L’antitrust – una disciplina tra mito e realtà

La disciplina a tutela della concorrenza suscita da sempre forti perplessità fra gli studiosi, creando correnti di pensiero contrapposte circa la sua natura e reale opportunità.
L’economista Alan Greenspan scrisse, ad esempio, che le leggi antitrust hanno condotto alla condanna dei membri produttivi ed efficienti della nostra società in ragione della loro produttività ed efficienza. Lo dimostrerebbero le numerose decisioni antitrust che hanno condannato negli anni delle imprese di successo come l’Alcoa[1]. Questa, afferma Greenspan, sarebbe stata punita perché troppo efficiente[2].
In senso contrario si contrappone, invece, il pensiero del connazionale Giuliano Amato, secondo il quale la legge antitrust è in grado di limitare il potere inefficiente da ben due versanti distinti, quello pubblico dello stato e quello privato delle imprese[3].
Quale dei due pensieri celi alla fine la verità, non è dato sapersi, rappresentando tutt’oggi l’immagine esemplificata circa le posizioni diametralmente opposte assunte da coloro che condannano la disciplina antitrust e dagli altri che la promuovono.
Il presente scritto non vuole alzare una bandiera in favore dell’una o dell’altra posizione, bensì intende far emergere alcuni tra i pensieri critici più significativi che ruotano attorno a questa materia e che costituiscono un tassello fondamentale per la sua comprensione nonché sviluppo.

Il Paese delle Meraviglie di Alice

Un’immagine alquanto curiosa della disciplina antitrust viene proposta proprio da Alan Greenspan, famoso economista statunitense, secondo cui questa ricorda il mondo di Alice nel Paese delle meraviglie dove ogni cosa allo stesso tempo è e non è[4]. Un mondo in cui la concorrenza viene, da un lato, elevata ad assioma fondamentale e a principio guida, e dall’altra, condannata in quanto “spietata”. Dove la legge è talmente vaga che le imprese devono aspettare il verdetto finale del giudice per comprendere se hanno o meno commesso una condotta illecita, contravvenendo il principio di legalità.
Quest’ultimo punto, in particolare, è stato ripreso e condiviso da molti altri cultori della materia, tra cui il celebre Richard Posner e il professore americano Edwin S. Rockfeller.
Posner, in particolare, affermò che termini come “restrizione del mercato” e “monopolizzazione” sono opachi, e che nonostante lo sforzo compiuto dai giudici circa la loro interpretazione, non è possibile individuarne una corretta ed univoca definizione[5].

In termini simili il professore Edwin S. Rockfeller sosteneva nella sua opera dal titolo evocativo “The Antitrust Religion[6], che i principi cardine di questa disciplina sono vaghi e tesi a favorire un ampio potere discrezionale in capo ai giudici.  L’immagine simbolica fornita questa volta dall’autore è quella di una roulette, riconducibile anche qui al fatto che, data l’indeterminatezza della normativa, un’impresa non è in grado fino all’ultimo di sapere se sarà o meno condannata per un crimine di cui ignora l’esistenza, quasi come se puntasse un numero alla roulette.
Per questa ragione Rockfeller muove dall’inesistenza di un diritto antitrust, affermando, al contrario, l’esistenza di una religione, il cui credo è rappresentato dall’illusione che possa esistere una competizione dove qualcuno vince ma nessuno perde.
Le immagini proposte da Greenspan e Rockfeller per rappresentare la disciplina a tutela della concorrenza sono molto suggestive e, nonostante l’evidente forzatura, hanno il pregio di sollevare degli aspetti che non possono essere trascurati nello studio di questa materia, e che è sempre utile tener presente.
Gli spunti critici appena emersi, sono solo alcuni tra i tanti presenti nella letteratura antitrust americana e che di seguito per brevi cenni si cercherà di trattare.

