Il ruolo dello Stato. Il cammino del grande regolatore. Il protagonista irrinunciabile. Quel che è vivo e quel che è morto di J. M. Keynes

Se avessi partecipato alla stesura del titolo di questa sessione, più che “Quel che è vivo e quel che è morto di J. M. Keynes” avrei suggerito “Quel che resta degli altri” dopo la perfetta tempesta finanziaria dei tempi recenti.
Ho preso invece lo spunto da “Il cammino del grande regolatore”, per compilare un florilegio di passi tratti da documenti ufficiali al fine di documentare il “salto triplo del grande regolatore” lungo il suo cammino che dura da 150 anni: lo stacco (hop) e il primo balzo (jump), il passo (step) e il secondo balzo (jump) dall’incerto appoggio, il terzo balzo (jump) condizionato dagli interessi, l’atterraggio (lending) deludente.

Lo stacco (hop) e il primo balzo (jump).
Ben conscio dell’arbitrio, propongo che l’avvio del cammino del grande regolatore coincida con l’istituzione della Corte dei Conti (prototipo di autorità indipendente); così come si desume dal dibattito che si tenne alla Camera dei deputati nel 1862: istituire la Corte, si legge, “di modo che tra il Ministero e il Re viene ad interporsi una Commissione” (p. 3668). Netto fu Crispi nel sostenere che la Corte“in un Governo rappresentativo ha il sindacato delle pubbliche finanze[1].
Allora la discussione tra Quintino Sella (Ministro delle finanze che privatizzò l’asse ecclesiastico), il relatore Massimiliano Martinelli (nato a San Giovanni in Persiceto ove ricoprì anche la carica di Sindaco ), Francesco Crispi, Giuseppe Pica, Augusto Mancini, Antonio Zanolini (che fu anche Sindaco di Bologna) ed altri deputati, non fu breve (“ai voti, ai voti”, registra il resoconto parlamentare – p. 3664) ruotando attorno al problema di come e se coinvolgere Parlamento e Governo nella nomina dei vertici della Corte (“che devono fare il riscontro ai ministri quindi essi devono essere indipendenti dal Ministro . Sella. p.. 3663).
Nel dibattito si contrapposero due impostazioni, entrambe tese al rispetto dell’articolo 6 dello Statuto (“il Re nomina tutte le cariche dello Stato”).
La prima sostenuta da Sella assegnava (art. 3) all’esecutivo tale nomina: “I presidenti della Corte, i presidenti delle sezioni ed i consiglieri saranno nominati per decreto reale a proposta del ministro delle finanze dopo determinazione del Consiglio dei ministri” (p. 3664).
In accordo con Sella intervenne Crispi sostenendo di lasciare “al potere esecutivo la facoltà di scegliere i membri della Corte dei conti il che per lo meno ha il vantaggio di far cadere sullo stesso la responsabilità di cotesta nomina”(p. 3658) . Anche se, aveva precisato Sella, “in questione di nomine non c’è alcuna soddisfazione poiché se ne contentano tre e se ne disgustano trenta” (p. 3657).
Ma vi fu anche chi (il relatore Massimiliano Martinelli) introdusse nel dibattito l’esempio del Belgio ove la nomina era di fatto una nomina congiunta di parlamento e esecutivo: “si è proposto che la nomina fosse fatta dietro parere conforme di una Commissione composta dei presidenti e dei vicepresidenti dei due rami del Parlamento” (p.3657).
Oggi, la nomina del vertice della AGCM è dei vertici di Camera e Senato, mentre la nomina di altre Autorità è posta a carico del Governo temperata dall’esame preventivo delle commissioni parlamentari.
Ma il nostro ordinamento contempla anche la nomina della Autorità per le comunicazioni di esclusiva spettanza del Parlamento; realizzando così una sorte di caleidoscopio normativo difficile da ricomporre ad unità e ponendo le condizione perché l’ Autorità per le comunicazioni sia “catturata” non dai vigilati, ma dal sistema politico amministrativo; come si vedrà più avanti.

