Ridurre i tempi per le infrastrutture

1. I tempi lunghissimi di realizzazione delle opere pubbliche e la sistematica dilatazioni dei loro costi hanno un’origine ed una giustificazione complesse. A volte sembra che nel nostro Paese i contratti con le pubbliche amministrazioni non siano veramente vincolanti, e che possano sempre essere adeguati alle esigenze dell’impresa [1]. Di questo autentico malcostume in quanto tale è inutile parlare, come è ovvio. Merita viceversa fermare l’attenzione sulle cause vuoi dei ritardi, vuoi degli aumenti dei costi, che facilitano il perpetuarsi del malcostume. Essi trovano infatti fondamento in una legislazione a volte lacunosa, a volte sovrabbondante e quindi facilmente equivoca (o equivocabile), che rende incerto il quadro giuridico entro cui si sviluppano sia il quadro competitivo che deve condurre alla scelta del contraente, sia l’esecuzione del contratto. I profili rilevanti attengono principalmente:

(a) alla natura ed alla funzione anticoncorrenziale di alcune norme sulle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici, che consentono di escludere dalle gare molti partecipanti per ragioni puramente formali – o di annullare l’aggiudicazione per lo stesso tipo di ragioni. Accade così che la procedura selettiva per scegliere la migliore spesso si sposti dalla qualità delle offerte alla loro regolarità. Ogni irregolarità formale, sanzionata con l’esclusione – anche se in sé e per sé perfettamente sanabile in qualunque momento – porta all’esclusione del concorrente, con la conseguenza che la selezione si svolge non tra tutti i concorrenti per scegliere l’offerta migliore, ma tra quelli “formalmente regolari”. Come è palese, il confronto concorrenziale può essere radicalmente alterato: il secondo, a volte addirittura il terzo, può diventare primo;

(b) strettamente legato all’esasperazione formale delle procedure di selezione delle offerte è poi l’alto livello di litigiosità, favorito anche dalla legislazione comunitaria sui ricorsi[2];

(c) alla scarsa attenzione dedicata alla progettazione, in favore di un risparmio immediato, senza pensare all’esecuzione del contratto ed al vero costo finale dell’opera: esempi tipici sono la progettazione affidata agli uffici tecnici dell’amministrazione e quella lasciata ai concorrenti e non retribuita. Il contenzioso che insorge nel corso dell’esecuzione del contratto (le c.d. riserve) con sospensioni dei lavori, richieste di varianti al progetto, maggiori compensi, assai spesso discende da insufficienze della progettazione[3];

(d) alla scarsa, lacunosa attenzione dedicata al controllo sull’esecuzione. Esso è lasciato alla c.d. direzione dei lavori, che viene spesso svolta da funzionari della stessa amministrazione committente, senza il conferimento di alcun vero potere di controllo e indirizzo, anziché da un soggetto terzo di elevata professionalità e munito di adeguati poteri. Questo profilo si lega ovviamente a quello relativo alla progettazione: una progettazione carente, non preceduta ad es. da adeguate indagini geognostiche, non può certo essere corretta dalla direzione dei lavori, il cui compito è costringere l’impresa ad una corretta organizzazione, pianificazione ed esecuzione del lavoro.

