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La dismissione del patrimonio immobiliare e la foresta di Sherwood.*

di - 11 Maggio 2012
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Lo strumento societario di genesi statale ha così il compito di fornire capitali e competenze per raccogliere risorse sul mercato al fine di acquistare, valorizzare immobili, sostenere gli investimenti per le infrastrutture, risulta attraente sul mercato e garantisce gli investitori qualificati (enti pubblici previdenziali ed assicurativi).

Seconda tendenza. La pressante esigenza di far cassa mira ad utilizzare il modello dei fondi e delle società per la dismissione del patrimonio statale. L’articolo 6 della legge n. 183 del 2011 (legge di stabilità 2012) ha autorizzato  il Ministero dell’Economia e delle Finanze a conferire o a trasferire beni immobili dello Stato a fondi comuni di investimento immobiliari o a società di gestione del risparmio. Il primo dei decreti con l’indicazione dei beni immobili deve essere emanato entro il 30 aprile 2012, e questo risulta molto interessante per capire quale sarà la prospettiva delle dismissioni.

Terza tendenza. Si afferma sempre più la centralità del ruolo dell’Agenzia del Demanio.
Essa può promuovere e costituire società, consorzi o fondi immobiliari per valorizzare e alienare il patrimonio immobiliare pubblico di proprietà dello Stato, delle Regioni, degli enti locali e degli enti vigilati.
Inoltre essa viene indicata come il soggetto che deve dare impulso all’elaborazione di un piano di valorizzazione da presentare agli enti territoriali interessati per l’approvazione (art. 27 del decreto 201-214/2011, Salva-Italia, che ha introdotto l’art. 33 bis nella legge di stabilizzazione finanziaria). Si prevede che l’Agenzia del Demanio verifichi la fattibilità di tutte le iniziative possibili (tra le quali anche la costituzione di consorzi e società), individui gli immobili da conferire, e che entro 60 giorni gli enti interessati (Stato, enti locali, società, enti controllati) si pronuncino sulla proposta (in caso di silenzio, si tratterà di silenzio rifiuto).
Se le iniziative prevedono la costituzione di società, ad esse partecipano gli enti erogatori, il ministero del Tesoro, e privati scelti con procedura ad evidenza pubblica.

Quarta tendenza. La dismissione parte dai terreni agricoli. L’art. 66 del decreto 1-2012 cresci-Italia, ridisciplina la dismissione di terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola, già prevista (e quindi abrogata) un anno prima dalla legge di stabilità. Ogni anno, il Ministero delle politiche agricole determina i beni statali la cui vendita sarà effettuata a cura dell’Agenzia del demanio con procedura negoziata senza bando (<100.000 euro), oppure mediante asta pubblica. Lo stesso potranno fare Regioni ed enti locali, anche rivolgendosi all’Agenzia del demanio.
Il comma 7 prevede che possano essere alienati anche “terreni ricadenti all’interno di aree protette”, con l’assenso dei gestori. Ai terreni venduti non potrà attribuirsi una destinazione urbanistica diversa da quella agricola prima che siano trascorsi venti anni (anche se per le aree protette si immagina che anche dopo i 20 anni non possa cambiare la destinazione urbanistica).
Il decreto prevede che le Regioni e gli Enti locali possano procedere alla vendita anche dei beni pervenuti dal decreto sul federalismo demaniale. In questo caso rimane il dubbio, se essa riguardi solo i beni agricoli o anche il demanio marittimo e idrico. Se così fosse, a questi beni non potrebbe essere applicato il vincolo della destinazione agricola, e quindi probabilmente neppure il limite dei venti anni. Meglio non pensarci.

Possiamo trarre delle brevi, superficiali conclusioni. Si assiste ad un ruolo centrale e centralizzato della SGR per iniettare fondi per la valorizzazione e dismissione, nonché al coordinamento e gestione dell’Agenzia del Demanio. Questo duplice modello ricalca l’attuale lettura del titolo V della Costituzione, che prevede oramai come regola un potere di intervento centrale, non obbligatorio ma sussidiario. Del resto anche nell’ordinamento tedesco le operazioni sono gestite dall’Agenzia federale BIMA, dopo il fallimento delle precedenti operazioni di vendita. E anche la Germania ha fatto largo uso di fondi immobiliari.
Il senso complessivo di queste operazioni è discusso: si evidenzia come il criterio del contenimento del debito pubblico non possa oscurare altri criteri; si sottolinea inoltre la difficoltà di valutare la convenienza economica di queste operazioni, in mancanza di dati certi e di previsioni sicure; si critica la mancanza di trasparenza nei processi decisioni relativi ai beni[3].
Comunque, alla fine il governo inglese ha deciso di “non vendere la foresta di Sherwood. Ha affermato di non volere fare l’errore del passato governo, che ha venduto foreste senza preoccuparsi di garantirne l’accesso al pubblico”. Questo sembra il profilo più problematico, dell’uso, dell’accesso, della fruibilità del pubblico che, al di là del caso dei terreni agricoli, non pare di dovere mai dimenticare, anche quando sembra che lo stato di bisogno possa giustificare qualunque scelta. Altrimenti corriamo il rischio di vedere un proliferare di Robin Hood.

Note

3.  A. VILLA, La dismissione del patrimonio pubblico, Giornale di diritto amministrativo, 2012, 126; M. ARSÍ, Gli strumenti finanziari e le procedure per la dismissione e la valorizzazione dei beni pubblici, Giornale di diritto amministrativo, 2012,262.

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