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Vento nuovo per gli appalti

di - 27 Aprile 2012
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3 – Ciò ricordato in termini generali, è necessario dire subito che la nuova ottica in cui la Commissione ed il Parlamento collocano il fenomeno economico degli appalti pubblici si riflette in termini rilevantissimi sulla loro disciplina.
I punti di maggior rilievo sono tre. Il primo riguarda la normativa sugli appalti in quanto tale. La Commissione assume quasi come postulato la necessità di semplificarla, facendo proprie le lacrime di molte persone che avevano dato il loro contributo ai suoi lavori. Chi abbia qualche dimestichezza con il codice italiano dei contratti potrà forse sorridere, viste le complicatissime norme che noi ci siamo dati; dalla Commissione giunge questo messaggio e noi ben volentieri ne diamo atto. Con una specificazione: le norme chiare danno sicurezza e quindi spingono ex se a cercare soluzioni innovative, piuttosto che adagiarsi su soluzioni già acquisite, solo perché … non nascondono pericoli.
Il secondo riguarda il criterio di determinazione del prezzo. Nell’impostazione della Commissione, esso è destinato a perdere la staticità sua propria – il prezzo più basso al momento dell’offerta – per esprimere un valore molto più significativo: il costo di tutto il  ciclo di vita del bene, manutenzioni e smaltimento finale compresi. Come è palese, si vuole qui evitare il fenomeno delle c.d. esternalità negative, vale a dire il rovesciamento sulla collettività dei costi futuri di un bene, non predeterminati né predeterminabili. L’esempio più noto è quello dei costi ambientali. Essi devono essere inclusi nell’offerta, con l’effetto virtuoso da un lato di spingere i concorrenti a cercare soluzioni tecnologiche che ottimizzino questi costi e, dall’altro, di accrescere l’efficienza della spesa pubblica a lungo termine. Con questo sistema, infatti, non solo l’amministrazione si assicura un bene di qualità e di costo complessivi molto migliori rispetto ad un bene analogo, acquisito soltanto al prezzo più basso, ma questo risultato è conseguito stimolando l’innovazione, di cui tutti poi potranno beneficiare.
Merita incidentalmente osservare che il criterio del costo dell’intero ciclo di vita è diverso e tendenzialmente più avanzato di quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Mentre quest’ultima è il frutto di un’integrazione tra prezzo del bene e costi della sua gestione, il costo del ciclo completo di vita comprende anche il profilo ambientale, vale a dire lo smaltimento. Esprime un costo “vero”, onnicomprensivo, se così si può dire.

4 – Ma il tema di maggior respiro e dal carattere più profondamente innovativo riguarda i rapporti tra le amministrazioni pubbliche e gli operatori economici.
Si è accennato qui sopra all’idea che ispira il Libro verde ed il progetto di direttiva: la pubblica amministrazione è una componente del mercato, di cruciale rilievo, non solo per l’entità della sua domanda, ma perché, grazie ad essa ed ai fini che persegue – dall’innovazione all’inclusione sociale, dal risparmio energetico all’ambiente in termini generali –, può indirizzare i comportamenti delle imprese.
Naturalmente, nessuno ha mai pensato di escludere le amministrazioni dal novero dei soggetti presenti sul mercato. Il punto è però che esse sono state considerate nell’ottica dei grandi committenti, grandi spenditori, costrette a misurarsi con gli appetiti degli operatori economici – per non dire di peggio. Inquadrate in questa prospettiva, le pubbliche amministrazioni sono state “protette” da questi appetiti nell’unico modo che sembrava concretamente pensabile: vale a dire, circondando il loro agire ed i loro processi decisionali di barriere, rituali, formalità, segretezze tali da rendere qualsivoglia abuso, se non impossibile, almeno difficile. Si può dire, con qualche approssimazione, che le amministrazioni pubbliche erano concepite più come soggetti passivi che attivi, le cui decisioni di spesa erano circondate da un numero sterminato di cautele e controlli.
Il progetto di direttiva rovescia questo quadro. Le pubbliche amministrazioni sono chiamate anzitutto a concepire idee, da gestire e realizzare poi con la collaborazione degli operatori economici. Questo si può svolgere in quattro forme, diversissime ma tutte caratterizzate dalla sinergia pubblico-privato. In larga misura già note, esse vengono riproposte con nuovo spirito e nuovo vigore dalla direttiva.

5. La prima forma di cooperazione è quella degli accordi pre-commerciali. Con essi, amministrazione ed operatore economico privato mettono congiuntamente a punto un progetto o programma complesso, tecnologicamente avanzato ed innovativo. In linea di principio, esso è destinato a soddisfare un interesse pubblico – la difesa ad es. Ma proprio perché si tratta di un programma o progetto molto complesso ed innovativo, è esperienza consolidata che esso possa essere adeguato a fini civili: si pensi ai motori aerei ed in generale all’avionica ed all’aeronautica. Una strumentazione di volo innovativa ben può essere impiegata per aerei civili. L’accordo è definito pre-contrattuale propria in vista di questi possibili esiti: il prodotto o la soluzione tecnologica finale può presentare caratteristiche tali, da non poter essere gestito dall’amministrazione e restare di sua proprietà esclusiva; ma non necessariamente deve essere così: realizzato il progetto, amministrazione e operatori economici possono decidere che cosa farne, e come. Merita ricordare che questa formula contrattuale deriva dagli USA, dove il Governo ha sempre guidato l’industria verso la concezione, la progettazione e realizzazione di sistemi con il più elevato grado di efficienza: era prassi che il Governo si riservasse il prodotto di più alta qualità complessiva, consentendo al produttore di adeguarlo per usi civili. In ogni caso, la tecnologia di massimo livello restava – e resta – al Governo; può essere ceduta a terzi per usi non militari.

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