I limiti del diritto antitrust

Analizzando i principali punti critici che contraddistinguono il diritto della concorrenza non si può non di citare l’opera del giudice Frank Easterbrook “The Limits of Antitrust[7]. Un saggio che ha rappresentato un momento di riflessione importante nell’applicazione e sviluppo di questa disciplina, e che ha trovato il conforto di numerosi ed importanti sostenitori, tra cui la nota scuola di Chicago[8].
Easterbrook, in particolare, non nega il ruolo assunto da questa normativa, come al contrario afferma Rockfeller, ma ne critica la visione ottimistica che ha caratterizzato gli anni ’60 e ’70, periodo in cui si è assistito ai casi tra i più rilevanti come IBM, AT&T e GM[9].
Secondo il giudice americano, la normativa antitrust, così come applicata in quegli anni, non è efficiente, ma necessita in tal senso di alcuni filtri, tesi a ridurre gli ingenti costi che questa comporta[10].
Primo filtro è costituito dalla verifica di un effettivo potere di mercato in capo all’impresa indagata, mentre il secondo è connesso al fatto che questa si sia arricchita a danno dei consumatori. Il terzo filtro è invece rappresentato dalla verifica della condotta assunta dall’impresa ed, in particolare, se questa sia o meno da considerarsi peculiare e non comune alle altre imprese del settore. Quarto filtro è riconducibile al fatto che l’impresa indagata abbia effettivamente diminuito i profitti del mercato, mentre l’ultimo è costituito dalla circostanza che la segnalazione provenga da un consumatore o da un concorrente[11].

Simili verifiche preverrebbero, secondo Easterbrook, possibili abusi da parte delle imprese tese a danneggiare, piuttosto che ad accrescere, l’efficienza di un mercato. Quegli stessi abusi denunciati da Baumol, Litan e Schramm[12], suscettibili di scoraggiare quella stessa imprenditorialità e crescita tanto auspicata dal diritto antitrust. È sufficiente pensare in questo senso alle denunce di imprese concorrenti indirizzate alle Autorità antitrust, aventi come unico fine quello di danneggiare l’impresa con maggiore successo nel mercato.
Come premesso, gli spunti critici espressi in questo saggio sono stati significativi, tanto da influenzare, secondo alcuni, il mutato approccio adottato in seguito dalla Federal Trade Commission (FTC) e dal Department of Justice (DOJ), sempre più frenato nell’intervento in casi di c.d monopolizzazione del mercato, e che si è concentrato piuttosto sull’analisi di possibili intese[13]. Un approccio, quello auspicato da Easterbrook e dalla stessa scuola di Chicago nell’applicazione di questa disciplina, che potremo definire più modesto.

Verso l’abolizione del diritto antitrust (Le posizioni estreme di Gary Hull e Dominick T. Armentano)

Se da un lato Easterbrook e la scuola di Chicago promuovono un intervento più moderato da parte di questa normativa, dall’altro lato, un distinto orientamento della letteratura antitrust americana è giunto ad auspicarne l’abolizione in favore del libero mercato. In questo senso si è espresso il professor Dominick T. Armentanoche nella sua opera “The Myths of Antitrust[14] affermò che un mercato è per sua natura competitivo, tale per cui non ci sono ragioni che giustifichino una regolamentazione dell’industria volta a favorirne lo sviluppo. Senza contare che, così come sostengono molti economisti, non esiste nella realtà né una concorrenza pura né un monopolio puro. Armentano poi, riprende il celebre pensiero di Schumpeter, secondo cui la concorrenza perfetta non solo non esiste ma è addirittura inferiore e non ha ragione di essere elevata a modello di efficienza[15].
Le leggi antitrust, secondo i liberali vicini al pensiero di questo accademico, sono immorali, nonostante sostengano presumibilmente il benessere pubblico[16]. Le teorie e la storia che ruotano attorno a questa disciplina non sono altro che un’elaborazione mitologica, sostiene Armentano, priva di alcun solido fondamento, tanto etico quanto fattuale. Il pubblico, egli afferma, è stato semplicemente illuso, credendo che il monopolio rappresenti il vero problema del libero mercato e che la disciplina antitrust costituisca una sorta di “angelo” pronto ad intervenire. I fatti, sostiene il professore, sono in realtà diametralmente opposti. La disciplina antitrust, qualsiasi fine si proponga di raggiungere, non ha fatto altro che celare come un velo l’insidioso processo di monopolizzazione del mercato,[17] invece di impedirlo.
Le parole di Armentano sono particolarmente forti, ma non per questo isolate. Prima di lui Robert H. Bork e Ward S. Bowman Jr.[18] espressero simile scetticismo nei confronti della disciplina antitrust, affermando che questa non rappresenta altro che l’“Anti-free-market”.
Bork, in particolare, riteneva che la stessa rappresentasse qualcosa di mistico, una leggenda, fondata sull’originale convincimento che limitando il libero intervento delle imprese si promuoverebbe il processo di libera concorrenza[19]. Senza dimenticare, come ricorda lo studioso, sia che la sua applicazione rappresenta un costo importante e crescente[20], dato il suo prosperante intervento, sia che la sua diffusione a livello globale[21] allontana sempre di più dalle ideologie liberali di democraticità, e di capitalismo sociale.
Un pensiero così radicale oltre ad essere diffuso, trova anche il conforto di scritti più recenti. Gary Hull, ad esempio, pubblicò nel 2005 l’opera dal titolo “The Abolition of Antitrust[22], contenente saggi di diversi autori, tra cui, Dominick T. Armentano, Richard M. Salsman, John Ridpath e lo stesso Gary Hull, tesi a dimostrare l’immoralità del diritto antitrust.
John Ridpath, in particolare, riconobbe in questa disciplina l’immagine di cancro politico, privo di alcuna teoria economica o di base intellettuale.
Gary Hull, invece, riprendendo il pensiero di Greenspan, affermò l’indeterminatezza dei termini contemplati dalla normativa in esame, per la quale avere successo costituirebbe un crimine.

