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Stato e Mercato in Sanità: la nuova configurazione del National Health Service alla luce della proposta di riforma Cameron

di - 20 Giugno 2011
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Pensiamo ai GPs che possiedono partecipazioni azionarie in società private che forniscono servizi per il NHS (situazione molto comune negli Stati Uniti d’America, dove concorre ad aumentare i già vorticosi livelli di spesa complessiva per beni e servizi sanitari e a determinare livelli imbarazzanti di inappropriatezza prescrittiva). Ma pensiamo soprattutto alla possibilità dei medici di medicina generale di fondare una società alla quale appaltare l’intera attività di committenza: nel momento in cui la compagnia privata dovesse spendere per l’acquisto di prestazioni un ammontare inferiore al budget disponibile, il surplus potrebbe essere ridistribuito tra gli shareholders. Non si tratta di scenari troppo lontani dalla realtà: poche settimane fa, un’inchiesta giornalistica ha portato alla luce un documento dell’IHP (Integrated Health Partners, una società privata di management care già coinvolta nella gestione del commissioning budget di numerosi GPs consortia nella contea del Surrey e che mira a essere quotata in borsa entro pochi anni) dove si prospettano soluzioni allarmanti che vedrebbero i GPs comproprietari della stessa compagnia alla quale esternalizzano le funzioni di committenza. Questo documento è oggi all’attenzione del governo. Al di là di come il disegno di legge e i successivi provvedimenti attuativi riusciranno a limitare problematiche di questo tipo, l’episodio dovrebbe far riflettere sugli effetti distorsivi che il coinvolgimento del privato nell’attività di committenza è in grado di ingenerare. Forse la committenza, da sempre l’anello debole della catena, è una delle aree nelle quali la tensione al profitto rischia di determinare più conseguenze negative che benefici.
La percezione di debolezza della regolazione e di mancanza di vigilanza dall’alto non sembra trovare elementi di smentita. Al di là dei compiti della CQC (di selezione all’ingresso per le strutture che vogliono erogare servizi per conto del NHS e di controllo, ispezione per tutti  i providers sia public che private founded[3], entrambe attività consistenti nella verifica della rispondenza a requisiti di sicurezza e qualità minimi), manca, in merito alle decisioni dei GPs consortia, un controllo forte, un sorveglianza terza deputata a verificare che la selezione di fornitori e prestazioni  sia giustificabile da un punto di vista qualitativo.
Del resto, non è la prima volta che nel Regno Unito si tenta di ovviare alle carenze della committenza, demandando ai medici di base le funzioni di programmazione e acquisto e le esperienze precedenti non possono affatto essere qualificate come positive.
Un altro interrogativo è questo: era necessario, alla luce delle finalità ultime della riforma Cameron, interpretare la concorrenza tra providers come competizione sui prezzi?
La liberalizzazione delle tariffe è sicuramente uno degli aspetti più preoccupanti della riforma Cameron. Nonostante sulla carta venga dato ampio spazio alla qualità, la ricerca di outcomes migliori è inevitabilmente destinata a scontrarsi con la possibilità degli erogatori dei servizi sanitari di offrire prezzi più bassi rispetto a quelli definiti da Monitor.
La letteratura è concorde nello stabilire che, laddove le tariffe sono fisse (pensiamo, ad esempio, a un intervento di colecistectomia laparoscopica che abbia lo stesso costo, indipendentemente dal provider che offre il servizio), la selezione dell’erogatore avviene sulla base di criteri qualitativi. Al contrario, nei mercati (come quello sanitario) dove la qualità è molto più difficile da osservare e più opinabile rispetto al prezzo, la possibilità di variare le tariffe delle prestazioni è suscettibile di ingenerare un gioco al ribasso, nel quale committenti e produttori dei servizi focalizzano la loro attenzione sui costi, a scapito della qualità.
