Gare pubbliche, concorrenza e giudice amministrativo

Il formalismo delle procedure di gara produce due effetti perversi: altera il confronto concorrenziale; genera contenzioso.
Altera la concorrenza (intesa come concreta modalità di funzionamento efficiente dei mercati e non solo come declinazione di una libertà soggettiva di svolgere l’attività economica) perché sposta il criterio di selezione dell’offerta su di un piano diverso da quello dell’efficienza competitiva. La sovrabbondanza di prescrizioni formali rischia di far coincidere l’offerta migliore con l’offerta formalmente ineccepibile, piuttosto che con quella economicamente più allettante.
Genera inevitabilmente contenzioso, con conseguente allungamento dei tempi per la realizzazione delle opere pubbliche, perché l’appiglio della minima irregolarità formale dell’offerta risultata aggiudicataria consente ai concorrenti delusi di rimettere in discussione il risultato della gara e, magari, di ottenere la commessa per la via giurisdizionale[1].
Poste queste premesse, la posizione del giudice amministrativo sul problema delle conseguenze, escludenti o meno, della mancata osservanza delle prescrizioni formali non è indifferente, nell’ottica della tutela del bene giuridico concorrenza. L’orientamento favorevole ad una dequotazione degli effetti della mancata osservanza delle prescrizioni formali, che regolano le procedure di gara pubblica, può incidere positivamente sull’efficienza del mercato.
Qualche riflessione sullo stato della giurisprudenza in questa materia non mi sembra sia resa superflua dall’entrata in vigore dell’art. 4, co. 2 del d.l. 70/2011, c.d. Decreto sviluppo. La modifica è certo rilevante perché l’art. 4, comma 2, che va a riformulare l’art. 46 del d.lgs. 163/2006, inserendo nel testo un comma 1 bis, introduce il principio della  “tassatività delle cause di esclusione”.
In buona sostanza, le prescrizioni, la cui inosservanza autorizza la stazione appaltante ad escludere i concorrenti da procedure di gara, sono solo quelle contenute nel medesimo codice dei contratti pubblici, nel regolamento o in “altre leggi vigenti”.
A parte questi casi, prosegue la norma, l’esclusione potrà essere disposta solo se vi è incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali, ovvero in caso di non integrità del plico contenente l’offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere secondo le circostanza concrete, che sia stato violato il principio di segretezza dell’offerta.
E’ previsto infine che in nessun caso, i bandi e le lettere di invito possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione e che tali prescrizioni, se  inserite nel bando, sono nulle.
Anche nel nuovo contesto normativo, la giurisprudenza maturata sul precedente assetto può comunque offrire suggestioni utili per decifrare l’esatto significato delle nuove disposizioni e per orientare l’interprete, e lo stesso giudice, nella soluzione del vasto contenzioso pendente.
Nella più recente giurisprudenza amministrativa l’orientamento favorevole ad una dequotazione del formalismo delle gare pubbliche sembra prevalente.
I percorsi seguiti sono diversi. Non sempre lineari, però, né scevri di ripensamenti.
Un primo appiglio, che è utilizzato per dare ingresso alle istanze sostanziali e dunque pro concorrenziali nei meccanismi della gara pubblica, è fornito dalla regola dell’obbligo di soccorso.
L’indirizzo fa leva su alcuni dati testuali. L’art. 46 del d.lgs. n. 163 del 2006 (“Codice dei contratti pubblici”) espressamente attribuisce all’amministrazione appaltante la facoltà di invitare le imprese “a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati”.
Ancora prima, l’art. 6, lett. b) della l. 241/1990 assegna al responsabile del procedimento il compito di invitare alla rettifica di eventuali irregolarità formali.
Nel bilanciamento tra le opposte esigenze del favor partecipationis e della tutela della par condicio dei concorrenti, la decisione della stazione appaltante se richiedere o meno la regolarizzazione o il completamento della documentazione deve essere improntata ai principi di buona fede e ragionevolezza ed è sindacabile – afferma la giurisprudenza – alla stregua di tali criteri generali.
Così, ad esempio, è stato dichiarato illegittimo il provvedimento di esclusione per la mancata presentazione di una dichiarazione che era stata resa nella fase della pre-qualificazione (Tar Lazio, Roma, sez. III, 31 dicembre 2010, n. 39288), ovvero il cui contenuto era desumibile da altra dichiarazione resa dal concorrente (Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 2009, n. 1840), o per la mancata dichiarazione circa l’osservanza del divieto di intestazioni fiduciarie da parte di una società appartenente ad una tipologia la cui disciplina non consente il trasferimento e la circolazione di quote e azioni (Cons. Stato, sez. V, 16 dicembre 2010, n. 8946).
In altri casi, la dequotazione delle prescrizioni formali passa per l’applicazione del principio della necessaria strumentalità delle forme allo scopo, principio che viene declinato su due versanti.
Il principio di strumentalità delle forme implica, in primo luogo, che la invalidità o la nullità di un atto non possono essere pronunciate se l’atto, pure difforme dalla fattispecie astratta, ha raggiunto lo scopo che la forma prescritta persegue.

