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Il principio di concorrenza anche nella pianificazione urbanistica*

di - 9 Marzo 2012
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Il nuovo e più significativo rapporto pubblico privato, in una concezione meno autoritativa del piano urbanistico, si gioca «a monte». Cioè nella fase di concezione del piano[13].
Come si fa a realizzarlo? Sono sufficienti i cosiddetti «apporti collaborativi» che molte leggi regionali suggeriscono/impongono di ricercare ai Comuni che si accingono a formare un nuovo strumento urbanistico generale?
Certamente no.
Nella nuova concezione il privato infatti concorre a formare la domanda pubblico-collettiva; la sua partecipazione costituisce una forma di validazione della stessa.
Occorre pertanto individuare un modo per realizzare la partecipazione del privato alla formazione del piano già nella fase iniziale, quando se ne definisce il cosiddetto «concept».
La modalità, indipendentemente dalla forma che questa partecipazione potrà avere, deve rispettare il principio di concorrenza oltre quello ben più primario dell’interesse generale ovviamente[14].
Il pubblico dovrà valutare le idee, gli apporti, le proposte/disponibilità (da qui l’istituto del «contratto di disponibilità») del privato.
Il pubblico potrà anche «premiare» le proposte migliori sotto il profilo sociale, ambientale, architettonico, etc., che vengono dal mercato.
Ma dovrà superare la condizione che per essere destinatari di diritti di costruire è «sufficiente» essere proprietari del suolo.

3.    Un tempo, che per qualcuno ancora correttamente debbo segnalare non è passato, tutto ciò lo facevamo nella considerazione che quello che veniva definito nel gioco combinato destinazioni d’uso/ intensità d’uso erano delle previsioni edificatorie. Da qualche tempo a questa parte come ho già avuto occasione di ricordare, ciò non lo è più. Di fatto si tratta di veri e propri diritti edificatori. Da quando?
Implicitamente da quando anche la potenzialità edificatoria viene tassata, cioè da quando si è introdotta l’ICI (dal 1° gennaio 1993).
Più nettamente con il d.l. n. 112/ ed ora anche con il già ricordato D.l. 70/2011.
È a questo punto che la questione del principio di concorrenza e la pianificazione urbanistica rischiano la collisione
Ritorna la questione: è sufficiente essere proprietari del suolo perché si possa esercitare il diritto edificatorio? E che sia possibile aspettare senza conseguenze se non quelle di dover pagare delle tasse, che il suolo di cui si detiene la proprietà diventi funzionale alle esigenze collettive, perché si possa esercitare il diritto edificatorio?
Evidentemente no! E allora?
Già prima ho accennato alla questione della competizione tra proprietari per essere destinatari di diritti di edificazione.
Ricordo la precisazione che le proprietà che devono fra loro competere sono anche quelle pubbliche.
Anche ad esse saranno assegnati diritti edificatori per mezzo della competizione.
Del resto non è già quello che accade – o meglio dovrebbe accadere -, ad esempio nel caso delle concessioni di spiaggia? È solo un esempio. Anche divertente per gli urbanisti.
Al di qua del lungomare di una qualunque città costiera, di un qualunque «waterfront», i diritti d’uso sono di fatto nella disponibilità piena della proprietà fondiaria. Al di là, vanno (andranno) conquistati, vincendo una gara tra contendenti.
Che differenza c’è tra le attività ricettive, di tempo libero, ricreative, etc., che si svolgono al di qua e quelle che si svolgono al di là del lungomare? In pratica nessuna. Sono tutte e allo stesso modo attività turistico-commerciali, ricreative, ricettive, etc., differenziate tra loro solo per livelli qualitativi e tariffe d’uso/accesso.
Per inciso ricordo che dal 2015 le concessioni di spiaggia dovranno essere assegnate previa gara.
La UE ha solo consentito una deroga dell’applicazione di questo principio, così «sanando» la situazione in essere. Di tutt’altro segno.
Altri esempi tratti dalla pratica, potrebbero essere quello della pianificazione dei porti turistici, molto vicino a quello delle spiagge e quello dell’assegnazione dei diritti di costruire nel passaggio dal piano strutturale a quello operativo. Sono numerosi i comuni che hanno tentato la strada dei confronti concorrenziali, appunto, per operare questo in certo passaggio.
Vengo al cuore del mio ragionamento.
Se non è sufficiente essere proprietari perché si esercitano i diritti di edificazione, come si assegnano i diritti edificatori.
Come si pianifica tale processo? Cosa diviene, di conseguenza, il piano urbanistico?
Da sempre il piano urbanistico è la «banca dei diritti di costruire», ma senza che ne abbiamo coscientemente voluto prenderne atto. Ci piacevano e ci consolavano altre definizioni. Tra quelle che ho citato prima come «mission» dell’urbanistica, non ho menzionato quella più materiale e per questo meno gradita: l’urbanistica, la disciplina che «trasforma la terra in terreno». Cioè in qualcosa da vendere.
Colgo lo spunto per segnalare la curiosa assenza di riflessione italiana sull’economia immobiliare: quanti lavori di autori italiani esplicitamente riferibili a questa articolazione dell’economia conosciamo? Ben pochi!
Lo so, ragionando così, do per scontato che sia avvenuta nei fatti la separazione tra proprietà del suolo ed edificabilità. Che si sia realizzata realmente, ma appunto di fatto, questa tanta auspicata separazione. Cioè che ci si trovi ad operare nella logica generalizzata della concessione di sfruttamento del suolo anche quando questo è di proprietà privata.

Note

13.  Cfr., il Dossier: “Quelle place pour les acteurs dans l’aménagement urbain?, «études foncières», n. 144/2010. In particolare, Jean – Louis Subileau, “Aménagement urbain, du decret au contrat. Une nouvelle manière de faire la ville?; Pierre Bousquet, “L’aménagement public/privé. Chimère, opportunité ou vision à long terme?”.

14.  Philippe de Lara, “L’intérêt général entre justice et communauté”, Vers une nouvelle urbaniste, op.cit.

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