Il passo (step) e il secondo balzo (jump) dall’incerto appoggio.
Sorvolo su molti decenni (compreso quello che vide l’istituzione dell’IRI[2] e l’emanazione della nuova legge bancaria) per atterrare sul cammino del grande regolatore che muove dai lavori della “Commissione De Maria” (1945) [3] a quelli della Assemblea Costituente che ne discusse nel corso dei suo lavori (1946 – 47)[4].
La Commissione De Maria aveva ben presente l’incombenza dell’IRI nell’economia italiana. Ne discusse senza giungere ad alcuna conclusione, se non quella di ritenere che: “Tenuto conto del costo sopportato dalla Stato (…) per il risanamento di determinate aziende, la cessione fattane ai privati non dovrebbe significare il regalo dei milioni spesi dalla collettività, ma dovrebbe avvenire soltanto a prezzo sicuramente concorrente” [5].
Tuttavia, (p. 197) “Dalle risposte pervenute al questionario emerge che da molti si guarda con favore alla conservazione dell’IRI, come mezzo per sostituire le eventuali deficienze dell’iniziativa privata, oppure per attuare particolari compiti di sostegno e di aiuto, ovvero, per l’attuazione di fini statali nel settore economico”. E ancora (p. 388) “Piuttosto quindi che domandarsi se determinati settori debbano essere riprivatizzati (in quanto un eventuale riprivatizzazione delle imprese statali sottoporrebbe l’economia italiana a un “costo di smobilitazione” pressoché sconosciuto), sembra più logico invece chiedersi se non sia possibile introdurre forme più razionali di esercizio”.
Annota tuttavia la Commissione De Maria che “gli interessati parzialmente favorevoli alle nazionalizzazioni hanno spesso risposto negativamente per quanto riguarda il loro settore, ma talvolta affermativamente per quanto riguarda il settore altrui. Così la Montecatini di Milano, pur negando l’utilità di una nazionalizzazione del settore chimico in quanto “controproducente”, si è dichiarata favorevole ad altre nazionalizzazioni”, nei settori “del credito (…), delle ferrovie (…), dell’aviazione civile (…), dell’industria armatoriale (…), dell’industria alimentare” [6].

Sui poteri da assegnare al grande regolatore nel campo della regolazione dei mercati la Commissione De Maria[7] era giunta alla conclusione che ”ritiene inefficaci, in quanto eludibili, i provvedimenti diretti a combattere gli aspetti dannosi delle formazioni consortili e monopolistiche” , afferma che,” in situazioni del genere si debba adottare la soluzione della nazionalizzazione” anche perché, “una disciplina delle formazioni monopolistiche , condotta con i criteri dello “Sherman Act”, non potrebbe condurre affatto a risultati soddisfacenti”. Esplicita fu l’opinione dell’ing. Pietro Ferrerio, Presidente della Edison di Milano, “non credo che la legge Sherman abbia mai funzionato in senso generale. Avrà funzionato in qualche caso, magari a torto[8]. L’impresa pubblica, contrapposta all’impresa privata, fu dunque lo strumento per la regolazione dei mercati.
Dal canto loro i padri costituenti non si discostarono molto dalle proposte della Commissione De Maria. Il modello delle economie pianificate di tipo sovietico non venne mai preso in considerazione anche perché fu subito rinviato ad un imprecisato futuro proprio dal leader del partito comunista Togliatti in uno dei primi interventi, a proposito di un emendamento elaborato insieme a Dossetti (16 ottobre 1946) nella I° Sottocommissione che si occupava dei diritti e dei doveri economico – sociali e che porterà alle proposte per l’art. 41 della Costituzione[9].
Alla Costituente, Mortati (Democrazia Cristiana), Ruini (Democrazia del lavoro), Dominedò (Democrazia Cristiana) diedero grande rilievo al problema della presenza dei monopoli e delle concentrazioni monopolistiche in una economia di mercato.
Dominedò, intervenendo il 1° ottobre del 1946, non ebbe dubbi nel sostenere che “quando si venga a determinare in un’impresa economica il carattere di preminente interesse nazionale, si venga quasi automaticamente a prospettare l’eventualità di uno Stato nello Stato, di una potenza nella potenza collettiva. E’ il pericolo in atto nella forma monopolistica (…) un intollerabile monopolio privato[10].
Fu esplicito Mortati, nel corso della seduta del 13 maggio 1947, sulla necessità di “armonizzare l’attività economica privata con i fini pubblici“, e nel puntualizzare infine che nel “coordinamento ed i controlli a fini sociali, vi è la facoltà di impedire la formazione dei monopoli (…) che quando si sono formati i monopoli, si può intervenire per nazionalizzarli[11].
Einaudi (nella seduta del 13 maggio 1947) sostenne che la lotta ai monopoli dovesse essere recepita formalmente nella nuova costituzione e a tal fine presentò un emendamento in base al quale “la legge non è strumento di monopoli economici; ed ove questi esistono li sottopone a pubblico controllo a mezzo di amministrazione pubblica delegata o diretta[12]. Pare a me che vi fosse in nuce l’idea delle autorità indipendenti. Ma fino al 1974 (nasce la Consob) non se ne fece nulla
Ma la proposta di Einaudi fu criticata da Ruini, presidente della Commissione per la Costituzione, in quanto “l’emendamento sottopone poi a pubblico controllo i monopoli a mezzo di amministrazione pubblica delegata o diretta. Ed è qui che si dispiega la macchina antiliberista dei controlli. Controlli di squisita essenza interventista, con uffici, organi, burocrazia di vigilanza[13]. Dominedò si associò alle critiche di Ruini e la proposta di Einaudi non venne approvata, anche perché ritenuta da Ruini troppo interventista e foriera di eccessiva burocrazia.
Permane la sorpresa del giudizio su di Einaudi considerato “antiliberista”, ma pare a me che il dibattito di oggi sulla burocrazia degli organi deputati alla vigilanza riecheggi quello di allora.