Brevi considerazioni

Le critiche rivolte a questa normativa sono numerose e tese in generale a dimostrarne l’inefficienza e la dannosità. Qualcuno è giunto addirittura a definirla la legge che ha portato alla ghigliottina delle imprese incolpevoli, o la medicina amara che non è necessario prendere[23].
Nonostante le forti critiche presenti, il diritto antitrust non solo non è stato “abolito” come auspicava Gary Hull, ma al contrario ha vissuto negli ultimi anni un periodo di forte sviluppo, diffondendosi in oltre cento Paesi a livello globale[24].
Sebbene c’è chi affermi che la storia dell’antitrust è un lungo elenco di cause intentate verso imprese radicalmente innovative, verso realtà imprenditoriali che hanno creato, o enormemente ampliato lo stesso mercato che gli si accusa di monopolizzare, il successo di questa disciplina non si è arrestato, portando al contrario a casa successi importanti.
Se da un lato è chiaro che sono diversi i dubbi circa questa normativa, dall’altro, è altrettanto evidente che la stessa conta forti sostenitori e promotori, senza i quali il successo dell’antitrust si sarebbe arrestato.
Il presente articolo certo non ambisce a schierarsi nella scelta delicata sulla opportunità o meno di questa disciplina ma vuole offrire semplicemente qualche spunto di riflessione.

Anche quell’antitrust, come tutte le normative, dovrebbe essere posta su una bilancia per pesarne i reali vantaggi e svantaggi, nell’ottica di cercare quell’equilibrio perfetto che la stessa si propone di perseguire nei mercati.
In questo senso si potrebbe ricorrere all’immagine del test di proporzionalità promosso dalla Commissione europea nella valutazione dei diversi assetti regolamentari, secondo cui sopravviverebbero solo le normative i cui vantaggi superano gli svantaggi.
Un possibile spunto che si può trarre da questo breve approfondimento è l’idea di porre la stessa legge a tutela della concorrenza, sul banco d’esame a cui sono sottoposte le altre normative. In questo modo forse, oltre che ad avere l’opportunità di perfezionarsi, tale disciplina darebbe un segnale forte, dimostrando che crede in quell’equilibrio cui tanto auspica e nel ruolo che questa assume nella tutela della concorrenza, facendosi valutare dalle sue stesse regole definite da molti “vaghe” ed “ambigue”.