2. La funzione anticoncorrenziale di norme che disciplinano le gare.
Come è ben noto, il criterio generale che ispira la scelta dell’impresa cui affidare la realizzazione di un’opera pubblica è la selezione attraverso gara[4]. È superfluo ricordare che gara, derivata dall’arabo ghara (emulare, invidiare), e dall’alto tedesco antico werra (contesa)[5], significa oggi competizione disciplinata da regole certe di comportamento, in cui la valutazione finale – la proclamazione del vincitore – è assunta secondo criteri obiettivi e predeterminati. Nella massima parte delle gare sportive – corsa, ciclismo, motociclismo, etc. – il criterio fondamentale è il minor tempo impiegato per coprire una certa distanza; in altre, il numero di obiettivi raggiunti in un tempo predeterminato. Perché il tempo e i risultati ottenuti possano esprimere tutto il loro valore – individuare il corridore o la squadra migliore – è però essenziale che anche una serie di altre regole venga rispettata. Paradigmatico è il calcio. Non solo non si possono picchiare o far cadere gli avversari, come a torto parrebbe intuitivo (non lo è affatto: è frutto di una lunga cultura giuridica); ma gli obiettivi possono essere raggiunti solo seguendo regole ferree su distanze, aree precluse, punizioni, etc. In breve, per ogni tipo di gara vi sono norme generali che devono essere osservate affinché perché essa si svolga correttamente ed il miglior risultato raggiunto esprima il migliore, il vincitore. In quest’ottica è giusto che la violazione delle regole di gara giunga fino all’esclusione dalla gara stessa (e oltre, come succede per i dopati). Questa è la ragione per cui ogni gara deve avere il suo “arbitro”.
Le gare per l’affidamento di contratti sono profondamente diverse, come è ovvio. Lo spirito è però lo stesso: come nessun corridore, nessun calciatore può partecipare alle Olimpiadi se non ha ottenuto determinati successi nel suo paese, così le imprese che concorrono per aggiudicarsi un appalto devono garantire il raggiungimento dell’obiettivo, la realizzazione dell’opera; devono quindi possedere certi requisiti; devono essere moralmente ineccepibili, come è giusto pretendere da chi vuole lavorare per la collettività e con il danaro che essa ha prodotto sotto forma di tributi versati all’erario; devono disporre di attrezzature, competenze, personale, mezzi finanziari adeguati all’esecuzione del contratto per cui è gara.

E qui sta il punctum dolens. Non devono soltanto possedere capacità, moralità, mezzi finanziari etc. Devono dimostrare tutto ciò. E devono dimostrarlo nel solo modo che appare oggi possibile, vale a dire per via documentale. Il legislatore, comunitario e nazionale, ha individuato una serie di elementi, la cui prova attesta la qualità morale e professionale dei concorrenti – e quindi consente l’ammissione alla gara cui si vuole partecipare. Sono circa quaranta: si va dall’assenza di condanne penali e di misure di prevenzione alla corretta esecuzione di altri lavori, dalla regolarità contributiva ai titoli di studio dei soggetti che saranno responsabili della commessa, dalla certificazione di qualità all’inesistenza di una situazione di controllo rispetto ad altri partecipanti alla procedura; dall’iscrizione alla camera di commercio alle dichiarazioni bancarie, all’elenco dei lavori eseguiti, alla descrizione delle attrezzature di cui si dispone, etc. Merita ricordare due casi estremi di esclusione, previsti dalla legge: la mancata certificazione o autodichiarazione relativa al regolare impiego di lavoratori disabili e la mancata indicazione delle condanne penali per le quali non vi sia stata menzione nei certificati del casellario giudiziale. Non sembra vero, ma è così: art. 38, 1° co., lett. l) e art. 38, 2° co. del codice dei contratti.
Adempiere a quest’obbligo di dimostrare la propria capacità morale e professionale significa dunque raccogliere uno sterminato numero di certificazioni rilasciate da altre amministrazioni e/o di dichiarazioni sostitutive; e farlo, per ogni gara cui si intende partecipare.
I problemi che emergono da quanto si è detto sono tre. Il primo è oggettivo: il codice dei contratti ha preteso di individuare in via generale tutti i profili delle imprese e delle persone che vi operano, capaci di inficiare la loro moralità e capacità professionale. Il livello di dettaglio è così pronunciato da tradursi a volte quasi in un accanimento persecutorio: esso rende possibili esclusioni per motivi obiettivamente inconsistenti. La mole delle dichiarazioni e dei documenti necessari per partecipare ad una gara rende facile l’errore ed altrettanto facile l’esclusione. Questo rischio è aggravato dalla possibilità che hanno le amministrazioni di integrare e specificare i requisiti richiesti nei loro bandi. In queste condizioni è evidente che tutte le gare possono non essere aggiudicate all’offerta migliore e che in ciò si annida un loro potenziale effetto anticoncorrenziale, consumato in omaggio al principio di imparzialità[6].
Il secondo è parimenti oggettivo: le dichiarazioni e le certificazioni di cui si è qui sopra detto non possono essere acquisite una tantum, e consegnate in forma sintetica alle singole amministrazioni che bandiscono una gara. Esse devono essere presentate in originale in tutte le gare. La possibilità di errore si moltiplica, come è intuitivo.
Il terzo ha natura soggettiva. Come è ben noto, la propensione alla lite è molto forte nel nostro Paese. La tentazione di escludere un concorrente pericoloso o addirittura di far escludere ex post il vincitore della gara è fortissima. Le norme che hanno recepito la direttiva comunitaria sui ricorsi in materia di appalti pubblici, 2007/66, oggi in gran parte incorporate nel codice del processo amministrativo[7], consentono a tutti di accedere immediatamente a tutti gli atti di gara di tutti i concorrenti: e quindi, di scoprire, a volte inventare, vizi, sui quali comunque un TAR in primo grado, il Consiglio di Stato in appello deve pronunciarsi.
Per brevi che siano i tempi del giudizio, è certo che il ricorso rallenta l’affidamento dei lavori; il suo accoglimento per motivi formali, ma per i quali la legge commina l’esclusione dalla gara, conduce all’aggiudicazione ad un’impresa che comunque non aveva vinto la gara. Ritardi e funzione anticoncorrenziale si sommano.
Si vedrà più avanti quali rimedi sembrano possibili, con la necessità di qualche riflessione, ma modestissima spesa.