Il terzo balzo (jump) condizionato dagli interessi.
Sorvolo ancora su molti decenni per giungere agli anni novanta caratterizzati dalle norme per la riforma dei mercati finanziari e non, ma soprattutto da quelle per trasformare per decreto legge gli enti pubblici (IRI,ENI, EFIM, ecc) in S.p.A.[14]: come premessa alle privatizzazioni. Ma queste ultime avvennero entro un circuito politico amministrativo che ne condizionò gli sbocchi; così come dimostra, data la sua importanza che consente di trascurare altri settori, l’esempio delle telecomunicazioni che segue.
Un breve detour per spiegarmi meglio.
Si narra negli Usa che l’avvio della fortuna personale di Lyndon B. Johnson (36° Presidente Usa che succedette a J. F. Kennedy) sia dovuta all’ottenimento, per via amministrativa, di alcune licenze per l’utilizzo di radio frequenze. Ciò avvenne nel 1940 quando lo stesso L. B. J. era membro del congresso americano[15].
Negli USA, a partire dagli anni ottanta si era iniziato ad ipotizzare di assegnare tali frequenze non più tramite un processo amministrativo, bensì tramite un’asta competitiva non solo per sottrarre tale assegnazione al circuito politico amministrativo, ma anche per non incorrere nel rischio dell’insorgenza di un potenziale conflitto di “gestione politica” nell’assegnazione delle licenze stesse.

In coerenza con tale dibattito, dal 1994 – dai tempi cioè del primo mandato dell’amministrazione Clinton – la Federal Communications Commission (FCC)[16], ha iniziato ad assegnare le licenze stesse tramite l’asta competitiva gestita in via telematica e con modalità tecniche tali da garantire il pluralismo degli operatori nei settori di riferimento; facendo per tale via beneficiare anche il Tesoro degli Usa che, secondo alcune stime ha incassato circa 14 miliardi di dollari[17]
A differenza degli Usa, in Italia l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni[18] non decide in merito alle diverse concessioni o licenze, ma “esprime parere al Ministero delle Comunicazioni sullo schema del piano nazionale delle frequenze da approvare con decreto del Ministro delle comunicazioni”(art. 1, c. 6).
La nomina parlamentare dei membri della Autorità (di cui prima si è detto) insieme al ruolo del Ministro ed a quello dalla Commissione parlamentare di vigilanza garantiscono così che il processo di assegnazione di concessioni, licenze ed autorizzazioni per l’uso delle frequenze rimanga, a differenza di quanto avviene negli USA, all’interno del circuito politico-amministrativo.
Altri paesi europei, (Germania, Grecia, Irlanda, Austria, Paesi Bassi) ma non l’Italia, avevano da tempo assegnato alle rispettive autorità più ampi poteri, assai simili a quelli esercitati in USA dalla FCC.
Annotò nel 2003 l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, riportando il giudizio della Commissione europea, che in altri paesi (Italia compresa) “l’autorità di regolamentazione esplica , in misura più o meno ampia poteri di regolamentazione di concerto con il ministro competente. La dispersione dei poteri porta inevitabilmente a una riduzione della certezza del diritto richiesta dal mercato, in particolare nei casi ove le decisioni prese da ministri in materia di licenze o controllo dei prezzi potrebbero sembrare,agli occhi del mercato, influenzate da considerazioni politiche” [19]. Così come mi pare avvenga senza alcun dubbio nel caso della RAI e di Mediaset.
Invece di proporre la concorrenza all’interno del blocco che comprende Rai e Mediaset, il grande regolatore dovrebbe portare la concorrenza fuori da questo perimetro consentendo ad altre new entry di partecipare al grande banchetto della pubblicità, di creare nuove imprese e di assumere giovani talenti. Il ricavato delle aste concorrerebbe al riequilibrio della finanza pubblica, ma,forse, il grande regolatore è captive degli interessi del duopolio televisivo.

