Le opere di compensazione

Le opere di compensazione sono sempre più al centro dell’attenzione dei decisori politici, dei programmatori delle opere pubbliche e di progettisti, nonché del mondo della ricerca e del giudice amministrativo, anche contabile.
In particolare per quanto riguarda il mondo della ricerca, di quella parte che si occupa di processi di decisione e partecipazione del «pubblico» alle decisioni pubblico/collettive[1], interessato dall’effetto «NIMBY» o preoccupato dei «costi del non fare».
Un tempo marginali – andando oltre la tradizione delle compensazioni nelle espropriazioni, nelle pratiche forestali ed in genere nell’estimo agrario –, le opere di compensazione sono oggi divenute centrali nella realizzazione delle opere pubbliche e non solo. Infatti anche quelle private vengono sempre più gravate del loro costo, in specie quando queste opere sono prossime a quelle di «interesse generale». E come tali, appunto, oggetto di discussione con il «pubblico» oltre che con le pubbliche amministrazioni.
In particolare nel comparto delle opere pubbliche e della loro interazione con l’ambiente. E sempre più anche nelle operazioni di trasformazione urbana. In questi casi si tratta di «compensazione redistributiva». Vale a dire che se è anche l’intorno dell’area nella quale viene operato l’intervento -, ad esempio, di trasformazione urbana «pesante» -, ad avvantaggiarsene, l’intervento è considerato positivo e quindi accettato. Non solo sul piano amministrativo, ma anche e soprattutto su quello sociale.
Lo sviluppo dell’applicazione delle opere di compensazione si è avuto  infatti per impulso della valutazione ambientale di progetti di opere (VIA) e di piani e programmi (VAS), di settore o territoriali – urbanistici o a valenza territoriale – urbanistica, nonché delle altre procedure di valutazione ambientale: valutazione integrata (AIA) e d’incidenza (VINCA).
Per mezzo delle opere di compensazione – profondamente diverse dalle misure di riduzione dell’impatto ambientale -, si ambisce ad aumentare la capacità di resistenza dell’ambiente oggetto di pressione da parte dell’opera, del piano o del programma, e quindi a determinare il miglioramento della compatibilità, anche di «performance» ambientale, del progetto o del piano o programma in questione.
Ma oggi l’applicazione che se ne fa va molto oltre il comparto ambientale.
È l’ambiguità stessa della nozione di ambiente ad aver favorito ciò. In essa infatti convivono almeno tre declinazioni: ambiente fisico naturale, ambiente culturale e sociale (comprensivo di quello urbano e territoriale in generale), ambiente economico.
Del resto sono proprio i richiami «colti» alla complessità della nozione di ambiente che si ritrovano nelle direttive comunitarie e nei regolamenti di applicazione e nelle leggi statali, a implicare il ricorso alle compensazioni. In specie quando si opera nell’ottica della compatibilità ambientale. Diverso è il caso dell’operare nell’ottica della sostenibilità ambientale. Gli obiettivi di un’azione perché sia considerata sostenibile sono ovviamente molto più ambiziosi di quelli a base di un’azione che aspira ad essere considerata compatibile. Le opere di compensazione nelle tre dimensioni o «pilastri» della sostenibilità ambientale, sociale ed economica, sono comunque presenti. Sia che si tratti di misurare (e rendere possibile) la compatibilità che di proseguire l’obbiettivo della sostenibilità ambientale.
Nonché l’oggettiva impossibilità – oltre la dimensione scientifica pura – a valutare la compatibilità ambientale in se stessa, cioè con riferimento alla sola declinazione fisico-naturale della nozione di ambiente.
Se non si considerano anche le altre «componenti» (culturali, sociali ed economiche) è infatti ben difficile dimostrare la compatibilità ambientale esclusivamente riferita alla componente «ambientale».
La sua misurazione è molto difficile anche perché si impone la necessità di stabilire una gerarchia di valori tra gli elementi che costituiscono un determinato ambiente fisico-naturale. In sé e in rapporto al valore che in un determinato[2] momento la società assegna a quell’ambiente o a quella componente o elemento dell’ambiente.
La questione della ambiguità della nozione di ambiente nella valutazione della compatibilità di progetti o piani e programmi è stata messa particolarmente in evidenza dalle applicazioni della valutazione ambientale strategica, allorché la valutazione riguarda non solo il «pilastro» ambiente, ma – come si dovrebbe fare –  anche gli altri tre: sociale, economico e della «governance» del sistema.
Se infatti la previsione di un determinato sacrificio richiesto ad una collettività o gruppo sociale, comportante una riduzione di ricchezza per via della decisione di contenere lo sfruttamento di determinate risorse naturali o dell’impatto sulle stesse, non è accettato socialmente e sopportabile economicamente, difficilmente può divenire concreta. Ispirando cioè politiche generali ed azioni specifiche.
Soprattutto il governo della relazione che si instaura tra momento della presa di decisione e quello dei suoi effetti richiede una forte «governance». Si tratta, in altri termini, del problema del decidere oggi pensando alle generazioni future. Facendo accettare alle generazioni presenti sacrifici a vantaggio di quelle future. Per sacrifici si intendono riduzioni dei consumi di risorse, di produzione di rifiuti, etc.. Quindi anche cambiamenti degli stili di vita singoli e collettivi.
Nella ambiguità della nozione sta la spiegazione della estensione del campo di applicazione delle opere di compensazione. Queste oramai riguardano molto il sociale e l’economico. Soprattutto dei «territori» direttamente coinvolti dalle trasformazioni. Quando spesso anche territori non direttamente coinvolti sono comunque interessati dalle trasformazioni.
Non si tratta più di «misure di accompagnamento», ma di veri e propri compensi aggiuntivi che il decisore – proponente dell’opera pubblica «paga» al territorio interessato.

