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Piani urbanistici e mercato dei diritti edificatori

di - 20 Dicembre 2011
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Sviluppo urbanistico e diritti edificatori trasferibili
Nel sistema perequativo l’amministrazione locale individua le aree interessate dalla trasformazione e i comparti perequativi, all’interno dei quali vengono generati i diritti per tutti i proprietari (anche per quelli di immobili soggetti a vincoli) e che rappresentano egualmente il mercato nel quale tali diritti possono essere scambiati; infine, definisce quali terreni sono oggetto di edificazione, cioè possono “ospitare” le volumetrie da realizzare. Inoltre l’operatività in concreto fa leva su strumenti consensuali, vale a dire su accordi attuativi di piano tra am­ministrazione e privato, e sullo scambio volontario tra privati, che è appunto la condizione necessaria del mercato.
L’introduzione di diritti edificatori trasferibili ad hoc (i cosiddetti tradabie permit) ha luogo negli Usa ed è intimamente connessa alla volontà di preservare le libertà individuali di cui la proprietà e il suo pieno godimento sono un’espressione. Le pratiche regolatorie invero, pur perseguendo l’interesse collettivo, possono ledere il diritto dei proprietari di destinare i propri immobili agli usi che ritengono più adeguati e ne alterano inevitabilmente il valore di mercato. I vincoli di inedificabilità, per esempio, sottraggono al proprietario uno degli usi possibili della proprietà e rendono il valore del titolo per il mercato più incerto nella misura in cui tali vincoli non siano prevedibili ex ante.
L’attribuzione di un tradable permit è stato visto, pertanto, come uno strumento per compensare le limitazioni imposte ex lege ai proprietari immobiliari, restituendo così pienezza al diritto di proprietà e, nel contempo, dando concreta attuazione al principio costituzionale, che impone una “giusta compensazione” qualora le restrizioni regolatorie privino il titolare di una proprietà di tutto o parte del valore di un bene[4]. In altri termini il diritto di edificare sottratto dal vincolo di inedificabilità su un dato terreno viene restituito come permesso trasferibile da commerciare su un altro terreno.
Gli esempi più celebri dell’applicazione di tale tecnica negli Stati Uniti ri­guardano risorse naturali di grande valore – quali, per esempio, la Pinelands National Preserve in New Jersey, un’oasi naturalistica di 4.000 kilometri quadrati, o il territorio del Lago Tahoe, una risorsa di grande valore naturalistico tra California e Nevada – all’interno delle quali vi era la necessità di adeguare le strutture urbanistiche salvaguardando il patrimonio naturale per la collettività, senza gravare in modo esclusivo sui proprietari di fondi ritenuti inedificabili.
Il recepimento in Italia di questo strumento è avvenuto secondo una ratio diversa, e potenzialmente distorsiva, giacché occhieggia alle inesauribili esigenze della finanza pubblica: per superare ristrettezze di bilancio, i Comuni hanno riletto la compensazione via diritti edificatori come uno strumento “economico”[5], per finanziare lo sviluppo urbanistico, per “ricompensare” espropri e pagare in diritti extra la realizzazione di opere pubbliche, nel caso delle cosiddette opere a scomputo[6].
In Italia la perequazione interessa spesso le aree oggetto di trasformazione urbanistica che il piano regolatore destina da agricole a urbane, ovvero aree edificate soggette a radicale riforma strutturale. Tali aree, identificate dall’amministrazione comunale in modo autonomo e unilaterale, producono diritti attraverso l’individuazione di un indice perequativo che serve a calcolare le quote di pertinenza dei singoli proprietari di immobili.
I comparti perequativi, che rappresentano al contempo le aree di produzione dei diritti e il mercato nel quale possono essere scambiati, sono “contigui” o “discontinui” secondo criteri discrezionali dell’amministrazione. Nel primo caso, il perimetro su cui la perequazione insiste è ininterrotto e dunque i diritti verranno diretti a un’area per l’edificazione privata che rappresenta una frazione di tale territorio; nel caso di comparti discontinui, le aree non sono limitrofe e dunque gli immobili edificabili “importano” i diritti da immobili distanti (per esempio da una zona a un’altra della città).
Come si è accennato, poi, lo strumento perequativo, almeno in Italia, determina sovente due fenomeni. Da un lato, le aree prive dei diritti edificatori (perché ceduti) vengono trasferite all’amministrazione, che le destina a finalità collettive individuate dal piano regolatore; dall’altro, si profila la possibilità di incrementare le volumetrie totali attraverso il ricorso alle c.d. incentivazioni urbanistiche, vale a dire a forme contributive di varia natura (denaro, realizzazione di opere, cessione di parte della volumetria). Nel primo caso vi è il rischio di una sorta di esproprio “camuffato”, che usa il diritto edificatorio per catturare il consenso del proprietario riducendo a zero l’esborso comunale; nel secondo, si è in presenza di un vero e proprio strumento finanziario.
In entrambi i casi viene attribuita alla finanza pubblica locale un’inedita possibilità di battere moneta, modificando tuttavia il livello di sviluppo edilizio, “sbilanciato” secondo direttrici non più funzionali all’esigenza di governare il territorio, bensì a quelle di sopperire alle ristrettezze di cassa, in cambio di volumetria addizionale. Questa soluzione, inoltre, rende opaca la definizione della volumetria finale realizzata, che dovrebbe rappresentare, invece, l’obiettivo primario della pianificazione. Infine, interviene sui meccanismi di mercato, giacché l’incremento di titoli aumenta l’offerta complessiva di diritti con effetti svalutativi sul valore dei titoli già esistenti e in mano ai proprietari “perequati”.
L’uso di permessi edificatori trasferibili non può essere disgiunto dalla comprensione piena del funzionamento del mercato come alternativa alla regolamentazione, della quale si prova dunque a dare una sintetica descrizione nel seguito.

Note

4. L’indicazione è tratta dal quinto emendamento della Co­stituzione degli Stati Uniti, che recita appunto: «Nor shall private property be taken for public use, without just compensation». L’applicazione della compensazione ha una lunga storia giudiziaria tra cui, per esempio, il celebre caso Pennsylvania Coal Co. v. Mahon, 260 U.S. 393 (1922).

5. Questo utilizzo dello strumento perequativo sembra essere preso in considerazione dallo stesso legislatore statale. In effetti, nelle more delle vicende giudiziarie del Prgc di Roma, di cui si è detto sopra, il contributo straordinario previsto dal Piano, e annullato dal Tar Lazio, è stato “sana­to” dall’art. 14, comma 16, lettera f), del Decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, c.d. Decreto sviluppo, nell’ambito di alcune disposizioni volte alla stabilizzazione della finanza pubblica e dettate per Roma Capitale.

6. Sotto quest’ultimo profilo, la soluzione italiana è stata ritenuta dalla Corte di Giustizia in contrasto con l’ordinamento comunitario nella misura in cui autorizzava l’affidamento diretto di opere pubbliche, in violazione delle direttive comunitarie sugli appalti pubblici di lavori.

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