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La dismissione del patrimonio immobiliare e la foresta di Sherwood.*

di - 11 Maggio 2012
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*Rielaborazione dell’intervento svolto al convegno “La liberalizzazione delle attività economiche”, Università degli Studi Roma TRE – Facoltà di Economia “Federico Caffè”, 2 Marzo 2012.

E’ noto come Giovanni Senza Terra abbia cercato ogni modo di sbarazzarsi di Robin Hood. Quello a cui non ha mai pensato è di vendere la foresta di Sherwood.
Ogni volta che si tratta di liberalizzazioni e di semplificazioni, si affronta il tema dei beni pubblici. La ragione è abbastanza chiara. L’inclusione della disciplina dei beni pubblici nelle ultime riforme mira certamente in primo luogo alla dismissione degli stessi, e quindi risponde all’esigenza di ridurre il disavanzo dello Stato. Non a caso l’intervento principale si è avuto nella legge di stabilità. Ma in secondo luogo si mira a valorizzare i beni e renderli utilizzabili per lo sviluppo del paese, e questo spiega perché l’ultimo intervento si abbia nel d.l. oggi al Senato per la conversione “per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività” sebbene, quasi ironicamente, sia rivolto ad incoraggiare i giovani a intraprendere un’attività agricola.
Questo breve intervento, dopo una breve ricostruzione delle modifiche intervenute in questi ultimi anni, cercherà di verificare in quale direzione vadano gli ultimi interventi.
Negli ultimi venti anni si possono infatti identificare tre importanti rivoluzioni rispetto al modello dei beni pubblici tramandato dal codice civile e a tutti noto.
In primo luogo è diventato vulgata che le distinzioni tra le categorie dei beni demaniali e dei beni patrimoniali non rispondano a criteri razionali, non siano più attuali e nella pratica questa confusione sia stata funzionale a perseguire una tutela molto forte nei confronti di questi beni. Beninteso, la critica risale fino a Guicciardi (visto che già la classificazione era già giudicata irrazionale con riferimento al codice del 1865), e la fondatezza della critica è funzione della prospettiva dalla quale si cerca di esaminare la vicenda della demanialità.
In secondo luogo è stato avviato il processo di dismissione del patrimonio immobiliare, mediante il fenomeno della cartolarizzazione, e quindi con la cessione di beni a società che, anticipato all’ente conferente parte dell’importo corrispondente al valore del bene, avrebbero emesso titoli destinati a circolare.
In terzo luogo è stato previsto il cd. federalismo demaniale, all’interno di un supposto processo di federalizzazione dello Stato, con l’idea di trasferire beni agli enti locali e alle Regioni, per la loro valorizzazione o dismissione con la regola, è bene ricordarlo, del transito di norma automatico, dei beni dal regime demaniale e patrimoniale indisponibile al regime patrimoniale disponibile[1].
Tre conseguenze, legate a queste riforme: la categoria demaniali/indisponibili non sembra più presa seriamente dal legislatore, il quale non si fonda più sulla distinzione, e comunque non sembra interessato a distinguere la diversa portata delle nozioni. Gli esempi sono molteplici, a mo’ di battuta si pensi anche solo all’art. 119 novellato che si riferisce al Patrimonio degli enti locali, dello Stato e delle Regioni, senza nulla dire del demanio (che era correttamente citato nella precedente formulazione dell’articolo).
Con riferimento al secondo punto, i dati provenienti dalla stessa agenzia del Demanio evidenziano come le cartolarizzazioni siano state giudicate delle operazioni di scarso beneficio economico e una importante mole di contenzioso, con poche alienazioni e cattiva gestione del patrimonio immobiliare.
In terzo luogo il cd. federalismo demaniale non è stato ancora attuato, e molti commentatori si sono astenuti dal formulare giudizi in attesa di leggere i decreti attuativi; tuttavia l’impressione è che gli enti locali e le Regioni non abbiano le capacità per valorizzare e alienare in maniera adeguata i beni.
In questo quadro si inseriscono le ultime riforme.
Il precedente Governo ha previsto dismissioni per un importo di 15 miliardi di euro nel triennio 2012-2014. Si indica però genericamente “dismissioni del patrimonio pubblico”, e dai primi commenti si è escluso si tratti di immobili. Ragioni contingenti mirano a questo risultato: vi è un eccesso di offerta (vi sono infatti fondi immobiliari, banche, casse, enti previdenziali che stanno procedendo a dismissioni), si assiste a un calo di domanda anche estera.
Un’eventuale dismissione quindi si può concentrare sulle partecipazioni azionarie, anche se pure queste ultime appaiono attualmente non redditizie (e comunque per queste basterebbe una semplice decisione del Ministro del Tesoro), e sui terreni agricoli. Di qui la scelta del legislatore, il quale ha modificato le disposizioni del decreto c.d. salva-Italia nel decreto cresci-Italia per rendere possibile le dismissioni del patrimonio pubblico, con particolare attenzione per i terreni agricoli.
Il sistema della valorizzazione e alienazione dei beni pubblici è radicalmente cambiato in questi due anni seguendo quattro linee di tendenza.

Prima tendenza. Smantellata la Patrimonio SPA, per iniettare le risorse finanziarie necessarie per le valorizzazioni del patrimonio immobiliare anche delle Regioni e degli enti locali,  è stato accolto il modello della società nazionale di gestione del risparmio (SGR) da istituire nel 2012, detenuta al 100% dal Tesoro (art. 33 del d.l. 98-111/2011, stabilizzazione finanziaria).
Essa ha il compito di istituire fondi immobiliari, destinati a partecipare a loro volta a fondi di investimento e valorizzazione immobiliare promossi da Regioni e enti locali. In questi secondi fondi confluiscono beni oggetto di progetti di valorizzazione (anche trasferiti ai sensi del d.lgs. 85/2010 sul federalismo demaniale), e possono confluire anche diritti di concessione o uso sui beni che prevedano la possibilità di locazione del bene.
Al Fondo viene affidata la valorizzazione immobiliare, compresa la gestione del demanio attraverso locazioni o contratti di godimento[2].

Note

1.  Sui primi due punti uno dei lavori più esaustivi è M. RENNA, La regolazione amministrativa dei beni a destinazione pubblica, Milano, 2004. Sul tema del federalismo demaniale, si vv. a cura di G.F. FERRARI, Il federalismo demaniale. Atti del Seminario (Roma, 11 marzo 2010), Torino, 2010 e R. LOIERO, Il federalismo demaniale, Roma, 2010.

2.  Così, per non farci mancare niente, questo Fondo si trova interposto tra ente che rilascia una concessione demaniale e imprenditore che aspira ad ottenere la concessione. Il Fondo non è obbligato a procedure comunitarie di gara, e può valorizzare il criterio dell’esperienza maturata, o l’impegno alla valorizzazione, in favore dei soggetti già concessionari. Viene immediatamente alla mente il tema delle concessioni degli stabilimenti balneari.

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