Saggio per il libro in onore di Nicola Greco.

Non avere a tempo debito[3] definito – per mezzo di una articolata «regulation» natura e dimensioni (anche economiche) delle compensazioni -, è la causa di tutto ciò.
Come noto, in altri paesi, opera per opera, sono state definite con apposite «regulation» tipi e dimensioni delle compensazioni secondo il duplice principio della loro natura, prevalentemente ambientale e della stretta relazionalità («in link», si dice) tra opera e tipo di compensazione.
In assenza di una specifica regolazione le compensazioni sono di fatto divenute una posta da conquistare[4].
L’accettazione sociale, per via della compatibilità ambientale di una decisione viene oramai di fatto subordinata al valore economico delle compensazioni che il decisore/proponente è disposto a pagare. Del resto, l’esperienza delle compensazioni in materia di localizzazioni di impianti di produzione energetica previste, ad esempio, dalla legge n. 8 del 1970, era già stata significativa. Si trattava dello sconto sul prezzo dell’energia di cui avrebbero goduto gli abitanti della zona di localizzazione dell’impianto.
Oggi, nel caso della realizzazione di autostrade, viene chiesta l’esenzione per gli utenti «locali» del pagamento del pedaggio per un determinato numero di anni, oggetto anch’esso di negoziato.
Nelle trattative per la applicazione dello sconto sul costo dell’energia, gli amministratori locali ritenevano che quanto previsto dalla legge fosse comunque dovuto e quindi «trattavano» a partire da questa base di partenza!
Nella pratica ottenevano molto di più. E ciò serviva a «spiegare» ai concittadini la convenienza ad accettare la localizzazione dell’impianto.
Nella ricostruzione della vicenda italiana va ricordato anche il caso degli «osservatori ecologici». Anche questi nascono come una sorta di compensazione. I proponenti si impegnano ad istituirli ed a sostenerli finanziariamente, in quanto garanzia per il territorio della compatibilità anche in corso di realizzazione delle opere.
La prima esperienza strutturata in Italia, dopo quelle pioniere condotte dall’ENEL, è probabilmente quella dell’«osservatorio» che accompagnò la realizzazione del raccordo autostradale tra Aosta e Courmayeur, istituito dalla Soc. RAV in ottemperanza ad una prescrizione che la Regione Valle d’Aosta impose nell’ambito della procedura di VIA. Alla quale, peraltro, la Soc. RAV sottopose il progetto in forma volontaria, dal momento che all’epoca (1986-87) non era ancora entrato in vigore l’obbligo della sottoposizione a VIA delle opere e lavori di impatto rilevante.
Seguirono l’osservatorio sulla realizzazione del “treno ad alta velocità” (TAV) tra Firenze e Bologna e l’osservatorio sulla «Variante di Valico», il nuovo tratto autostradale tra Bologna e Firenze.
Questi osservatori cercavano di svolgere la funzione che, ad esempio in Francia, svolgevano i «laboratori ecologici» nella fase di realizzazione delle opere pubbliche, nella tradizione dell’«École de Ponts et Chaussés», istituzione che spesso li gestiva anche.
