Assicurazione e crescita

L’iniziativa dell’ANIA di promuovere il volume Assicurare. 150 anni di unità d’Italia. Il Contributo delle assicurazioni allo sviluppo del Paese, Ania, Roma 2011, a cura di Paolo Garonna, è legata al 150° dell’Unità d’Italia. Personalmente, l’ho vissuto anche come membro del Comitato dei garanti per le celebrazioni, presieduto da Ciampi, prima, da Amato, poi.
Rispetto ai timori iniziali, stante la carenza di fondi, le celebrazioni sono state un successo. E ciò è avvenuto – occorre sottolinearlo – sebbene l’economia italiana dal 1992 sia venuta avvitandosi in quello che più di dieci anni fa chiamai “problema di crescita”. Oggi il problema è di piena evidenza. Vi si aggiunge l’altro, non meno grave, di un Pil di nuovo in caduta, da un livello già di 4-5 punti percentuali inferiore al potenziale produttivo.
Riprendo la definizione di attività assicurative da un mio straordinario insegnante di matematica e di probabilità: Bruno de Finetti: “Prestazioni aleatorie in denaro tra due individui, o enti, per uno dei quali (l’ASSICURATO) esse comportano una riduzione del rischio, mentre per l’altro (l’ASSICURATORE) comportano un’assunzione di rischio” (de Finetti-Emanuelli, Economia delle Assicurazioni, p. 251). A propria volta, nei suoi scritti in materia de Finetti cita spesso fra gli economisti, Ulisse Gobbi: “Il procedimento che consiste nel riunire molti elementi soggetti ad un rischio in modo da mettere a carico di ciascuno una quota della spesa preventivabile per la loro massa, è quello dell’ASSICURAZIONE: il rischio individuale è trasformato in una spesa certa” (Gobbi, Elementi di economia, p. 60).
Quella delle assicurazioni nell’Italia contemporanea è una storia nell’insieme di successo, in cui le ombre non oscurano del tutto le luci, come il libro racconta con dovizia di dati e di dettagli.
Nei primi decenni dell’Ottocento, quando l’economia della Penisola si avviava a diventare economia di mercato capitalistica, l’Italia si segnalava in Europa per un ritardo sia nella domanda sia nell’offerta di prodotti assicurativi.
Se le prime ditte assicurative sono sorte, a Torino e a Trieste, intorno al 1830, ancora nel 1870 i miei dati indicano uno stock dei loro investimenti non superiore allo 0,5 per cento delle attività totali degli intermediari finanziari italiani di allora e allo 0,1 per cento del Pil. Cento anni dopo, nel 1970, le due percentuali erano salite rispettivamente al 5 e all’11 per cento. Oggi nel nostro Paese tutta la gamma dei servizi assicurativi è in vario grado domandata da individui e imprese. È offerta da circa 240 ditte per lo più di consolidata reputazione, ben regolamentate e supervedute dall’ISVAP. I loro investimenti sono saliti al 10 per cento delle attività degli intermediari finanziari e al 30 per cento del Pil. Al settore assicurativo va altresì riconosciuto il merito non piccolo di rendere meno ristretto il numero delle imprese italiane di grande dimensione e di rilievo internazionale.
Il ritardo rispetto ai paesi di punta non è ancora colmato. Permangono, in specie nel ramo danni, problemi di efficienza/concorrenza. Nondimeno, un lungo cammino è stato compiuto, che consente non solo di celebrare, ma anche, con sobrietà, di festeggiare i 150 anni “assicurativi”.
La questione che soprattutto interessa con riferimento alla storia e soprattutto alla condizione attuale dell’economia italiana è quella del legame fra assicurazione e crescita economica. Si tratta, come è evidente, di un nesso causale che, se esiste, può andare in entrambe le direzioni: dalla crescita dell’economia a quella dei servizi assicurativi e viceversa. Il “viceversa” rileva in modo particolare in una economia in cui il Pil e soprattutto la produttività – del lavoro e “totale dei fattori” – sono in tendenziale ristagno.
Il nesso che va dalla crescita dell’economia alla domanda di servizi assicurativi è stato ampiamente analizzato, anche sul piano econometrico, per una molteplicità di paesi. L’elasticità/reddito della richiesta di protezione dai rischi si è confermata sistematicamente e significativamente ben maggiore dell’unità. Il caso italiano rientra pienamente in questa basilare, accertata regolarità. Essa dischiude all’industria assicurativa prospettive di ulteriore espansione, alla condizione che l’economia italiana si riprenda, nel duplice senso di uscire dalla recessione e tornare alla crescita.
Altre variabili potranno influire: i tassi d’interesse, la previdenza sociale, la demografia, l’inflazione, l’istruzione, il diritto dell’economia, lo sviluppo della finanza, e, ovviamente, i prezzi e la qualità dei servizi assicurativi offerti. Ma l’effetto di queste variabili – positivo o negativo – è meno sistematico e molto più debole dell’effetto/reddito, che resta la determinante fondamentale della domanda di protezione, nelle diverse forme tecniche e finalità che essa assume (Brainard, 2011).
Queste analisi corroborano quindi l’immagine dell’assicurazione come bene superiore, alto nella “curva di Engel”: un bene che, se mancasse, ovvero venisse offerto a prezzi alti e con qualità scadente, determinerebbe un abbassamento del benessere materiale, approssimato dal livello del reddito pro-capite.
