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Le liberalizzazioni tra libertà e responsabilità*

di - 5 Giugno 2012
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Il liberalismo appare dunque funzionale alla realizzazione di una democrazia sostanziale e resiste al tentativo di essere risolto nella semplice regola di democrazia formale; e tuttavia non riesce, e forse neanche potrebbe, sopprimere ogni funzione dello Stato. Sebbene l’intero secolo passato appaia segnato, sia pure con accenti diversi a seconda dei periodi storici in cui si articola, da un gigantesco processo di dilatazione dello Stato che ha letteralmente invaso la struttura delle società moderne, burocratizzando e deformando non solo i rapporti sociali ed economici ma anche quelli politici,  nell’ultimo quarto di secolo questa tendenza si inverte e lascia il posto ad una politica di drastica riduzione (non certo di totale eliminazione) della enorme quantità delle regolamentazioni politico-statuali: è l’era della deregulation e delle semplificazioni.
È interessante osservare che la tendenza istituzionalizzatrice, la quale conferma una forte presenza dello Stato nella regolamentazione dei rapporti e delle situazioni giuridiche, si afferma esattamente quando lo Stato moderno si trasforma in Stato Sociale; e proprio quando accade l’inverso, ai nostri giorni, quando cioè quest’ultimo comincia a dare segni di crisi profonda, prende avvio l’opposta tendenza alla destatalizzazione.
Ma questo non deve stupire. È noto che le istituzioni e gli status somministrano identità, offrono all’individuo il rassicurante orizzonte della regola iuris; quando lo Stato arretra, quando lo status lascia spazio allo strumento negoziale, l’individuo è più libero, ma più solo, più autonomo ma più indifeso, meno assistito ma più responsabile.
La crisi dello Stato sociale è oggi sotto gli occhi di tutti da tempo, e forse in Italia non si è ancora a pieno manifestata: le incertezze individuali delle nuove generazioni dominano gli orizzonti collettivi.
Arretra lo Stato e avanza l’individuo, sospinto dalle leggi a ricercare nel cuore del liberalismo democratico la ragione e la forza per la partecipazione ad un progetto di crescita sociale ed economica, motivo e ragione, per dirla come un raffinato giurista di oggi appena celebrato, Paolo Grossi, per la condivisione solidale di un progetto di salvezza delle nostre società.
Le liberalizzazioni oggi non possono avere un senso molto lontano da quella storica radice di libertà e di democrazia sostanziale che ha consentito di conservare integri fino ai nostri giorni i valori del liberalismo e del liberismo economico.
Quando in Italia si comincia a liberalizzare si parla un linguaggio europeo. L’Europa nasce, sin dal Trattato istitutivo sul finire degli anni ’50, su progetti informati a istanze liberali. Le prime liberalizzazioni vengono accompagnate da misure di deregulation o di privatizzazione: ma né le une né le altre costituiscono di per sé attività liberalizzatrice. Certo, la liberalizzazione, come processo che restituisce all’individuo una libertà prima avocata dallo Stato, presuppone una deregulation cioè una eliminazione o una riduzione di quelle disposizioni che garantivano privilegi, monopoli, diritti speciali, protezionismi; ma non richiede, come già osservato e come ancora vedremo, la eliminazione di ogni regola; può prevedere privatizzazioni, misure cioè atte a trasformare enti e imprese pubbliche in società per azioni disciplinate dal diritto privato, ma è compatibile con la esistenza di enti pubblici economici e con la gestione pubblica di talune attività essenziali per la collettività.
La liberalizzazione infatti non è assenza di regole, semmai codificazione di principi e di direttive liberali che disegnano i contorni entro i quali le libertà individuali possono esercitarsi. Esse convivono con la permanenza di un sistema di regole e di controlli necessari proprio per garantire la concorrenza degli operatori economici, l’accesso al mercato, la qualità dei prodotti e dei servizi, la formazione di un prezzo giusto, la tutela del consumatore ed in specie della sua libertà di scelta che – come ormai è riconosciuto – è parte integrante della tutela della concorrenza.
Il Trattato di Roma disegna la formazione di un mercato unico attraverso la individuazione di tre strumenti normativi. Con il primo di tali strumenti vengono disciplinate le c.d. quattro libertà di circolazione: l’art. 14.2 stabilisce che il mercato europeo comporta uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali; gli artt. da 43 a 50 garantiscono il diritto di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio dell’Unione e la libertà di prestazione di servizi ai cittadini comunitari stabiliti all’interno dell’Unione stessa.
Con il secondo di tali strumenti normativi viene disciplinato il mercato e vengono sanzionate le intese restrittive della concorrenza, gli abusi di posizione dominante a cui si è aggiunta di recente la repressione delle pratiche commerciali scorrette.
Con il terzo strumento si stabilisce il divieto di aiuti di Stato (art. 87), sul quale la Corte di Giustizia vigila con particolare attenzione.
È ancora l’Unione europea, sempre intorno agli anni ’90, a dare impulso alla liberalizzazione dei servizi pubblici, settore in cui prevalevano in tutti gli Stati membri mercati monopolistici spesso gestiti dallo Stato stesso e non ancora pienamente riconvertiti ad un mercato concorrenziale.
La necessità di regole che accompagnano il processo di liberalizzazione è inoltre confermata dalla istituzione di organismi di garanzia indipendenti dal potere politico, sorti con scopi di controllo e di vigilanza sulle attività economiche e di garanzia del rispetto delle regole, dotati di poteri precettivi di regolazione e sanzionatori, concepiti anche in funzione di presidio per consumatori e utenti (di tale duplice tutela è testimonianza quell’indirizzo giurisprudenziale che assegna all’illecito concorrenziale natura plurioffensiva): si tratta, come è noto, dell’Antitrust in particolare, ma anche del Garante per le comunicazioni, dell’Autorità per l’energia elettrica e per il gas, del garante per i servizi idrici, nonché di quella istituenda sui trasporti che il decreto legge sulle liberalizzazioni ha previsto nell’art. 36.

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