Note

1.  United States v. Aluminum Company of America (Caso Alcoa), 1945. Per approfondimenti si veda A.D. Neal e D.G. Goyder, The Antitrust Law of the U.S.A., 3° ed., Cambridge University Press, 1980, pp. 111 e ss. E. Thomas Sullivan Herbert Hovenkamp, Antitrust Law, Policy and Procedure: Cases Materials, Problems, 4° ed., Virginia, LexisNexis, 1999.

2.  Giudice Learner Hand – nel Caso ALCOA affermò che «Non era inevitabile che dovesse sempre anticipare gli aumenti della domanda di lingotti e prepararsi a farvi fronte. Nulla la costringeva a raddoppiare continuamente la sua capacità prima che altri entrassero nel settore. Insiste nel sostenere di non aver mai escluso i concorrenti; ma non possiamo pensare ad un’esclusione più efficace di quella che consiste nell’abbracciare progressivamente ogni nuova opportunità appena dischiusa e nell’affrontare ogni nuovo competitore con un’energia inedita e già inserita in una grande organizzazione che ha il vantaggio dell’esperienza, delle relazioni commerciali e di un personale di élite

3.  G. Amato, Il potere e l’antitrust, Bologna, il Mulino, 1998. Per approfondimenti circa questa corrente di pensiero si veda C. Thomas K. McCraw, Prophets of Regulation, Cambridge, Mass.: Belknap Press of Harvard University Press, 1984, pp. 144 e s. L’antitrust è sempre rimasto uno strumento di politica economica particolarmente vitale, atto a migliorare nel tempo il benessere del consumatore. Thomas K. McCraw, American Capitalism, Harvard University Press, Cambridge Masachussetts, p. 330. È difficile definire gli effetti sulla concorrenza di questa disciplina che negli anni ha commesso grandi errori, i quali però si sono rivelati economicamente efficaci.

4.  In Alberto Mingardi, Antitrust Mito e realtà dei monopoli (a cura di), Alan Greenspan, Antitrust: miti e leggende, Catanzaro, Rubbettino, 2004, pp. 55 e ss.

5.  Richard A. Posner, Antitrust Law, The University of Chicago Press, 2° ed., Chicago and London, 2001, p. 1, «“restraint of trade”, “substantially to less competition”, “monopolize” are opaque; and the congressional debates and reports that preceded their enactment, and other relevant historical materials, cast only a dim light on the intended meaning of the key terms

6.  Edwin S. Rockefeller, The Antitrust Religion, Cato Institute, Washington D.C., 2007, p. 1: «This book’s thesis will be developed first by defining antitrust as a religious faith with an existence independent of the antitrust statutes

7.  Frank H. Easterbrook, The Limits of Antitrust, 63 Tex. L. Rev. 1(1984)

8.  Cfr. George L. Priest, The Limits of Antitrust and the Chicago School tradition, «Journal of Competition Law & Economics», 6(1), 1–9, 2009. In particolare, Priest tentò di collocare questo saggio di Frank Easterbrook nella tradizionale analisi antitrust della Scuola di Chicago « will attempt to situate Frank’s great essay, The Limits of Antitrust within the Chicago School tradition of antitrust analysis. I want to make the point that Frank’s essay is in line with the approach to antitrust and government regulation initiated by Aaron Director and Ronald Coase as manifested in the Journal of Law & Economics and elsewhere, but represents a significant extension of the approach in several dimensions

9.  Greyhound Computer Corp. v. IBM Corp. 559 F2d 488 (9th Cir. 1977), 86 – United States v. AT&T, 552 F. Supp. 131 (D.D.C. 1982) – United States v. General Motors Corp., 384 U.S. 127 (1966).

10.  Si pensi per esempio ai costi che servono per sostenere il lavoro di vigilanza e d’indagine svolto dalle diverse Autorità antitrust. Per approfondimenti sul punto si veda Ky P. Ewing, Competition Rules for the 21st Century, International Competition law series, 2° ediz., p. 38: «The size of the “antitrust industry” implied by my survey done for the ABA Section of Antitrust Law survey is truly remarkable. It probably approached $ 11 billion annually in the year 2000, and undoubtedly exceeds $ 15 to $20 billion today».