L’atterraggio deludente: i venti contrari e il ritorno al passato.
Nel corso delle privatizzazioni, il grande regolatore consentì che molti “poteri forti” preferissero rifugiarsi nel settore domestico per erogare servizi di pubblica utilità protetti dalla concorrenza interna ed internazionale, come l’editoria, gli aeroporti, le autostrade, le telecomunicazioni, la ristorazione, caso mai anche protetti dai “poteri speciali” antiscalata attribuiti al Ministero del tesoro oppure dalla mancata costituzione della autorità di regolazione del settore (come nel caso dei trasporti e della rete idrica). Le privatizzazioni non furono dunque accompagnate dalle liberalizzazioni e dalle apposite normative che riducessero il grado di monopolio (alla Kalecki[20]) di molte imprese.
Invece, gli spazi lasciati vuoti dagli investitori italiani furono rapidamente occupati da acquirenti stranieri: tra il 1992 ed il 2000 su circa 40 dismissioni di aziende cedute con tecniche diverse da quella del collocamento sul mercato e per importi superiori a cento miliardi di lire, circa la metà furono cedute ad acquirenti esteri nei settori alimentare, siderurgico, dell’alluminio, chimico, meccanico, elettromeccanico, delle telecomunicazioni, dell’impiantistica, ecc.. Gli incassi dalle cessioni che hanno condotto al passaggio della quota di comando dagli enti pubblici ad investitori stranieri hanno rappresentato circa un terzo del totale degli incassi dalle cessioni del controllo[21].
Concludo con un’ultima citazione tratta da un recente decreto del grande regolatore, che non ha bisogno di commenti:
a)“sono di rilevante interesse nazionale le società di capitali (…) operanti nei settori della difesa, della sicurezza, delle infrastrutture, dei trasporti, delle comunicazioni, dell’energia, delle assicurazioni e dell’intermediazione finanziaria, della ricerca e dell’innovazione ad alto contenuto tecnologico e dei pubblici servizi”.;
b) la CDP dispone della “possibilità di assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale”. Roma, 11 maggio 2011. Firmato, Giulio Tremonti[22].
Sembra l’IRI dei tempi antichi (magari !), ma potrebbe essere la nuova GEPI dei tempi futuri (che orrore!).

Note

1.  Camera dei deputati, sessione del 1861-62. Seguito della discussione del disegno di legge per l’istituzione della Corte dei Conti, pp. 3654-3673.

2.  L’IRI fu istituito con Regio decreto legge 23 gennaio 1933, n. 5 e riformato con d.lgs. 12 febbraio 1948 n.51 ove non si ragiona più di mobilizzazioni per affermare soltanto che “l’IRI gestisce le partecipazioni ed attività patrimoniali da esso possedute”.

3.  Rapporto della Commissione Economica, presieduta dal Professore Giovanni De Maria, presentato all’Assemblea Costituente”, Istituto poligrafico dello Stato,1947 La Commissione venne istituita nel 1945 per svolgere attività di studio e indagine sulla regolazione dei rapporti economici in vista dell’Assemblea Costituente. Il prof. Giovanni De Maria era allora il Rettore dell’Università Bocconi e collaborarono con lui i migliori economisti di cui disponeva il nostro paese.

4.  La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, Resoconti. Camera dei deputati. Segretariato Generale. Roma dicembre 1976.