3. Il problema della progettazione.
Buona regola dice che nessuna opera umana di trasformazione dell’esistente –dalla capanna all’aratro, dalla barca all’automobile, etc. – può essere realizzata senza un progetto che guidi la mano dell’uomo. Quando sembra che se ne possa fare a meno, questo dipende solo dal fatto che l’esperienza, assorbita dalla mente e resa regola di comportamento, supplisce alla mancanza del progetto: si tratta chiaramente di lavorazioni semplici e ripetitive.
Ebbene, fin dagli albori della nostra legislazione sulle opere pubbliche la progettazione ha trovato pochissimo spazio. È stata quasi ignorata per decenni e decenni[8]. Oggi il codice dei contratti ha certamente invertito la rotta, in parte nella scia della legislazione comunitaria. Il tema è però affrontato per così dire ab externo: dice chi può essere progettista; come i progettisti si possono strutturare per partecipare alle gare di progettazione; come possono essere retribuiti; come si possono ripartire tra i dipendenti certi premi; etc. etc. Nessuno contesta, ovviamente, il peso di queste tematiche. Sembra però che sullo sfondo ci sia una questione quasi deliberatamente irrisolta: che cosa significa progettazione di un’opera pubblica? Che cosa deve fare il progettista? Quali responsabilità deve assumere nei confronti dell’amministrazione che vuole realizzare una certa opera?
La questione è serissima per diversi ordini di ragioni. La prima riguarda la parola stessa “progettare” ed il pensiero, il profondo pensiero ad essa sotteso. Progettare, che nasce da proicere, gettare in avanti, significa concepire ed organizzare ciò che si ha intenzione di fare in avvenire, in tutti gli aspetti che in concreto rilevano. Occorre dunque anzitutto rilevare tali aspetti; quindi studiarli in relazione alla situazione in cui ci si trova. Riferito alle costruzioni, questo significa che per realizzare un edificio, una strada, una galleria, una diga non basta disegnarli e calcolarne le componenti strutturali secondo le regole dell’arte, come correttamente dice il codice. Occorre affrontare e risolvere il problema della sicurezza, non già solo secondo i parametri standard di sicurezza previsti per il tipo di costruzione che si realizza – certe fondazioni, certi ferri nel calcestruzzo etc., come ancora prescrive il codice[9] –, ma determinando ex ante quali sono le condizioni di insicurezza con cui ci deve misurare ed in base a queste sviluppare i calcoli strutturali[10]. Solo così si può parlare di progetto, nel senso proprio e rigoroso del termine.