Ripetuta è così in giurisprudenza l’affermazione secondo la quale, al di là delle formalità in concreto osservate dal concorrente, ciò che conta è il raggiungimento dello scopo presidiato dalla sanzione di esclusione. Se lo scopo è comunque realizzato attraverso adempimenti equipollenti, l’esclusione si traduce in una misura priva di significato e non può essere legittimamente disposta (Cons. Stato, sez. VI, 22 ottobre 2010, n. 7608; Cons. Stato, sez. V, 8 ottobre 2008, n. 4959).
Il secondo corollario del principio della necessaria strumentalità delle forme consiste nel negare ogni conseguenza alla mancata osservanza di forme inutili, ovvero non rispondenti ad alcuno scopo (Cons. Stato, sez. V, 1 dicembre 2003, n. 7833; Cons. Stato, sez. V, 2 dicembre 2002, n. 6606).
In conclusione, la giurisprudenza che ho ora richiamato sembra propensa a ritenere che ciò che conta, ai fini della legittima ammissione alla gara, è  l’effettivo possesso da parte dei concorrenti di requisiti utili ai fini della valutazione della serietà e della appetibilità dell’offerta, al di là delle dichiarazioni o delle prove documentali offerte.
La valorizzazione del dato sostanziale rispetto a dati meramente formali incontra però un significativo, anche se non del tutto univoco, ridimensionamento nelle decisioni dei giudici.
L’orientamento sostanzialistico entra infatti in crisi in tutti i casi (e sono/erano frequenti) nei quali il bando o la lettera di invito prescrivono determinate formalità espressamente a pena di esclusione.
Secondo un indirizzo giurisprudenziale piuttosto consolidato, anche se mai del tutto pacifico, l’utilizzo della clausola “a pena di esclusione” rende chiara ed incontrovertibile la volontà espressa dalla amministrazione in ordine alla necessità dei documenti, delle dichiarazioni e, più in generale, delle formalità prescritte. Dunque la giurisprudenza ritiene che una interpretazione finalistica, la quale si discosti dal tenore letterale del bando o della lettera di invito, non è percorribile né da parte della stazione appaltante, né da parte del giudice.
Le regole procedimentali di gara, una volta fissate nella lex specialis e presidiate dalla espressa clausola di esclusione in caso di inosservanza, assumono una portata precettiva assoluta.
La stazione appaltante è tenuta al rispetto delle norme cui si è auto vincolata e dunque non può operare alcuna valutazione discrezionale, “accontentandosi” di adempimenti diversi, anche se ugualmente idonei al conseguimento dello scopo, che le formalità prescritte perseguono.
Allo stesso modo, il giudice non può sovrapporre la sua valutazione a quella già compiuta dalla amministrazione, agevolmente deducibile dal tenore letterale del bando (Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2010, n. 4500; Id., VI, 6 luglio 2010, n. 4295; Id, sez. V, 22 aprile 2010, n.2459; Id., sez. V, 28 maggio 2009, n. 3320; Id. sez. VI, 3 aprile 2009, n. 2086; Id., sez. VI, 25 gennaio 2008, n. 212; sez. V, 6 settembre 2007, n. 4683; Tar Lazio, Roma, sez. III, 1 aprile 2008, n. 2780; Id. sez. I ter, 5 settembre 2008, n. 8098; Tar Puglia, sez. Lecce, 25 novembre 2010, n. 2688; Tar Abruzzo, L’aquila, sez. I, 2 maggio 2008, n. 569; Tar Sicilia, Catania, sez. III, 11 luglio 2007, n. 1225).
Nella giurisprudenza, il rilevo della clausola “a pena di esclusione” diviene talmente assorbente da indurre ad un vero e proprio equivoco. In molte sentenza si legge che “formalità sostanziali” sono quelle rispetto alle quali la volontà dell’amministrazione, cristallizzata nella lex specialis, non ammette equipollenti, e non già le formalità che rispondono ad uno specifico scopo o ad una specifico interesse. Conclusione, quest’ultima, che sembrerebbe imposta da una corretta applicazione del principio della strumentalità delle forme.
Come ho già detto, l’indirizzo, teso a sminuire la portata della interpretazione finalistica e sostanziale delle clausole del bando e ad escluderla del tutto in presenza della clausola “a pena di esclusione”, non è mai stato univoco. I precedenti di segno opposto sono rimasti, però, piuttosto isolati[2].
Meritano perciò di essere segnalate due pronunce recenti della sesta sezione del Consiglio di Stato e della sezione di Trento del TRGA.
Nel primo caso, si controverteva della legittimità della esclusione dalla gara per l’affidamento del servizio di gestione di una asilo nido, di una società la quale aveva omesso di inserire la documentazione in una apposita busta chiusa, con la dicitura “Busta A: documentazione”, come prescritto dal bando a pena di esclusione. La sezione VI ha statuito che “la mancata collocazione della documentazione all’interno di una ulteriore busta non aveva violato la ratio ispirante la normativa posta a base delle modalità di presentazione delle offerte (al fine di tutelare la segretezza di queste ultime)”. Difatti “nel caso di specie, la segretezza era stata comunque rispettata, atteso che la busta contenente l’offerta era stata chiusa e sigillata”.
Nel caso deciso dal Tribunale di giustizia amministrativa, si controverteva della legittimità della partecipazione alla gara, per l’aggiudicazione di lavori di ampliamento di uno stabile comunale, di una ATI. Questa aveva omesso di specificare la propria volontà di subappaltare per intero alcune lavorazioni, “essendo tale dichiarazione richiesta a pena di esclusione dal bando”. Il Tribunale ha ritenuto irrilevante l’omessa dichiarazione di voler subappaltare “per intero” alcune lavorazioni. Infatti “nessuna delle due Ditte in ATI era in possesso di abilitazione e di attestazione per le lavorazioni alle quali si riferiva il subappalto”. Dunque la dichiarazione si poteva ritenere superflua.

