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La Giustizia rimane pubblica, abbiamo privatizzato l’ingiustizia

di - 30 Dicembre 2011
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Regola Numero 5: dalla mancata adesione senza giustificato motivo all’istanza di mediazione il Giudice, nell’eventuale (inevitabile) successivo procedimento “formale” potrà desumere elementi di prova ex art. 116 c.p.c. Cospicuo incentivo all’adesione, ed anche alla ricerca della conciliazione: o paghi (spese di procedura e almeno una parte delle avverse pretese) o, nella successiva causa, parti penalizzato come una squadra di calcio che abbia venduto i risultati di qualche partita. Eh sì, questa è Giustizia!
Si dà, tuttavia, il caso che il soggetto evocato nell’invito ad aderire di cui mi sto occupando difetti di legittimazione passiva: è stata invitata la capogruppo in luogo della società operativa cui, al limite, potrebbero imputarsi i fatti. Significa che dovrò comunque versare i diritti, “costituirmi” partecipando al primo incontro e lì spiegare – informalmente, per carità – le ragioni della mia estraneità, laboriosamente illustrando la complessità organizzativa del Gruppo; significa che in adesione allo spirito della Mediaconciliazione dovrò essere io stesso ad indicare agli istanti quale, tra le società del Gruppo, avrebbero dovuto invitare, e non potrò sottrarmi al sospetto di volere, anche in questo caso, allungare i tempi, nascondermi dietro formalismi ed infingimenti. Altrimenti posso disertare l’incontro, rischiare (?) il successivo giudizio “formale” ed affrontarlo con la saldezza della mia buona ragione e l’handicap delle valutazioni ex art. 116.
Adesso mi è tutto più chiaro: all’insegna dell’informalità di approccio non esiste più alcun riguardo per l’utilità della procedura, sicché dovrò prendere parte ad un procedimento al solo fine di sentirmene dichiarare estraneo, dovrò chiedere alla società di spendere soldi ed investire tempo, compulsare le strutture e gli uffici, per negare il risultato sostanziale cui – ne sono certo, epidermicamente – gli istanti hanno buon titolo; dovrò rendermi odioso agli occhi dei miei clienti – attività per la quale non nutro alcun interesse, s’intende –  solo per differire il momento in cui ci troveremo davanti al Giudice naturale della controversia. Dovrò dunque sancire, attraverso costi e spese che ricadranno sulle spalle degli azionisti, ma anche su quelle di tutti i fruitori dei servizi prestati dal Gruppo, il totale fallimento degli obiettivi della procedura di mediazione, la deflazione del contenzioso giudiziario e la celere composizione delle controversie con il ristoro dei torti subiti.
Mentre chi ha sofferto il danno, evidentemente mal consigliato e peggio assistito (e si dovrebbe qui aprire una riflessione sulle reali finalità di ogni progetto di riforma delle professioni, sulla reale funzione degli Ordini, sulle riserve assicurate da esclusive e tariffe legali) rimane insoddisfatto e privo di tutela, chi ai fatti è estraneo per sentir dichiarare questo elementare dato di fatto deve investire tempo e denaro. E chi, privato, si era eretto ad amministrare un rito comunque di “giustizia”, si arricchisce senza aver svolto alcun ruolo pragmaticamente interessante per la Società. O forse era questo il fine della riforma, assicurare una nuova possibilità di reddito ad alcune categorie professionali sovraffollate e dunque in crescente difficoltà?
Quali controlli, quali disincentivi si possono invocare per prevenire il ricorso a strumentali “inviti ad aderire” a procedure di mediaconciliazione davanti ad organismi di comodo impostati al solo scopo di lucrare i contributi alle spese?
Quali controlli potrà attivare chi abbia creduto nella procedura di mediazione per rivendicare Giustizia e ottenere il ristoro di un torto, e si trovi invece invischiato nelle maglie della “informalità”?
Si è privatizzata l’ingiustizia, altro che storie.

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