Ma siamo interessati forse più che al livello al tasso di crescita di lungo periodo del reddito pro-capite: al legame che va nell’altra direzione, dall’offerta di precauzione alla crescita di trend dell’economia e, in specie, della ristagnante economia italiana.
Sul piano teorico, a priori, l’offerta assicurativa per certi versi promuove, ma per altri versi frena lo sviluppo economico.
Lo promuove perché consente di meglio valutare, al limite di misurare, il rischio. Lo promuove perché trasferisce il rischio da chi è meno a chi è più capace di gestirlo e sopportarlo. Lo promuove perché chi si libera del rischio può accettare rendimenti più bassi su maggiori investimenti produttivi essendo egli avverso al, e non amante del, rischio.
Vale citare ancora Gobbi: “Quando il rischio non può essere eliminato, esso si presenta come una circostanza sfavorevole, tale da allontanare dall’impiego in cui esso si verifica capitalisti e lavoratori. E affinché questi siano allettati ad affrontarlo, occorrerà un più alto saggio d’interesse (profitto) o di salario”.
Inoltre, l’anticipo della raccolta-premi rispetto al loro uso per gli eventi negativi si trasforma in intermediazione finanziaria. Accrescendo l’ampiezza, l’efficienza, la stabilità dei mercati finanziari, l’assicurazione promuove anche per questa via lo sviluppo.

Al tempo stesso, l’assicurazione frena lo sviluppo economico se abbassa la propensione al risparmio e quindi l’accumulazione di capitale e se deresponsabilizza gli assicurati inducendoli a comportamenti imprudenti e inefficienti.
Quando il segno delle forze in campo è incerto, come in questo caso, solo l’indagine empirica può accertare quale sia l’effetto netto, se positivo o negativo.
Non disponiamo di analisi econometriche esaustive sul legame fra crescita e assicurazione nel caso italiano. Abbiamo però analisi anche econometriche sull’esperienza di crescita tout-court dell’economia italiana lungo i 150 anni dall’Unità. Nell’insieme, esse dicono che produttività, innovazione, progresso tecnico e infrastrutture “immateriali” sono più importanti nel promuovere la crescita della quantità di risorse – capitale e lavoro – applicate alla produzione. Vale quindi anche nel caso italiano il risultato secondo cui il “residuo di Solow” – i fattori qualitativi – spiegano il 60 per cento della varianza nei tassi di crescita del Pil fra paesi, e che “solo” il 30 per cento è attribuibile all’incremento dello stock di capitale, fisico e umano. Secondo i miei calcoli, quel 60 per cento diventa 70 per cento in Italia nelle due fasi di più rapido sviluppo dell’economia italiana, l’età di Giolitti (1900-1913) e il “miracolo economico” (1950-70). I servizi assicurativi sono nel “residuo”, tra i fattori quantitativi da cui soprattutto dipende la crescita.
Per quanto riguarda il legame tra crescita e finanza (comprensiva della intermediazione finanziaria svolta dalle imprese assicurative, in specie come offerenti protezione nel mercato del rischio), dall’analisi econometrica emerge in generale che il progresso quantitativo e qualitativo della finanza può arrivare a innalzare anche di un punto percentuale il tasso di crescita del Pil pro-capite. Dai miei calcoli ad esempio risulta che la trasformazione profonda avvenuta nel sistema finanziario italiano tra il 1980 e il 2000 ha contribuito per 0,3 punti percentuali, lungo ben 20 anni, a una crescita del Pil pro-capite del Paese che sarebbe stata altrimenti inferiore all’1 per cento l’anno, cioè ancora più mediocre di quanto in realtà è avvenuto.
Su scala internazionale, l’effetto positivo della finanza sulla crescita risulta meno percettibile dagli anni Novanta (Rousseau-Wachtel, 2005). Ciò non si riscontra per l’Italia, quando si dà rilievo al ruolo delle assicurazioni come intermediari finanziari. Nel caso italiano i test di causalità di Granger hanno apprezzato un nesso causale fra assicurazione e crescita che nel 1961-1996 va in entrambe le direzioni (Ward e Zurbruegg, 2000).
Al tempo stesso uno studio più recente su 29 paesi europei – fra cui l’Italia – relativo al 1992-2004 ha offerto una conferma, ma solo debole, del sostegno dell’assicurazione alla crescita (Haiss-Sümegi, 2006).
Da un altro studio su un più ampio campione di paesi, sviluppati e in via di sviluppo, è risultato che l’assicurazione danni influisce positivamente sulla crescita di entrambe le categorie di paesi, mentre l’assicurazione vita ha effetto positivo solo sulla crescita delle economie più avanzate (Arena, 2006).
Se davvero manca, sarebbe preziosa una analisi specifica sul legame fra crescita e assicurazione nella storia economica italiana, ben distinguendo il contributo più propriamente assicurativo dal contributo di intermediazione finanziaria offerto dall’industria dell’assicurazione.
Questa analisi potrà utilmente prendere le mosse dal volume curato da Garonna, che fornisce un quadro storico/istituzionale esauriente dell’industria assicurativa italiana in età contemporanea.