Sia l’una che l’altra sentenza ammettono quindi la possibilità di interpretare le clausole, contenenti l’espressa comminatoria di esclusione dell’offerta, per omessa osservanza di determinate formalità, alla stregua del criterio teleologico dell’interesse sostanziale tutelato e del principio di ragionevolezza.
La sesta sezione avverte correttamente come la interpretazione delle clausole del bando che prescinde dal dato letterale e dalla espressa previsione di esclusione, in caso di inosservanza, si risolve in una disapplicazione della prescrizione stessa. Ed è pure ben consapevole dell’indirizzo dominante per il quale il giudice non può d’ufficio mettere in contestazione atti non impugnati e dunque dotati di quella particolare stabilità che prende il nome di inoppugnabilità. Ritiene tuttavia che la clausola generale dell’art. 5, della legge abolitrice del contenzioso, sia sempre utilizzabile, se necessario a “fini di giustizia”[3].
A fini di giustizia, e dunque in presenza di una grave violazione dell’ordine giuridico, di una lesione grave ai diritti e agli interessi dei singoli, il giudice può disapplicare l’atto, cioè può prescindere dalle prescrizioni espresse nell’atto generale non impugnato che costituisce l’antecedente giuridico e non solo logico dell’atto sottoposto al suo esame.
Dove si annida in questo caso la gravità della lesione, tale da giustificare la disapplicazione del contenuto precettivo di un atto?
Il quesito trova una agevole risposta nella osservazione iniziale. Per le ragioni sopra richiamate, le clausole di esclusione automatica dell’offerta per la mancata osservanza delle formalità di gara ledono il principio di concorrenza, in quanto ostacolano un assetto autenticamente competitivo del mercato dei contratti pubblici.

Materiale collegato:
Decreto legge 13 maggio 2011, n. 70 (c.d. decreto sviluppo)

Note

1.  Questa lucida analisi è proposta da F. SATTA e A. ROMANO in Ridurre i tempi per le infrastrutture, in questa Rivista, 5 febbraio 2011. La soluzione, prospettata de iure condendo, è quella di rendere disponibile per le imprese e per le stazioni appaltanti, ai fini di prova del possesso dei requisiti richiesti, il patrimonio dei dati e della documentazione raccolto dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.

2.  Sia consentito rinviare a A. SCOGNAMIGLIO, Prescrizioni formali del bando di gara e caratteri del giudizio di legittimità, in Foro amm., 1993, 2251 ss.per i richiami di giurisprudenza e per l’adesione all’indirizzo, all’epoca assolutamente minoritario, favorevole ad ammettere la interpretazione alla stregua del criterio finalistico, ovvero la disapplicazione, delle prescrizioni formali del bando, espressamente previste a pena di esclusione.

3.  All’istituto della disapplicazione, ex art. 5, l. 2248/1865, si era già richiamata la Corte di giustizia, sez. VI, 27 febbraio 2003, C-327/00, nella domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tar Lombardia nel caso Santex s.p.a./Unità Socio Sanitaria Locale di Vercelli.