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Alcune recenti tendenze del diritto amministrativo*

di - 27 Giugno 2012
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21.- Sul piano organizzativo si nota in primo luogo che il panorama delle strutture pubbliche si è andato appesantendo e complicando nel tempo: la selva, ormai pressoché inestricabile, dei centri decisionali e dei centri operativi comporta necessariamente la frammentazione delle competenze, con doppie conseguenze negative: l’elefantiasi dell’amministrazione, con i relativi costi,e il disordine delle competenze, con le relative inefficienze.
Il legislatore assume un ruolo da vero illusionista quando lancia istituti quali l’autorizzazione unica o lo sportello unico.
Che cos’è l’autorizzazione unica? Si dovrebbe ritenere sia un provvedimento, che, unitariamente, ne sostituisce molti altri, tutti quelli necessari per conseguire un determinato obiettivo. Non è così! E’ soltanto l’esternazione congiunta di una serie di provvedimenti, ciascuno dei quali deve essere adottato, di norma da un centro decisionale diverso, a conclusione del suo procedimento. Di unitario c’è solo l’esternazione: un elemento di mera forma.
Che cos’è lo sportello unico? E’ un ufficio che da solo istruisce, valuta e decide? No! E’ semplicemente l’ufficio che raccoglie le valutazioni e le decisioni di tutti gli uffici tra i quali sono distribuite, o, meglio, disperse, frazioni di competenze.
Si tratta di istituti che, nella normalità dei casi, non servono a ridurre i tempi, e spesso finiscono per allungarli.
Recentemente, con l’art. 43 d.l. n. 78 del 2010, il legislatore si è “inventato” anche le “zone a burocrazia zero”. Non sappiamo ancora se tale istituto funzionerà. La Corte costituzionale ha affermato che lo Stato può istituire tali “zone” soltanto per le materie di sua competenza, non per quelle di competenza regionale. Già questa limitazione rende difficile che il nuovo istituto possa decollare.
Quali sono le strade alternative da percorrere?
A mio avviso occorre sfrondare, per quanto possibile, la selva dei centri decisionali, ridurre al minimo il frazionamento delle competenze tra centri operativi diversi, configurare procedimenti amministrativi unitari, o stretti collegamenti tra procedimenti, in modo che possa essere raggiunto il risultato utile, possa essere realizzata l’“operazione” amministrativa, nel modo più semplice e con il minor spreco di tempo e di risorse.
Il modello è già presente nell’ordinamento: è la conferenza di servizi. Ove, o quando, non si riesca ad accorpare le competenze e ad unificare i procedimenti, la strada migliore è quella della conferenza di servizi; la quale dovrebbe diventare il modo assolutamente generale dello svolgimento delle attività amministrative complesse.
D’altronde, la “crescita” della conferenza di servizi, e il continuo perfezionamento della sua disciplina (si pensi al superamento, prima, del dissenso parziale; poi, al superamento dell’inerzia di alcune delle amministrazioni partecipanti; ancora, alla inclusione dei privati tra i partecipanti), dimostrano che è l’unico istituto che contribuisce, e può ulteriormente contribuire, a risolvere il problema della efficienza dell’amministrazione; nel senso, appunto, che le diverse competenze vengono coordinate ed esercitate congiuntamente.

22.- In prospettiva, gli obiettivi sono: la progressiva semplificazione delle strutture organizzative pubbliche (che si sono andate complicando con il passaggio dei decenni), una disciplina più rigorosa del lavoro pubblico, una più intensa attenzione al risultato nella configurazione dei modi di agire dell’amministrazione.
L’attenzione al risultato comporta, come sua premessa logica, che non si consideri più l’attività dell’amministrazione in modo atomistico, ossia provvedimento per provvedimento, procedimento per procedimento, ma si arrivi a una considerazione unitaria di tutta l’attività amministrativa che serve perché sia realizzato l’interesse pubblico.
Mi sembra utile rammentare, a questo proposito, che gli interessi pubblici, all’inizio, erano oggetto di valutazioni separate e indipendenti, anche se concernevano un medesimo obiettivo da raggiungere. Successivamente dalla valutazione, per così dire, atomistica, si è passati alla loro valutazione congiunta: la spinta più forte in questa direzione l’ha impressa Giannini, con la sua teoria dell’interesse primario e degli interessi secondari, e con la elaborazione della nozione di interesse pubblico concreto, inteso come la risultante di tutti gli interessi pubblici coinvolti.
Il passo ulteriore comporta che l’interesse pubblico concreto, la cui soddisfazione costituisce lo scopo dell’azione amministrativa, non è la risultante algebrica dei soli interessi pubblici; è la risultante della valutazione degli interessi pubblici e, insieme, degli interessi privati. Come già si trova affermato da Gian Domenico Romagnosi nella prima metà del secolo diciannovesimo.
Un’ultima considerazione. Finora ci siamo occupati di (future e sperate) modificazioni delle regole e di riforme dell’apparato organizzativo. Questa è soltanto la prima tappa, ed è anche la più facile; la tappa successiva è molto più dura: si tratta di aumentare le risorse, quanto meno, di razionalizzare la loro distribuzione e il loro utilizzo.
Soprattutto si tratta di cambiare la mentalità dei funzionari, che devono trasformarsi da occhiuti dispensatori di ostacoli in solerti aiutanti di chi necessita dell’intervento dell’amministrazione: devono acquisire spirito di servizio e atteggiamento collaborativo.
Altrimenti il diritto ad una buona amministrazione, solennemente affermato anche in sede europea, non può che restare sulla carta; e le imprese estere, come è stato più volte avvertito, preoccupate dello stato e dell’atteggiamento dell’amministrazione (oltre che dei tempi della giustizia) continueranno a non investire in Italia.

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