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La questione femminile a 150 anni e oltre dall’Unità d’Italia*

di - 7 Luglio 2012
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2. La presenza femminile nel primo Risorgimento ha dei precedenti illustri nei fermenti rivoluzionari di fine ‘700: prima fra essi la Déclaration des droits de la femme e de la citoyenne di Olympe de Gouges nel 1791. E’ un testo importante per la genesi dei diritti delle donne; affronta – come reazione alla Déclaration des droits de l’homme e du citoyen – le contraddizioni del concetto rivoluzionario di eguaglianza nel confronto fra uomini e donne.
Questa prospettiva si riflette nelle rivendicazioni delle patriote italiane di fine ‘700, per un riconoscimento pieno dei loro compiti non solo di madri, ma di educatrici, titolari quindi di un diritto all’istruzione. Sono emblematiche le figure di Eleonora De Fonseca Pimentel, esponente della cultura, patriota e combattente, direttrice del “Monitore napoletano”, impiccata dai Borboni a Napoli nel 1799; e di Luisa Sanfelice de Molina, giustiziata nel 1800 con l’accusa di essere stata protagonista del fallimento di una congiura contro la Repubblica Partenopea. Esse non esauriscono il contributo di idee, di azioni, di presenza femminile nel triennio repubblicano e giacobino del nostro paese, fra il 1796 e il 1799: un contributo con cui molte donne, rimaste sconosciute, si batterono per rivendicare la propria dignità e libertà, i propri diritti nell’istruzione e nella successione, oltre al modello della dedizione virtuosa alla famiglia ed all’educazione dei figli.
L’iconografia politica del Risorgimento è declinata al femminile. La personificazione della patria (donna e madre che soffre: “si bella e perduta”, come è cantata nel Nabucco di Verdi) non giustifica peraltro lo stereotipo della donna come patriota soltanto perché sostiene marito e figli nella lotta, o della madre dolorosa e piangente. Le donne partecipano al Risorgimento come protagoniste, con un ruolo attivo, patriote esse stesse; la presenza femminile nei moti risorgimentali si manifesta a largo raggio, in tutti gli ambienti sociali e in tutte le regioni italiane. Quella presenza riveste un duplice significato: per l’Italia, il contributo delle donne alla lotta per l’unità è determinante; per le donne, quel contributo è fondamentale per uscire dalla casa, dalla famiglia, dal privato ed assumere un ruolo pubblico, non più marginale.
Penso all’appello alle donne romane da parte del Comitato Centrale delle Ambulanze della Repubblica Romana ed al successivo invito a organizzarsi per l’assistenza ai feriti nel 1849 (da parte di Enrichetta Pisacane, Cristina di Belgioioso e Giulia Bovio Paolucci); alla Legione delle Pie Sorelle palermitane del 1848; al ramo femminile della Carboneria, nato nel 1821, in cui le affiliate si chiamano Giardinere ed occultano i loro incontri con il parlare di fiori e giardini; al monito di Giacomo Leopardi “Donne da voi non poco/ la patria aspetta”.
Nel corso del primo Risorgimento la figura femminile e il suo ruolo nella società si trasformano progressivamente: dall’immagine stereotipata di donne chiuse nell’ambiente domestico e regine della casa a donne d’azione combattenti e a raffinate intellettuali; le “sorelle d’Italia”. Le donne appartenenti all’aristocrazia e alla borghesia divengono protagoniste della vita letteraria, ma anche partecipi dell’impegno patriottico insieme alle donne del popolo che, invece dei salotti, si formano alla politica nella scuola della strada, del cortile, del mercato e del lavatoio.
Le donne sono attive e presenti nella Repubblica Romana del 1849, ove è particolarmente avvertito lo scandalo delle donne in armi; nelle Cinque Giornate di Milano e nella rivolta di Venezia; con i Mille di Garibaldi; a soccorrere i feriti sui campi di battaglia e a testimoniare le vicende risorgimentali nella cronaca giornalistica. E’ Carlo Cattaneo a ricordare che tra i caduti delle Cinque Giornate di Milano vi sono levatrici, ricamatrici, modiste “e tra quelle che si dicono alla rinfusa cucitrici, alcune giovanette”; ed a stupirsi perché “grande più che non si crederebbe fu il numero di donne uccise”.
Figure come quelle di Colomba Antonietti, Cristina Belgioioso, Adelaide Bono Cairoli, Margaret Fuller, Anita Ribeiro Garibaldi, Clara Maffei, Antonia Masanello, Rosalie Montmasson, Sara Nathan, Adelaide Ristori, Giuditta Tavani Arquati, Jessie White Mario (ma l’elenco potrebbe continuare a lungo), testimoniano la presenza femminile nel primo Risorgimento.
Una presenza di diverso segno è testimoniata dal protagonismo di altre donne nell’esplosione drammatica, subito dopo l’unificazione, di un’altra questione che ha segnato e segna tuttora il nostro percorso unitario: la questione meridionale aperta dal c.d. brigantaggio, vera e propria guerra civile. Le “donne dei briganti” partecipano a quest’ultima dividendosi tra la vita familiare e la lotta armata, l’assistenza da casa al proprio uomo latitante e la condivisione della clandestinità e della lotta. Sono partigiane ante litteram, antesignane di un femminismo e di un ribellismo nei quali reazioni legittimiste, rivendicazioni sociali, legami affettivi e familiari, manifestazioni di malavita si intrecciano in una lotta e in una repressione sanguinose ed efferate, segnate da una presenza femminile tanto numerosa quanto dimenticata, se si eccettuano pochi nomi: come quelli – riscoperti da recenti indagini – di Giuseppina Vitale, Chiara Di Nardo, Rosaria Rotunno, Mariannina Corfù, Maria Pelosi, Filomena Di Pote, Maria Maddalena De Lellis. Nomi e storie che varrebbe la pena di approfondire e che è giusto ricordare.
Il ritorno alla quotidianità e il desiderio di normalità, all’indomani dell’unificazione – come accadrà anche per la Resistenza – attenuano, se non addirittura fanno scomparire la memoria storica delle donne nella vicenda risorgimentale, sottraendole – tranne poche eccezioni – alla divulgazione ed al ricordo dei grandi protagonisti (quasi tutti ricordati perché uomini).
La quotidianità e la normalità segnano l’avvio del lungo cammino verso l’emancipazione, attraverso diverse tappe. Esse sono le prime esperienze di lavoro femminile nel terziario (uffici postali, ferrovie, telegrafo), a partire dal 1863; il venir meno nel 1899 del nubilato come condizione necessaria per l’assunzione; la lotta per il suffragio femminile e per un nuovo diritto di famiglia, che preveda l’eguaglianza dei coniugi nel matrimonio, con una proposta di legge del 1867 sulla parità; la legge del 1877 che riconosce alla donna la capacità di testimoniare; i miglioramenti progressivi nelle condizioni di lavoro delle donne e lo sviluppo del loro impegno, culminato nell’ingaggio in fabbrica durante la guerra del ’15-’18, per sostituire gli uomini chiamati alle armi.
E’ un cammino faticoso, segnato dal maturare della consapevolezza del ruolo di lavoratrici e dalle prime rivendicazioni sindacali da parte delle donne. Penso, per tutte, alle figure delle lavoratrici del tabacco e delle mondine. Penso all’immagine del “Quarto Stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo in cui, accanto ai due contadini che precedono la folla come avanguardie del movimento, si staglia la figura – emblematica e sullo stesso livello – di una donna con un bambino in braccio: una partecipazione alla vita sociale ed alle lotte che essa comporta, senza rinnegare l’essere donna e madre.

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