Quelli italiani – TAV e Variante di valico tra Firenze e Bologna – erano formati da rappresentanti del mondo scientifico, degli enti territoriali coinvolti, dei ministeri competenti, nonché dei promotori[5].
Ben presto si è assistito alla loro trasformazione in paraistituzioni. Infatti non solo sono divenuti una sorta di «camera di compensazione», ma addirittura a loro sono stati indirizzati, per l’approvazione, progetti di varianti ed anche in corso d’opera!
O comunque gli si è chiesto di esprimere pareri preventivi su progetti di variante.
Significativa del ruolo che alle compensazioni di fatto si è assegnato è l’opinione di Luigi Bobbio, esperto in materia di partecipazione e di negoziazione nel campo delle decisioni pubbliche. Nella intervista rilasciata a «La Stampa» del 15 aprile 2011 a commento del rapporto 2011 del «Nimby Forum», ed in risposta ad una specifica domanda su come superare i contrasti sociali nella realizzazione di opere, Bobbio affermava, fra l’altro: « (…….) i passaggi successivi sono: 1) la disponibilità a modificare i progetti; 2) quella a rimettere in discussione l’articolazione degli impianti (per esempio, meglio tre strutture piccole piuttosto che una enorme); 3) una disponibilità a dare delle compensazioni, economiche ma non solo, alle popolazioni toccate dal progetto».
Questo il punto centrale: disponibilità a dare compensazioni. La disponibilità a mettere in discussione i progetti andrebbe verificata caso per caso. In generale si osserva che se una debolezza c’è nel nostro sistema di presa delle decisioni questa è costituita proprio dalla possibilità di rimetterle sempre in discussione. In secondo luogo, che non si accetta di non modificare i «patti» che sanciscono le decisioni. Il continuo cambiamento dei soggetti/attori pubblici e privati che entrano nei processi di decisione, è alla base di ciò. La «infinita» durata dei processi decisionali ovviamente favorisce tutto ciò. Un esempio: del completamento dell’autostrada tirrenica si discute da 43 anni. E spesso si sente dire (e si legge) che dell’opera non se ne sarebbe discusso abbastanza. Che la comunicazione avrebbe privilegiato le ragioni della parte proponente e che le ragioni del «no» non solo non avrebbero avuto accoglienza, ma che addirittura non avrebbero avuto eco nei sistemi di comunicazione. Quando, al contrario, è noto che i sistemi di comunicazione sono portati quasi fisiologicamente – il «no» fa più notizia -, quando non anche esplicitamente per ragioni diverse, culturali, ideologiche, ma anche di appartenenza culturale o politica, a dare maggiore enfasi proprio alle ragioni del no.
Certo la durata del processo decisionale non è di per sé garanzia di partecipazione alla decisione, ma è altrettanto vero che in processi decisionali che hanno durate molto lunghe è ben difficile che le ragioni del «no» non abbiano avuto la possibilità di «farsi sentire» o «ascoltare».
La verità è che nel lungo periodo cambiano i contesti rispetto a quelli dell’inizio del processo: culturali, sociali, territoriali, economici, normativi e regolamentari anche. Ma, soprattutto, cambiano i soggetti/attori e gli interessi che rappresentano ed i loro pesi relativi.