La stessa introduzione di meccanismi di payment by results, tanto più quando i risultati sono valutati non soltanto in termini qualitativi, ma anche finanziari, rischia di produrre effetti avversi difficilmente arginabili. Nel nuovo quadro tratteggiato dalla riforma Cameron, ogni paziente può potenzialmente costituire un’opportunità di profitto: i premi, nel sistema incentivante qui proposto, sono legati anche a performance economiche, più facilmente valutabili di quelle qualitative. Tale circostanza non solo rischia di alimentare la rincorsa verso i prezzi più bassi, a scapito della qualità ma, introducendo nell’immaginario comune un potenziale conflitto di interessi tra professionista sanitario e paziente, è suscettibile di minare quel senso di fiducia nell’imparzialità del medico che è alla base del rapporto di agenzia medico-paziente.
Anche la valutazione su parametri qualitativi, non è scevra da aspetti negativi: il rischio è quello della selezione avversa (tendenza dei produttori dei servizi, soggetti a valutazione, a non intraprendere interventi o percorsi terapeutici per i casi ad alta probabilità di esito negativo) e di un aumento dell’inappropriatezza, legato, a sua volta, a uno spostamento verso i casi meno gravi per mantenere elevato o aumentare il volume di attività (crescendo il denominatore del rapporto, le performance negative si spalmano su una popolazione più ampia) e la probabilità di riuscita.
Su questo punto, il governo si è mostrato più cauto, rimandando la definizione del modello di pay for performance a un momento successivo all’approvazione del Bill, quando sarà possibile aprire una consultazione sull’argomento.
Infine, per quanto riguarda la posizione strategica che nei modelli ibridi si vuole riservare al cittadino paziente, dalla stessa esperienza inglese emergono due evidenze: da una parte l’esistenza di una domanda crescente di trasparenza sul livello qualitativo dei servizi sanitari, dall’altra l’impatto modesto delle valutazioni comparative nella formulazione della scelta (ovvero i cittadini non utilizzano le informazioni disponibili sulla qualità di un servizio nell’orientare le loro preferenze di consumo). La scarsa familiarità con gli indicatori di performance, l’estraneità ai metodi statistico-matematici di semplificazione e rappresentazione della realtà sono situazioni comuni a molti individui. Tuttavia, l’assenza di dimestichezza e i problemi di comprensione sembrano non limitarsi agli elementi più complessi e tecnici dei report di valutazione ma si estendono anche agli aspetti più basilari, rendendo vano tutto lo sforzo informativo. In particolare, in letteratura, si dà evidenza di come la maggior parte dei lettori non sia in grado di assegnare un significato ai vocaboli utilizzati (difficoltà nella comprensione del linguaggio medico-sanitario), di discernere se i valori (alti o bassi) assunti dagli indicatori siano indicativi di buona o cattiva qualità e di desumere dalle misure le informazioni implicite sulla qualità (comprenderne il valore applicativo).
Per quale ragione ciò che fino a ora ha dato prova di non funzionare dovrebbe costituire la principale nuova leva di miglioramento e di razionalizzazione del sistema?

Nota per i lettori
Pochi giorni dopo la lecture, il disegno di legge, approdato alla Camera dei Comuni, ha subito una battuta d’arresto. Le forti critiche e i risentimenti che la sua presentazione ha suscitato nell’opinione pubblica e nei gruppi di interesse (in particolare la BMA) e il timore di una bocciatura alla camera dei Lords hanno indotto David Cameron ad annunciare uno slittamento dei tempi previsti per l’attuazione e l’apertura di una nuova fase di consultazioni. Il Governo sta prendendo in considerazione l’introduzione di emendamenti al testo originario che ridimensionino lo spazio concesso al mercato e consentano ai medici di medicina generale di rimanere svincolati da ipotesi associative (rendendo discrezionale l’adesione a consorzi).

Note

3.  Le informazioni per intraprendere attività di ispezione provengono da HealthWatch, dai consorzi, dal Board, da feedback e denunce dei pazienti.

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