E solo per garantire la sicurezza, dunque, la progettazione racchiude in sé un costo difficilmente determinabile ex ante, come si vorrebbe ed in linea di principio è giusto che sia. Per definizione è quasi impossibile sapere esattamente come stanno le cose sotto terra. Occorre “andare a vedere” – ovvero usare tutti gli strumenti che la tecnologia offre per acquisire un livello di conoscenza tale, da poter essere usato come presupposto per determinare il tipo ed il livello di insicurezza e sviluppare i calcoli propri della costruzione. In altri termini: è facile (si fa per dire) calcolare in astratto le pile di fondazione e la struttura portante di un ponte. Ma questi calcoli valgono poco se non sono calibrati sulla qualità, sulla tenuta e sulla resistenza in profondità del terreno sul quale il ponte verrà appoggiato.
È comprensibile che si cerchi di limitare questi costi per indagini geognostiche, dicendo che spesso ex post si rivelano di scarso rilievo perché non emergono problemi. Ma chi ricorda la tragedia del Vajont ricorda anche che la diga resse all’onda provocata dall’improvviso movimento franoso di circa 250 milioni di metri cubi scivolati nel lago alla velocità di 30 metri al secondo. Era stata studiata e progettata a dovere, mentre questo non era avvenuto per la geologia della montagna e per le opere di contenimento[11].
Lo stesso discorso vale per la progettazione dell’opera in senso stretto. L’esperienza insegna che non c’è lavoro per il quale non siano necessarie varianti – e per il quale quindi ci sono stati vizi della progettazione; ricorrente è il fenomeno della c.d. sorpresa geologica. È un dato di fatto[12] che continuamente i lavori vengono sospesi per rielaborazioni del progetto, con tutto quel che ne deriva in termini di ritardi e maggiori costi[13]. Il codice esplicitamente disciplina le varianti in corso d’opera (art. 114).
Da quanto precede si possono trarre due conclusioni. La prima è che un progettazione accurata, preceduta da parimenti accurati studi geologici, costituisce un costo, che in qualche modo potrebbe essere paragonato a quello di un premio di assicurazione. Come questo copre il rischio delle conseguenze economiche di un incidente, così studi e progettazione attenti prevengono il rischio in sé e per sé. Il costo degli incidenti – cioè di quegli istituti giuridici che si chiamano sospensione dei lavori, varianti, sorpresa geologica, quasi tutti raccolti nella mitica voce “riserve” che l’appaltatore deve iscrivere nel registro di contabilità: per non parlare delle vite umane – è infinitamente superiore al maggior costo che avrebbe avuto una progettazione adeguata. La ragione è elementare: progettazione e studi sono attività professionali; sospensioni, varianti e simili investono cantieri che per la loro sola esistenza hanno rilevanti costi fissi. E, di nuovo, senza parlare delle vite umane.
La seconda conclusione riguarda i progettisti. Il codice guarda con favore l’affidamento della progettazione ai tecnici delle amministrazioni. Pur sapendo bene quante valentissime persone si trovano negli uffici tecnici delle amministrazioni pubbliche, il ricorso ai dipendenti in funzione di risparmio per un verso e di attribuzione di un beneficio economico al personale interessato per un altro, non può essere condiviso. La progettazione è un’attività professionale che comporta assunzione personale di responsabilità, a fronte della quale possono e devono esservi solo la preparazione e l’indipendenza di giudizio. Nella sostanza, nessun rapporto di subordinazione con il committente è compatibile con un incarico di progettazione, ovviamente al di sopra di una certa soglia di difficoltà.