5.  Rapporto della Commissione economica, op. cit. Commissione Industria, I° Volume, p. 192.

6.  Rapporto della Commissione economica, op. cit. Industria, vol. II, p. 318

7.  Rapporto della Commissione economica, op. cit. II° vol. Capitolo IV- Tendenze monopolistiche dell’industria italiana pp. 239 – 240.

8.  Rapporto della Commissione economica, op. cit. Industria, vol. II, p. 240).

9.  Assemblea Costituente, op. cit. vol. VI, p. 554. Affermò Togliatti, che «si sta scrivendo una Costituzione che non è una costituzione socialista, ma è la Costituzione corrispondente ad un periodo transitorio di lotta per un regime economico di coesistenza di differenti forze economiche che tendono a soverchiarsi le une con le altre. In questo periodo è evidente che la lotta che si conduce non è diretta contro la libera iniziativa e la proprietà privata dei mezzi di produzione in generale, ma contro quelle particolari forme di proprietà privata che sopprimono l’iniziativa di vasti strati di produttori e, particolarmente, contro le forme di proprietà privata monopolistiche, specie nel campo dei servizi pubblici, che tendono a creare nella società dei concentramenti di ricchezze che vanno a danno della libertà della grande maggioranza dei cittadini, e quindi vanno a scapito dell’economia e della politica del paese».

10.  Assemblea Costituente, op. cit. vol. VIII, p. 2193.

11.  Assemblea Costituente, op. cit. vol. II, p. 1659-1660; 1669.

12.  Assemblea Costituente, op. cit. vol. II, p. 1666.

13.  Assemblea Costituente, vol. II, p. 1669.

14.  Decreto legge (Amato) 11 luglio 1992, n.333 conv. in legge 8 agosto 1992, n.359, Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica, che trasformò forzatamente in SPA gli enti di gestione delle partecipazioni statali; legge (Ciampi) del 26 novembre 1993, n. 489, Norme recanti disposizioni per la ristrutturazione e la integrazione del patrimonio degli istituti di credito di diritto pubblico, nonché altre norme degli istituti medesimi, che riservava alle fondazioni di origine bancaria il 51% delle azioni delle banche conferitarie; decreti legge (Ciampi) reiterati che confluirono nella legge 30 luglio 1994, n. 474, “Norme per l’accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni”; legge (Ciampi) 23 giugno 1993, n. 202, Disposizioni urgenti per la soppressione del Ministero delle partecipazioni statali e per il riordino di Iri, Eni, Enel, Imi, e Ina; decreto legge (Ciampi) 10 novembre 1993, n. 439 Soppressione dell’Ente partecipazioni e finanziamento industria manifatturiera EFIM.

15.  Cfr. G.R. Faulhaber,D.J. Farber, Spectrum Management: Property Rights, Markets and the Commons, www.aei.brookings.org, p. 4

16.  The FCC is directed by five Commissioners appointed by the President and confirmed by the Senate for 5-year terms, except when filling an unexpired term. The President designates one of the Commissioners to serve as Chairperson. Only three Commissioners may be members of the same political party. None of them can have a financial interest in any Commission-related business. Since 1994, the Federal Communications Commission (FCC) has conducted auctions of licenses for electromagnetic spectrum. These auctions are open to any eligible company or individual that submits an application and upfront payment, and is found to be a qualified bidder by the Commission. Cfr. www.fcc.gov.

17.  G.R. Faulhaber,D.J. Farber, Spectrum Management: Property Rights …, op. cit..

18.  Istituita con legge 31 luglio 1997, n. 249 in base ad una libera interpretazione “domestica” della consorella Usa, FCC.

19.  AGCOM, Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, La regolamentazione nelle comunicazioni, Allegato alla Relazione annuale, Roma 30 giugno 2003, p. 27.

20.  M. Kalecki,Teoria della dinamica economica. Parte I. Grado di monopolio e distribuzione del reddito, Edizioni scientifiche Einaudi, 1957, p. 1 e ss.

21.  Mediobanca – R & S, Le privatizzazioni in Italia…, op. cit. p. 30, tab. 1.1, pp. 33-35 e tab. 1.4 pp. 40-42.

22.  Ministero dell’Economia e delle finanze, Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, 3 maggio 2011.