Riflettendo sul significato delle opere di compensazione nei processi decisionali, in mancanza di una chiara «regulation» delle stesse, inevitabilmente tornano le questioni di sempre: la disponibilità invocata da Bobbio qualora fosse ingente, non costituirebbe un modo improprio di cattura del consenso? Non costituirebbe un’alterazione del processo decisionale?
Pensiamo non solo al caso delle opere pubbliche realizzate dal pubblico, ma anche a quello di opere di interesse generale (i confini con le prime sono sempre più labili), realizzate da privati in partenariato pubblico privato (PPP). La scelta del partner privato (promotore), come noto, viene operata tramite una procedura ad evidenza pubblica basata su un confronto concorrenziale con alla base un’«offerta» pubblica da migliorare da parte del «proponente» e quindi del «concorrente» (la procedura è in continua evoluzione).
E ancora: qualora le compensazioni su un opera fossero ingenti non si altererebbe il rapporto benefici/costi dell’opera e con esso anche la gerarchia delle priorità tra le opere?
Il costo delle compensazioni non potrebbe non modificare, appunto, il sistema delle convenienze collettive? Questo problema è stato messo in evidenza nel confronto tra il costo, comprensivo delle compensazioni promesse a seguito anche dell’attività negoziale svolta dallo speciale Osservatorio ad hoc istituito (cfr., nota n.5), della ferrovia in Val di Susa rispetto a quello della tratta ferroviaria ad alta velocità Napoli-Bari.
Da parte di politici e studiosi «meridionalisti», si è fatto osservare che dato il costo della TAV in Val di Susa sarebbe più conveniente realizzare prioritariamente la tratta ferroviaria tra Napoli e Bari!
Un terzo problema riguarda il profilo amministrativo, che può anche toccare quello della regolarità contabile.
Quando le compensazioni sono accordate su opere in corso di realizzazione – il caso è assolutamente concreto –, come si pongono rispetto al finanziamento dell’opera principale? E sul piano appaltistico quali sono le conseguenze?
Possono rientrare nella tipologia di opere per le quali sono ammessi maggiori oneri per la stazione appaltante? Sia per quanto riguarda gli aspetti qualitativi (opere strettamente necessarie) e quantitativi? Ma anche la non contestualità delle realizzazioni può comportare problemi: quelle di compensazione sono infatti spesso opere aggiuntive, che vengono realizzate dopo quelle principali. Da ciò la possibilità di altre ed ulteriori rivendicazioni da parte dei «territori».
Il problema contabile si porrebbe (e pone) soprattutto quando le misure compensative aggiuntive venissero accordate a fronte di eventuali danni ambientali provocati dalla realizzazione dell’opera.
Il problema, come è del tutto evidente, è niente affatto semplice da risolvere.
È sufficiente a fronte di tanta complessità la risposta che si è tentata con la cosiddetta «legge obbiettivo» (l. n. 443/2001) che prevedeva un «tetto» per la spesa in opere compensative e che oggi si tenta di generalizzare con il decreto di rilancio dell’economia? Ci si riferisce al D.L. n. 70/2011 convertito nella legge n. 106/2011, che introduce un «tetto» (del 2%) per le opere di compensazione.
In pratica si è tentato di fissare preventivamente un tetto alle compensazioni.
Il D.L. n. 70/2011 è stato preceduto da varie prese di posizione politiche motivate dalla esorbitante richiesta di compensazioni e soprattutto del modo come vengono richieste in contropartita dell’accettazione dell’opera[6].
Significativo il resoconto apparso sul «Corriere del Veneto»[7], edizione di Venezia e Mestre, di un incontro dell’On. Matteoli, Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, con i sindaci del territorio interessati dal tracciato della ferrovia ad alta velocità tra Venezia e Trieste: «cancellate le speranze di quei sindaci che, pur sobbarcandosi l’impatto ambientale della TAV “bassa” (cioè del tracciato più prossimo alla costa), speravano in benefici nel territorio con opere compensative. Il ministro delle infrastrutture del secondo governo Berlusconi, Altero Matteoli, intende infatti mettere un «tetto» alla spesa di quelle opere che dovrebbero bilanciare la presenza dell’alta velocità» (anticipazione del decreto legge che poi lo prevederà).
Viene quindi riportata la dichiarazione del ministro: «Siamo gli unici in Europa a dare opere di compensazione ai Comuni per il transito dell’alta velocità, come asili, scuole ed altro. Ecco perché la TAV in Italia costa molto di più che in Francia o in Germania…………».
Ovviamente a determinare i maggiori costi dell’opera in Italia rispetto a quelli di altri paesi concorrono in misura maggiore altre cause. Ad iniziare da quelle relative all’orografia, senza dimenticare quelle connesse all’organizzazione con la quale si affronta la loro realizzazione (finanziamento, progettazione, gestione degli appalti, strutturazione delle imprese, etc.).
Ma è vero che in altri paesi non si ha solo contestazione, si ha anche il concorso finanziario degli enti territoriali nella realizzazione dell’opera. In specie quando le richieste «locali» determinano un maggiore costo rispetto al progetto proposto dal soggetto preposto alla sua realizzazione.
Di diverso orientamento rispetto a quello governativo centrato sulla definizione preventiva e generalizzata di un «tetto» sembra essere la posizione della Regione Piemonte.
Questa, ispirandosi ma più nella forma che nella sostanza, alla legge francese denominata «Démarche Grand Chantier», ha approvato in data 20 aprile 2011 una propria legge sulle compensazioni[8]. Banco di prova sarà, come detto, il cantiere della TAV in Val di Susa. E’ prevista la creazione di un apposito comitato cui partecipa anche un rappresentante del governo centrale.
Applicabile innanzitutto all’opera che da anni è al centro di un forte conflitto sociale ed inter-istituzionale, cioè l’alta velocità in Val di Susa, come porzione del famoso «corridoio 5», Barcellona-Kiev.

