e migliore.
Come afferma il 1° ottobre 1945 Angela Guidi Cingolani – membro della Consulta Nazionale – nel primo intervento di una donna nell’aula di Montecitorio, “l’impostazione del nostro diritto alla partecipazione attiva alla vita politica italiana fu proprio basata sulla rinnovata dignità della donna, maturata attraverso l’opera di assistenza e di resistenza, non naturalmente come premio della nostra buona condotta, ma come riconoscimento di un diritto della donna rinnovata nel dovere e nel lavoro”.
Eppure è un riconoscimento quasi clandestino, con il decreto luogotenenziale del 31 gennaio 1945, subito rimosso dal dibattito politico; e contiene un lapsus freudiano, poiché in un primo momento riconosce alle donne solo l’elettorato attivo e non anche quello passivo. Possono essere elettrici, ma non elette; quasi a sottolineare – anche se l’errore viene corretto – le difficoltà che altresì nel secondo Risorgimento e dopo accompagnano la lunga marcia delle donne verso una cittadinanza compiuta.
L’accesso delle donne alla cittadinanza politica – al pari della loro partecipazione alla Resistenza – rappresenta una svolta radicale nella storia e nel percorso unitario del nostro paese, ed un contributo fondamentale per determinare i caratteri della democrazia italiana.
La prima testimonianza di quel contributo è l’affluenza elevatissima delle elettrici ai seggi, nel 1946: nel marzo e aprile, per le elezioni amministrative; il 2 giugno, per il referendum e l’elezione dell’Assemblea Costituente (votano 14.600.000 donne e 13.350.000 uomini). Soltanto 21 donne vengono elette, il 4% dell’Assemblea su 556 componenti: insegnanti, giornaliste, una sindacalista, una casalinga, di provenienza politica diversa; tutte con un forte impegno e capacità, come si evince dai loro interventi nella c.d. Commissione dei 75 (di Angela Gotelli, Maria Federici, Nilde Jotti, Lina Merlin) e in Assemblea (di Angela Cingolani, Nadia Spano, Teresa Noce, Maria Maddalena Rossi).
Il testo costituzionale riconosce la parità fra i sessi nella sfera pubblica con gli articoli 3, 37 (con la specificazione della essenzialità della funzione familiare della donna), 48 e 51; limita la parità nella sfera della famiglia, a garanzia dell’unità di quest’ultima; rinunzia ad affermare l’indissolubilità del matrimonio. Proprio Maria Federici sottolinea, in Assemblea plenaria, come “fra pochi anni dovremo meravigliarci….. per aver dovuto sancire nella Carta Costituzionale che a due lavoratori di diverso sesso, ma che compiono gli stessi lavori, spetti un’eguale retribuzione…. e che le condizioni di lavoro, per quanto riguarda le donne, debbano consentire l’adeguamento alla sua essenziale funzione familiare e materna”.
Grazie al contributo femminile, la Costituzione non si limita a registrare la condizione in cui le donne vivono, ma – “presbite” quale è – ne anticipa il futuro, offrendo un supporto tuttora attuale alle loro battaglie. La Costituzione mantiene aperta la via per la piena conquista dei diritti civili e politici da parte delle donne, avviata da un’Assemblea costituente non sempre favorevole; anzi, talvolta incerta, quando non ostile al contributo femminile. Si pensi al rifiuto di ammettere le donne in magistratura, nonostante l’appassionata perorazione di Maria Federici e di Maddalena Rossi.

5. La via tracciata dalla Costituzione per l’eguaglianza e la conquista dei diritti della donna è lunga e faticosa, ed è percorsa solo in parte, attraverso una serie di interventi legislativi e giurisprudenziali (sopratutto della Corte Costituzionale), in sinergia fra di loro. E’ opportuno quindi richiamarne per cenni le tappe più significative, per evidenziarne i risultati nei primi sessanta anni di vita repubblicana, conseguiti sopratutto grazie alla tenacia ed all’impegno delle donne.
Altro e diverso discorso è, ovviamente, quello dell’attuazione concreta ed effettiva di quei diritti. Infatti, non si può ridurre la condizione femminile, semplicisticamente, soltanto alla vittima di un’ingiustizia maschile che le disconosce i propri diritti; e che perciò può essere rimossa limitandosi ad attuare una politica dei diritti e ad offrire una risposta del diritto, per quanto necessaria.
Così facendo, si finirebbe per sopravvalutare quanto il diritto può dare; per conseguire un equilibrio tanto formale quanto illusorio fra donna e uomo, nella logica (a tutto concedere) di un paternalismo illuminato. Ma si finirebbe per sottovalutare le persone, le loro risorse e potenzialità. Si finirebbe per sottovalutare il valore profondo della diversità, della preziosità e della ricchezza della condizione femminile: una condizione che non può essere risolta e annullata né in una subordinazione ed inferiorità nei confronti del maschio, né al contrario in una omologazione forzata ed apparente ad esso.

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