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Le opere di compensazione

di - 4 Aprile 2012
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Non avere a tempo debito[3] definito – per mezzo di una articolata «regulation» natura e dimensioni (anche economiche) delle compensazioni -, è la causa di tutto ciò.
Come noto, in altri paesi, opera per opera, sono state definite con apposite «regulation» tipi e dimensioni delle compensazioni secondo il duplice principio della loro natura, prevalentemente ambientale e della stretta relazionalità («in link», si dice) tra opera e tipo di compensazione.
In assenza di una specifica regolazione le compensazioni sono di fatto divenute una posta da conquistare[4].
L’accettazione sociale, per via della compatibilità ambientale di una decisione viene oramai di fatto subordinata al valore economico delle compensazioni che il decisore/proponente è disposto a pagare. Del resto, l’esperienza delle compensazioni in materia di localizzazioni di impianti di produzione energetica previste, ad esempio, dalla legge n. 8 del 1970, era già stata significativa. Si trattava dello sconto sul prezzo dell’energia di cui avrebbero goduto gli abitanti della zona di localizzazione dell’impianto.
Oggi, nel caso della realizzazione di autostrade, viene chiesta l’esenzione per gli utenti «locali» del pagamento del pedaggio per un determinato numero di anni, oggetto anch’esso di negoziato.
Nelle trattative per la applicazione dello sconto sul costo dell’energia, gli amministratori locali ritenevano che quanto previsto dalla legge fosse comunque dovuto e quindi «trattavano» a partire da questa base di partenza!
Nella pratica ottenevano molto di più. E ciò serviva a «spiegare» ai concittadini la convenienza ad accettare la localizzazione dell’impianto.
Nella ricostruzione della vicenda italiana va ricordato anche il caso degli «osservatori ecologici». Anche questi nascono come una sorta di compensazione. I proponenti si impegnano ad istituirli ed a sostenerli finanziariamente, in quanto garanzia per il territorio della compatibilità anche in corso di realizzazione delle opere.
La prima esperienza strutturata in Italia, dopo quelle pioniere condotte dall’ENEL, è probabilmente quella dell’«osservatorio» che accompagnò la realizzazione del raccordo autostradale tra Aosta e Courmayeur, istituito dalla Soc. RAV in ottemperanza ad una prescrizione che la Regione Valle d’Aosta impose nell’ambito della procedura di VIA. Alla quale, peraltro, la Soc. RAV sottopose il progetto in forma volontaria, dal momento che all’epoca (1986-87) non era ancora entrato in vigore l’obbligo della sottoposizione a VIA delle opere e lavori di impatto rilevante.
Seguirono l’osservatorio sulla realizzazione del “treno ad alta velocità” (TAV) tra Firenze e Bologna e l’osservatorio sulla «Variante di Valico», il nuovo tratto autostradale tra Bologna e Firenze.
Questi osservatori cercavano di svolgere la funzione che, ad esempio in Francia, svolgevano i «laboratori ecologici» nella fase di realizzazione delle opere pubbliche, nella tradizione dell’«École de Ponts et Chaussés», istituzione che spesso li gestiva anche.
Quelli italiani – TAV e Variante di valico tra Firenze e Bologna – erano formati da rappresentanti del mondo scientifico, degli enti territoriali coinvolti, dei ministeri competenti, nonché dei promotori[5].
Ben presto si è assistito alla loro trasformazione in paraistituzioni. Infatti non solo sono divenuti una sorta di «camera di compensazione», ma addirittura a loro sono stati indirizzati, per l’approvazione, progetti di varianti ed anche in corso d’opera!
O comunque gli si è chiesto di esprimere pareri preventivi su progetti di variante.
Significativa del ruolo che alle compensazioni di fatto si è assegnato è l’opinione di Luigi Bobbio, esperto in materia di partecipazione e di negoziazione nel campo delle decisioni pubbliche. Nella intervista rilasciata a «La Stampa» del 15 aprile 2011 a commento del rapporto 2011 del «Nimby Forum», ed in risposta ad una specifica domanda su come superare i contrasti sociali nella realizzazione di opere, Bobbio affermava, fra l’altro: « (…….) i passaggi successivi sono: 1) la disponibilità a modificare i progetti; 2) quella a rimettere in discussione l’articolazione degli impianti (per esempio, meglio tre strutture piccole piuttosto che una enorme); 3) una disponibilità a dare delle compensazioni, economiche ma non solo, alle popolazioni toccate dal progetto».
Questo il punto centrale: disponibilità a dare compensazioni. La disponibilità a mettere in discussione i progetti andrebbe verificata caso per caso. In generale si osserva che se una debolezza c’è nel nostro sistema di presa delle decisioni questa è costituita proprio dalla possibilità di rimetterle sempre in discussione. In secondo luogo, che non si accetta di non modificare i «patti» che sanciscono le decisioni. Il continuo cambiamento dei soggetti/attori pubblici e privati che entrano nei processi di decisione, è alla base di ciò. La «infinita» durata dei processi decisionali ovviamente favorisce tutto ciò. Un esempio: del completamento dell’autostrada tirrenica si discute da 43 anni. E spesso si sente dire (e si legge) che dell’opera non se ne sarebbe discusso abbastanza. Che la comunicazione avrebbe privilegiato le ragioni della parte proponente e che le ragioni del «no» non solo non avrebbero avuto accoglienza, ma che addirittura non avrebbero avuto eco nei sistemi di comunicazione. Quando, al contrario, è noto che i sistemi di comunicazione sono portati quasi fisiologicamente – il «no» fa più notizia -, quando non anche esplicitamente per ragioni diverse, culturali, ideologiche, ma anche di appartenenza culturale o politica, a dare maggiore enfasi proprio alle ragioni del no.
Certo la durata del processo decisionale non è di per sé garanzia di partecipazione alla decisione, ma è altrettanto vero che in processi decisionali che hanno durate molto lunghe è ben difficile che le ragioni del «no» non abbiano avuto la possibilità di «farsi sentire» o «ascoltare».
La verità è che nel lungo periodo cambiano i contesti rispetto a quelli dell’inizio del processo: culturali, sociali, territoriali, economici, normativi e regolamentari anche. Ma, soprattutto, cambiano i soggetti/attori e gli interessi che rappresentano ed i loro pesi relativi.

Note

3.  Lo proposi nel 1996, quando le pratiche di compensazione erano ancora allo stato iniziale, ma già si intravedevano gli scenari che poi si sono concretizzati (Cfr., “Le misure di compensazione nella negoziazione dei conflitti ambientali sui progetti di infrastrutture”, in «VIA», n. 19/1996).

4.  “La grande opera paga il «disturbo»”, titolava «Il Sole 24 ore» del 13 dicembre 2010.

5.  Un apposito Osservatorio è stato istituito anche sul progetto di ferrovia ad alta velocità che attraversa la Val di Susa, tratta del cosiddetto «Corridoio 5», Barcellona-Kiev. I compiti di questo osservatorio sono stati definiti con apposita determinazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

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