Per mezzo di osservatori ed organismi di monitoraggio operanti nelle strutture, regionali e provinciali, nonché di istituti universitari, fondazioni, enti ed istituzioni scientifiche, si potrà intervenire «accompagnando» la realizzazione dell’opera – inizialmente per il tunnel esplorativo (o geognostico) di Chiomonte / Maddalena – nel campo della salute, della prevenzione, della sicurezza del lavoro e la tutela ambientale, della formazione e l’occupazione, dello sviluppo di opportunità per le imprese locali, dell’offerta abitativa e ricettiva, della valorizzazione dei materiali di risulta (dello scavo delle gallerie), della fiscalità agevolata, della promozione di progetti di territorio e di valorizzazione paesaggistica, della promozione di progetti a valenza educativa, ambientale, culturale e sociale, della pianificazione e gestione urbanistica: attività espropriative e comunicazione.
La legge sembra essere una sorta di grande «montaggio» di misure sostanzialmente già in essere nella legislazione generale e in quella specifica sui contratti pubblici in un «enveloppe» unitario. Cosa non disprezzabile ovviamente.
Potrà funzionare?
Al momento tutte queste misure non sembrano essere «quotate», cioè finanziate.
Appaiono più come una «vetrina» che non come vere e proprie misure di accompagnamento e/o compensazione.
Costituiscono un contenitore procedurale, la cui efficacia è tutta da dimostrare.
Si tratta pur sempre di un lodevole tentativo di dare risposta organica ad una materia molto complessa e, come si è cercato di dimostrare, dalle molteplici implicazioni.
Le conclusioni: dagli esempi di misure compensative riportati nella nota n. 5 – non esaustiva della articolata fenomenologia –, si evidenzia come almeno la logica e la esperienza di altri paesi che vuole che le compensazioni siano in «link» con l’opera principale, risulta abbastanza rispettata: opere/infrastrutture di trasporto e compensazioni, più o meno appartengono allo stesso comparto, anche se in senso lato ed anche se a volte quelle compensative sono ubicate a notevole distanza dall’opera principale.
Ma sempre questi esempi mostrano come sia facile far rientrare nelle cosiddette opere connesse e/o complementari, opere dichiaratamente di natura compensativa, aggirando il tetto imposto dal legislatore statale per queste. Proprio il tetto posto a queste opere rischia di favorire questa tendenza che, inevitabilmente, porterà di nuovo allo sfioramento delle previsioni di spesa e quindi ad alterare il sistema delle scelte collettive di allocazione delle risorse.
Solo con la compartecipazione economico-finanziaria dei «territori» alla realizzazione delle opere pubbliche si potrà, forse, riuscire a «blindare» le previsioni di spesa delle diverse opere. Almeno per quelle compensative. Non solo però chiedendo al territorio il concorso finanziario, ma favorendone anche la partecipazione agli utili delle gestioni. Ovviamente per quelle opere per il cui uso è dovuta una tariffa.
Misura che, ovviamente, richiede che l’intero processo di presa delle decisioni, nei profili del rapporto tra Stato, Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni, ma anche di quello della formazione delle leggi di spesa e del sistema concessorio, venga profondamente riformato[9]. Così come quello della proprietà delle opere. Si può sperare nel federalismo patrimoniale?
La necessità di definire opera per opera le compensazioni rimane comunque prioritaria.
Solo così potrà infatti essere evitato il rischio che le compensazioni vengano proposte come opere «complementari» e/o «connesse»[10], come si inizia a rilevare a seguito dell’entrata in vigore del «tetto» fissato dal D. L. n. 70/2011.
Pare condivisibile che le stesse opere connesse e/o complementari rientrino dall’inizio nella concessione, anche quelle che risultano già realizzate al momento dell’affidamento dell’opera principale[11].
E forse anche il rischio che l’interpretazione della Corte Costituzionale (sentenza 280/2011)[12] del contributo dovuto dal gestore di un impianto di smaltimento di rifiuti al comune che lo ospita, come vero e proprio tributo di scopo, possa essere estesa anche alle opere di compensazione.