11.  Per approfondimenti si veda Ronald A. Cass, Competition in Antitrust Regulation: law beyond limits, «Journal of Competion Law & Economics», Oxford Journals, Vol. 6, no I, march 2010, pp. 119 e ss. e Thomas A. Lambert, The Roberts Court and the limits of antitrust, «Boston College Law Review», vol. 52, 2011.

12.  William J. Baumol, Robert E. Litan, Carl J. Schramm, Capitalismo buono Capitalismo cattivo, Milano, Università Bocconi editore, 1° ed., 2009, pp. 326 e ss.

13.  Cfr. Caso Matsushita Electric Industrial Co. v. Zenith Radio Corp, 475 U.S. 574 (1986). Per approfondimenti vedi Thomas Sullivan Herbert Hovenkamp, Antitrust Law, Policy and Procedure: Cases Materials, Problems, cit., pp. 325 e ss.

14.  Dominick T. Armentaro, The Myths of Antitrust, New Rochelle-New York, Arlington House, 1972.

15.  Schumpeter, Capitalismo, socialismo e democrazia, Milano, Etas, 5° ed., 2001, p. 81. Inoltre secondo il noto economista non solo la concorrenza perfetta non esiste ma il monopolio rappresenterebbe l’arma più potente del progresso economico. In particolare, «non basta dunque sostenere che, essendo impossibile nelle moderne condizioni industriali – o in tutte quelle del passato – una concorrenza perfetta, l’azienda o l’unità di controllo su vasta scala va accettata come un male necessario inseparabile dal progresso economico, che le forze inerenti al suo apparato produttivo impediscono di sabotare. Dobbiamo riconoscere ch’essa è divenuta l’arma più potente di questo progresso economico e, in particolare, dell’espansione a lungo termine della produzione totale, non solo a dispetto, ma (in notevole misura) a causa di una strategia che pure, vista nel caso singolo e dal singolo punto del tempo, ha un’apparenza così restrittiva ».

16.  Dominick T. Armentaro, The Myths of Antitrust, cit.,p. 55.

17.  Dominick T. Armentaro, Antitrust and Monopoly – Anatomy of a Policy Failure, 2° ediz., The Indipendent Institute, 1990, p. 273.

18.  Robert H. Bork e Ward S. Bowman Jr., The Crisis in Antitrust, in «Columbia Law Review», vol. 63, n. 3, March 1965. In questo saggio gli scrittori di Yale affermarono che «the situation would be sufficiently serious if antitrust were merely a set of economic prescriptions applicable to a sector of the economy. But it is much more than that; it is also an expression of a social philosophy, an educative force, and a political symbol of extraordinary potency. Its capture by the opponents of the free market is thus likely to have effects far beyond the confines of antitrust itself».

19.  Robert H. Bork, The Antitrust Paradox, New York, Basic Books, Inc. Publishers, 1978, p. 418. Per approfondimenti si veda anche William E. Kovacic, The Antitrust Paradox Revisited: Robert Bork and the transformation of Modern Antitrust Policy, «The Wayne Law Review», vol. 36, 1990, pp. 1414 e ss. Secondo quest’autore l’opera di Bork ebbe il pregio d’influenzare lo sviluppo del diritto antitrust verso un suo ridimensionamento, dopo la “drammatica” espansione che caratterizzò questa disciplina negli anni ’60 e ’70.

20.  Cfr. Thomas A. Lambert, The Roberts Court and the limits of antitrust, cit., p. 9 e ss.

21.  Ky P. Ewing, Competition Rules for the 21st Century, cit., p. 1. «It is remarkable that well over half of the members of the United Nations and over 67% of the members of the WTO have competition laws, and many of the others may be expected to enact them in the decades to come ».

22.  Gary Hull, The Abolition of Antitrust, New Bruswick (U.S.A.) and London (U.K.) Transaction Publisher, 2005.

23.  Antitrust Mito e realtà dei monopoli (a cura di) Alberto Mingardi, cit., p. 7.

24.  Ky P. Ewing, Competition Rules for the 21st Century, cit., p. 1, «The closing decades of the Twentieth Century see the triumph of free economies over “command-and-control” systems throughout much of the world…At least 100 nations have recognizable “competition policy” law..».