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Il Giustiniano del Professor Casavola*

di - 26 Giugno 2012
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Con una prospettiva di questo genere mi trovo in speciale sintonia, ‘per fatto personale’. Essa è di conforto al modo in cui io stessa ho considerato l’insieme delle costituzioni che aprono la com­pilazione: come una sorta di manifesto programmatico. Anche se al conforto, confesso, è frammisto il sollievo che si tratti di un inedito; diversamente, il mio, di Giustiniano, forse (non esagero) non a­vrebbe visto la luce.
Ma la sintonia, mi scuso per l’autocitazione, non credo mi faccia forzare l’impostazione di Casavola. Non si tratta di una singola affermazione che estrapolata dal contesto viene caricata di un significato che potrebbe non avere. La collocazione in apertura di queste frasi, la loro stessa formu­lazione ne attestano un ruolo centrale in quanto si verrà poi sostenendo. È una dichiarazione preli­minare di intenti, una chiave di lettura offerta a chi voglia seguire il ragionamento. Contestualmen­te, comporta la necessità di sgombrare il campo da altre, e più condivise, prospettive di indagine. E viene esplicitamente menzionato il “criterio seguito da alcuni autori” interessati soprattutto al modo di procedere nei lavori ‘codificatori’. Non è quanto Casavola cerca nelle testimonianze compilato­rie, in specie nelle tre costituzioni messe al centro della analisi. Alla compilazione egli si avvicina appunto alla ricerca della idea che la sostiene.
Non solo. Pur nella succinta enunciazione, a me pare che della nuova prospettiva si diano an­che altri segnali. Applico ad essi parole usate dall’autore per i lavori sui giuristi e che ho appena ri­cordate: vi si può cogliere “una linea metodica diversa da quelle comunemente sperimentate”. Ne farò subito cenno. Ma voglio premettere che dietro il fascicolo — ne sono convinta — stanno uno studio ben più ampio, una meditazione approfondita, che non hanno trovato, né qui, né (mi sembra) al­trove, intera espressione.
La lettura del nostro ciclostilato ha risvegliato in me una sorta di eco: qualcosa che mi è oc­corso di ascoltare due o tre anni fa dallo stesso Casavola e che ora capisco meglio, anche nella im­plicazione del tanto lavoro che traspare.
In una presentazione che egli ha avuto la gentilezza di fare al secondo volume della mia ricer­ca su Giustiniano, la sua conoscenza di queste costituzioni mi era apparsa così puntuale, così ponde­rata che ne serbo speciale ricordo: una valutazione ‘dal di dentro’, tale da sorprendere pur cono­scendo la cultura di Casavola. Ben al di là di un corredo della memoria che tali testi rappresentano per i romanisti, era qualcosa di diverso anche dalla frequentazione ravvicinata per uno studio speci­fico.
Era un vero e proprio dialogo con Giustiniano, quello a cui assistevamo. Casavola lo intesseva con qualche scarno appunto e senza bisogno di testi sottomano: trascorrendo in un filo unitario da una costituzione all’altra e circolarmente tornando soprattutto a Deo; citando parola per parola il di­re dell’imperatore; interpretandone gli intendimenti.
Oggi, potendo collegare le inedite lezioni partenopee di Esegesi e il ‘dialogo con Giustiniano’ cui ho avuto la ventura di assistere, vorrei esprimere con una metafora la sensazione che ne traggo: che nel fiume delle ricerche di Casavola questo pur importante affluente sia stato attentamente e­splorato, ma senza poi arrivare a una mappatura conclusiva. Fortuitamente? Volontariamente? Im­possibile per me avanzare anche solo una ipotesi.
Mi limito a trasmettere piuttosto i segnali di cui dicevo. In breve, a causa del tempo a disposi­zione, ma anche dell’essere per lo più indicazioni. L’ambito non consente all’autore di svilupparle, anche se le avvalora costantemente con testimonianze e considerazioni che non posso ora richiama­re.
Il filo conduttore che Casavola, alla ricerca della idea-forza della compilazione, sembra indi­viduare nei testi è l’auctoritas imperiale. Auctoritas che implica considerazione identica per lettera­tura giurisprudenziale e per testi legislativi, ambedue “egualmente soggetti” ad essa. Auctoritas che risulta unico metro di autenticità (“autentico per Giustiniano tutto e solo ciò che può essere riferito” ad essa): un criterio “incomprensibile, per noi”, la cui “giustificazione scientifica” si trova nella tra­sformazione propter utilitatem rerum. Auctoritas che in certo senso fonda perfino il riconoscimen­to da parte di Casavola di brani, o anche di testi, come “opera personale dello stesso Giustiniano”; nessun altro, osserva, “avrebbe osato scrivere” così, su generali ed eserciti, guerra e pace, status della res publica, perfino su Dio stesso e sul suo intervento. Auctoritas che appunto si collega alla “auctoritas divina”: da cui deriva, cui è subordinata.
A questa costante presenza della divinità Casavola dà grande rilievo. Dalla “funzione” del di­ritto, “realizzare, in terra, la dispositio divina” come “giusto ordine di tutti gli elementi”, egli trae la propria conclusione che “alla base dell’opera compilatoria c’è innanzi tutto un motivo di ordine teo­logico”. Nella formulazione ripetuta che solo “l’aiuto divino” può far realizzare l’impresa, coglie una vera convinzione; la lègge come “espressione sincera e passionale di un credente in Dio”. Inve­ce rimane fuori del suo orizzonte di ipotesi che a questa fede ritenuta autentica — gli interessi giusti­nianei per la teologia sono noti, cosi come la conoscenza del relativo “linguaggio” — possa quanto­meno intrecciarsi un accorgimento politico (una compilazione realizzata per volontà di Dio risulta sottratta alle critiche).
Peculiare è anche il punto di vista secondo cui Casavola guarda all’intervento sull’ordinamento didattico universitario da parte di Giustiniano (oltre Deo che con “una certa si­curezza” può dirsi “opera personale” dell’imperatore, anche Omnem, che ne condivide “identità sti­listiche” e “metafore simili”, gli “può essere attribuita”). Ne “emergono”, egli nota, “due prospetti­ve”: “l’una normativa”, come “costituzione […] di un corpo unitario, coerente, utile ai bisogni dell’applicazione del diritto”; “l’altra”, invece, “riguardante l’insegnamento del diritto”. Se la normazione imperiale in questo campo non può ritenersi una novità, ora non solo risulta “maggiore” l’attenzione ma è presente un profilo “ignoto nell’età classica”.

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