Note

1.  Insoddisfatto è il giudice amministrativo francese che ritiene la legislazione sulla partecipazione del pubblico ai processi decisionali, che ha destato interesse ed ammirazione in molti paesi che ad essa si sono ispirati per le proprie leggi sulla partecipazione del pubblico ai processi decisionali, in specie in materia di opere pubbliche, localizzazioni di impianti produttivi, trattamento di rifiuti, etc. Il «Conseil d’Etat» (Cfr., P.Roger, “Le Conseil d’Etat propose de mieux associer le citoyen a la dècision publique”, «Le Monde», mercoledì 29 giugno 2011), ritiene infatti la legislazione vigente poco aderente ai principi della cosiddetta «democrazia deliberativa» (Cfr. Rapporto annuale 2011, reso il 28 giugno 2011).

2.  Cfr., il nostro, “Le priorità ambientali attuali”, «Aperta Contrada», del 22 aprile 2011 (rivista on -line).

3.  Lo proposi nel 1996, quando le pratiche di compensazione erano ancora allo stato iniziale, ma già si intravedevano gli scenari che poi si sono concretizzati (Cfr., “Le misure di compensazione nella negoziazione dei conflitti ambientali sui progetti di infrastrutture”, in «VIA», n. 19/1996).

4.  “La grande opera paga il «disturbo»”, titolava «Il Sole 24 ore» del 13 dicembre 2010.

5.  Un apposito Osservatorio è stato istituito anche sul progetto di ferrovia ad alta velocità che attraversa la Val di Susa, tratta del cosiddetto «Corridoio 5», Barcellona-Kiev. I compiti di questo osservatorio sono stati definiti con apposita determinazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

