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Alcune recenti tendenze del diritto amministrativo*

di - 27 Giugno 2012
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5.- Quanto alla privatizzazione del rapporto di lavoro, è in primo luogo da porre in evidenza una conseguenza, probabilmente non voluta (e forse nemmeno prevista), che essa ha determinato sul piano costituzionale, ossia la totale elisione della competenza legislativa regionale in materia di disciplina del rapporto di impiego con la Regione e con gli enti regionali.
Trasferita sotto l’usbergo della materia “ordinamento civile”, la disciplina del rapporto d’impiego con tutti gli enti pubblici è stata tolta alle Regioni e trasferita allo Stato.
Trascurando altre (tutt’altro che marginali) complicazioni, connesse con lo spostamento della giurisdizione sulle controversie di lavoro dal giudice amministrativo al giudice ordinario, mi limito a rilevare che, sul piano dei costi economici, la privatizzazione ha comportato un’altra conseguenza che, probabilmente, non era stata adeguatamente valutata: la regola della stipulazione dei contratti individuali di lavoro ha comportato che i dipendenti (in genere, delle alte fasce dirigenziali) che, per meriti propri, per meriti dei loro predecessori, o per amicizie altolocate, hanno un forte potere contrattuale, hanno potuto ottenere trattamenti retributivi di misura sproporzionata rispetto alla generalità dei dipendenti pubblici, come si è appreso solo recentemente dalla stampa; retribuzioni che, con scarsissima giustificazione, hanno raggiunto e superato il doppio del trattamento del Primo Presidente della Corte di Cassazione, tradizionalmente al vertice della piramide del personale pubblico.
Si sono in tal modo realizzate sperequazioni ed ingiustificate difformità di trattamento che fanno rimpiangere il vecchio, rigido ma razionale, ordinamento per gradi dell’impiego statale.

6.- Questo entusiasmo per le discipline, o le tecniche, privatistiche ha trascurato di valutare con la dovuta attenzione, a mio avviso, due argomenti fondamentali.
Il primo è il seguente: un soggetto privato è (può essere) veramente tale se può effettivamente autofinanziare la propria attività (in particolare, la propria attività imprenditoriale). Si badi che il problema non attiene all’apporto di risorse pubbliche al capitale di società private, elemento che, nel 2003, ha preso in considerazione la Corte costituzionale ai fini del controllo della Corte dei conti, e che (forse) può giustificare la responsabilità contabile degli amministratori; attiene alla corrispondenza tra costi e ricavi impiegati e provenienti dall’attività espletata, all’equilibrio del bilancio: se non è concretamente possibile, per i caratteri propri (naturali o giuridici) dei (di alcuni) servizi pubblici, che tale circolo virtuoso si realizzi, ossia che il soggetto privatizzato ricavi dall’espletamento dell’attività che svolge il suo finanziamento, credo che non vi sia il presupposto di fatto (economico) perché sia razionalmente giustificabile la privatizzazione dei soggetti gestori di servizi pubblici.
Allo scopo di illustrare adeguatamente il quadro, conviene soffermarsi sulla esperienza concreta della c.d. esternalizzazione dei servizi pubblici locali, con il loro affidamento a società per azioni a partecipazione pubblica. Ove si tenga conto dello stato in cui esse, nella loro maggioranza, versano, si può affermare che le società di gestione, a partecipazione pubblica, sono servite semplicemente, o almeno per lo più, per consentire di assumere dipendenti senza concorso, per moltiplicare i rapporti di consulenza, e per chiamare come amministratori personaggi appartenenti, in un modo o nell’altro, al mondo politico e per retribuirli adeguatamente.
Ancora meno rassicurante in concreto, oltre che assai poco giustificabile in astratto è la c.d. esternalizzazione di vere e proprie funzioni pubbliche, sia da parte dello Stato sia da parte di Comuni; fenomeno che ha conosciuto un periodo di grande successo, a volte per opera altre volte fuori dalle previsioni del legislatore, con conseguenze negative, in alcuni casi catastrofiche, sulla spesa pubblica, determinate dall’aumento esponenziale del personale addetto, dato che i dipendenti, statali o comunali, addetti all’espletamento delle funzioni esternalizzate non sono stati (tutti) trasferiti alle società né sono stati licenziati.

7.- Il secondo argomento che desidero affrontare è il seguente: il consenso, l’accordo tra i portatori degli interessi coinvolti in una determinata vicenda di dinamica giuridica, è una strada indubbiamente di grandissimo prestigio, costituisce in via generale il modo ottimale della produzione giuridica, ma essa è percorribile da parte dei poteri pubblici soltanto a due condizioni: la prima è che si dia piena soddisfazione agli interessi delle controparti private con cui l’amministrazione si trova a negoziare, o che queste siano disposte a rinunciarvi. Tanto è sufficiente per escludere dall’attività consensuale l’intera categoria degli interventi ablatori.
Tuttavia anche in relazione agli interventi pubblici favorevoli per gli interessi privati si pongono problemi di non facile soluzione: bisogna infatti rinunciare al rispetto del principio della imparzialità dell’amministrazione, perché, nel caso (normale) che siano più di uno i privati i cui interessi possono essere soddisfatti dall’accordo con l’amministrazione, se ne deve comunque scegliere uno; si è costretti quindi, per ragioni di giustizia distributiva, a recuperare forme e regole tipiche del diritto pubblico.
Se tutto ciò non viene tenuto in considerazione, non si realizza affatto l’estensione del diritto privato all’amministrazione pubblica, ma si crea una sorta di diritto misto (o ambiguo), o, se si preferisce, di diritto speciale, che in realtà è un diritto soltanto simile al diritto privato vero e proprio, in quanto qualificato dal forte innesto di istituti pubblicistici.
E’ utile una simile traiettoria? L’esperienza degli accordi procedimentali sembra dimostrare il contrario: essi sono sostanzialmente rimasti sulla carta.
Io credo che la strada consensuale sia tecnicamente possibile ed utilmente percorribile solo quando è l’amministrazione a doversi assicurare la collaborazione dei privati, come si verifica nel caso dei contratti pubblici; ma, in questo caso, sarebbe opportuno discostarsi il meno possibile dalla disciplina generale dei singoli contratti: di quel tanto che consenta il rispetto dei principi che reggono, per disposto costituzionale e per diritto europeo, l’attività della pubblica amministrazione.

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