4. L’insufficiente direzione dei lavori.
Le considerazioni svolte nel § che precede si concludono necessariamente con il tema della direzione dei lavori. Una progettazione ineccepibile ha l’inestima-bile pregio di definire con chiarezza le obbligazioni ed i diritti dell’appaltatore. La direzione dei lavori – in gergo D.L. – ha il precisissimo compito di vigilare sull’organizzazione e sul lavoro dell’appaltatore, per evitare errori, dispersione di energie, perdite di tempo – nonché, ovviamente, il ricorso a materiali impropri. Progetto, capitolati tecnici e regole dell’arte sono i parametri di riferimento per una D.L. tempestiva, efficace ed incisiva.
Nel nostro sistema il ruolo della D.L. è frustrato dalle troppo frequenti lacune del progetto. Questo la costringe a discutere con l’impresa non il modo in cui essa adempie ai propri obblighi, ma i suoi stessi obblighi. Il caso più facile da rappresentare è la sorpresa geologica. Succede spesso ad es. che nello scavo compaia un tipo di roccia non previsto, incompatibile con il progetto; o che si incontri acqua in quantità non prevista nel progetto, che lo rende ineseguibile. Qui non c’è da discutere del corretto adempimento delle obbligazioni dell’impresa, come definite dal contratto e dal progetto. È in gioco il progetto; con il progetto, le obbligazioni ed i diritti dell’impresa. È evidente che la D.L. non può modificare né progetto né contratto; deve rimettere la questione alla stazione appaltante e intanto sospendere i lavori.
Questo è il caso più semplice. Ma si incontrano anche altri fenomeni. Bastino due esempi. Il primo è che l’appaltatore ritenga di aver offerto un prezzo eccessivamente basso e di “avere diritto” di correggerlo – indirettamente, come è ovvio. Cerca vizi del progetto, lamenta condizioni atmosferiche avverse, etc. al solo fine di ottenere sospensioni dei lavori, proroga dei termini per la loro ultimazione, varianti etc. Il secondo è che il progetto presti il fianco a critiche, senza essere per questo ineseguibile. L’appaltatore denuncia il fatto, e di nuovo chiede la sospensione dei lavori e la c.d. variante in corso d’opera.

In situazioni di questo genere (e degli altri cento tipi che si incontrano) la D.L. è il primo organo che viene chiamato in causa. Ad essa spetta in prima battuta accogliere o respingere la richiesta dell’impresa. Sono situazioni difficili, in cui la D.L. è costretta ad assumersi responsabilità non sue, quale il sindacato sulle intenzioni dell’appaltatore o sulla congruità del progetto.
Ora su questo punto il codice (art. 130) sostanzialmente ripete quanto aveva disposto in ordine alla progettazione nell’art. 90: e cioè che in primis la D.L. è affidata ad un ufficio ad hoc dell’amministrazione o a soggetti privati. Ma è chiaro che se il progetto è perfettamente eseguibile, l’ufficio di D.L. concepito come ufficio dell’amministrazione committente ha un senso; se viceversa si prevede che il progetto sia suscettibile di revisioni in corso d’opera – questo sono le varianti – la D.L. cambia natura. Deve avere il livello professionale del progettista, ed essere quindi in grado di dire o che l’impresa solleva solo polvere o che il progettista non aveva fatto bene il suo lavoro. Si innesca un sistema di incertezze e di responsabilità che non giova a nessuno – tranne che all’impresa in mala fede.