6.  Di seguito si presenta una serie di esempi tratti dalla rassegna stampa del MIT raccolti per opere. Sempre sulla TAV in Val di Susa: «Compensazioni all’avvio dei lavori» («Il Sole 24 ore», 01 giugno 2011), nel quale si riporta il confronto tra il Presidente dell’apposito Osservatorio e il Presidente della Comunità Montana, oppositore del progetto. Fra l’altro si legge: «…(…..) le compensazioni potranno anche partire, ma solo sulla base dell’avanzamento lavori (…)»; «La Stampa», edizione di Torino del 26 agosto 2011, sul dibattito sull’ampiezza dell’area che potrà usufruire delle compensazioni: «solo quella dei comuni direttamente interessati dall’opera od anche altri comuni, anche solo indirettamente interessati?; «La Repubblica», edizione di Torino, «TAV, via libera alle compensazioni. Virano a Roma per il tavolo politico», nel quale si dà conto del come applicare le compensazioni anche alla luce della legge regionale (allora in preparazione) sulle Grandi Opere, ispirata alla francese legge sui cosiddetti «Grands Chantiers» (che è collegata a quella sul Debat Public di cui si è detto nella nota n.1). A Vicenza, interessata dalla realizzazione della nuova /ampliamento della base militare USA, contestata dal movimento «No Dal Molin», tra le misure di compensazione è prevista, fra l’altro, la realizzazione di un filobus che in 16 minuti dovrebbe attraversare la città con un costo di 80 milioni di euro (Cfr., «Il giornale di Vicenza», 20 luglio 2011). Nel caso dell’autostrada Bergamo – Brescia – Milano (Brebemi), «(……..) verranno realizzati (ulteriori) 40 chilometri di viabilità di connessione o compensativa tra cui la completa riqualificazione a livello di autostrade urbane delle provinciali Cassanese e Rivoltana, arterie oggi assediate dal traffico (…….)», «Avvenire», edizione di Milano, 26 luglio 2011. Nel caso dell’autostrada tirrenica, il campo delle compensazioni è molto variegato; si va dalle scelte di tracciato, alla questione delle compensazioni in opere stradali: «(……) Riguardo poi alle opere compensative tra cui il “Lotto Zero” – il più costoso di queste per 400 milioni di euro – l’attuale impossibilità di realizzarle deriva dal ridimensionamento dell’investimento (…..)», «Il Tirreno»,. 26 marzo 2011), ma anche in materiali da costruzione (“Autostrada, Sat apre al Conglomiz”, «Il Tirreno», edizione di Piombino – Elba, 04 agosto 2011. La SAT è la società concessionaria per la realizzazione dell’opera; il Conglomix è un materiale risultato del riciclo dei residui delle lavorazioni delle acciaierie Tap di Piombino). Anche i casi dell’attraversamento di Firenze da parte del treno ad altra velocità con la nuova stazione in sotterraneo («TAV, l’accordo che cambia la città. La Foster – il nome del progettista della stazione in sotterraneo – regala i soldi per la tramvia», «La Nazione» di Firenze, 04 agosto 2011). O quello del «Ponte di Messina» – «Accordo di programma sulle opere connesse al Ponte», (…..),«Gazzetta del Sud», 28 agosto 2011; «Opere connesse: ecco cosa vuole Messina», «Gazzetta del Sud», 01 settembre 2011 -, rientrano in questo (incompleto) elenco.

7.  «Corriere del Veneto», dell’8 aprile 2011.

8.  Si tratta della L.R. 21 aprile 2011, n. 4, denominata Cantieri, sviluppo e Territorio (la legge aspira ad affrontare anche le questioni della prevenzione e tutela del lavoro, la formazione, la creazione di opportunità per le imprese locali, l’impiego di misure di fiscalità agevolata, il coinvolgimento delle strutture ricettive locali nell’ospitalità dei lavoratori dei cantieri).

9.  Cfr., Saggio per il libro del Ministero dell’Ambiente“L’incidenza del come si decide l’opera pubblica nel determinare l’impatto sull’ambiente”, pubblicato volume curato dalla Commissione VIA speciale del MATT sulla Valutazione d’impatto ambientale delle grandi opere, Editore Colombo, Roma 2006; articolo per la rivista on-line «Aperta Contrada», “Riflessioni su società, diritto e economia,” pubblicato il 31 gennaio 2011.

10.  Mentre scriviamo è in corso di conversione un «decreto» legge sulla crescita, nel quale si prevede che anche queste opere rientrino nella concessione iniziale e quindi gestiste dal concessionario. Un motivo in più perché sia queste che quelle compensative siano definite nettamente.

11.  Nel convulso periodo che ha preceduto la caduta del secondo governo Berlusconi era stata ipotizzata l’emanazione di un decreto – definito «sviluppo» – che avrebbe dovuto contenere, fra l’altro, anche questa norma (Cfr., «Il Sole – 24 ore», 25 ottobre 2011).

12.  La sentenza riguarda la legge della Regione Piemonte n. 18/1996, art. 18, ma potrebbe riguardare molte altre analoghe leggi regionali.