5. Conclusioni.
La situazione che si è cercato qui di rappresentare – da cui dipendono in larga misura la maggior durata dell’esecuzione dei lavori ed i loro maggiori costi – può trovare rimedi, senza eccessive difficoltà.
Il primo, ed il semplice intervento riguarda i requisiti per la partecipazione alle gare. Si è visto come per ogni gara l’impresa debba dimostrare tutto. Questo può essere superato agevolmente, utilizzando il patrimonio di informazioni posseduto dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Già l’art. 9 del codice prevede che le stazioni appaltanti possono istituire un ufficio denominato “Sportello dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture” il quale può fornire ai candidati la documentazione utile per la presentazione delle candidature e delle offerte, anche per via telematica.
La collaborazione tra l’Autorità di vigilanza e le stazioni appaltanti è chiaramente in re ipsa. Ma in Italia esiste anche un ente pubblico, DigitPA, succeduto al CNIPA quoad nomen, chiamato per legge ad offrire alle amministrazioni collaborazione e assistenza informatica. È di piana evidenza che un’accorta ristrutturazione del patrimonio informativo dell’Autorità consentirebbe
– o alle stazioni appaltanti di acquisire per via telematica dall’Autorità tutti i dati relativi a coloro che chiedono di partecipare ad una gara (l’Autorità deve essere informata di ogni gara che viene bandita);
– o ai concorrenti di farsi rilasciare sempre per via telematica un’unica dichiarazione che li rappresenti e di depositare questa come unico certificato necessario per partecipare alla gara.
Non si dica che ogni gara è diversa da ogni altra. Diverse le une dalle altre sono le opere che le amministrazioni vogliono realizzare. La disciplina della gara è rigorosamente la stessa, salva la legislazione regionale, facilmente digitalizzabile.
Né si dica che le qualificazioni cambiano nel tempo e che quindi è necessario provare ogni volta di possedere i requisiti di carattere generale e professionale. Nulla può sfuggire all’Autorità di vigilanza; non si dimentichino i penetranti poteri di cui dispone. Si può solo aggiungere che tutti coloro che vogliono eseguire lavori di importo superiore ai 150.000 euro devono possedere la certificazione SOA[14] delle loro capacità professionali. Integrare le certificazioni SOA nel patrimonio informativo dell’Autorità è compito cui DigitPA potrebbe attendere, ed anche in tempi brevi ed a costi contenuti.
È superfluo dire che cadrebbe così tutto il contenzioso relativo alle gare, fondato sulla mancata prova del possesso di certi requisiti.
Quanto alla progettazione ed alla direzione dei lavori, il discorso è più complesso perché coinvolge strutture umane, orgogli professionali e, non ultimi, interessi. Ebbene, sembra a chi scrive che il punto di partenza di ogni discorso debba essere la separazione tra funzioni amministrative e funzioni professionali. Funzione amministrativa è decidere l’opera da realizzare con le sue caratteristiche, prescrivere risultati ed eventualmente criteri di progettazione (si è ricordato sopra che il codice è attento ai problemi archeologici), verificarne la completezza e la qualità. Progettare nel senso più pieno del termine – vale a dire, prevedere l’opera finita, e quindi concepire ed organizzare i percorsi di studio, di ricerca e di indagine per rappresentare graficamente e matematicamente tutti gli elementi della sua struttura in rapporto alla realtà fisica in cui l’opera dovrà inserirsi – è compito che solo professionisti della progettazione possono svolgere, integrati ovviamente con le professionalità specifiche necessarie.
Lo stesso deve dirsi per la direzione dei lavori. A prescindere dal fatto che anche l’esecuzione di un progetto perfetto può porre problemi in sé, semplicemente perché spesso si devono fare lavorazioni difficili, la direzione dei lavori richiede la capacità di seguire i responsabili del cantiere, senza sostituirsi a loro, al fine sia di assicurare la stazione appaltante che i lavori si eseguono a regola d’arte, sia, se necessario, di dare un indirizzo per affrontare e superare difficoltà.
La soppressione dei problemi formali nelle procedure di gara, grazie all’uso del patrimonio informativo dell’Autorità di vigilanza; la conseguente drastica riduzione dei ricorsi, ed il conseguente miglioramento della competizione che la gara stimola; la completezza della progettazione, fondata su studi accurati ed affidata a professionisti rigorosamente selezionati; la direzione dei lavori anch’essa affidata a specialisti, del pari rigorosamente selezionati; tutto ciò consentirebbe due risultati.
Il primo in ordine logico è restituire i tecnici delle amministrazioni alla loro funzione: concepire le opere e vigilare sulla loro realizzazione – esserne cioè i garanti nei confronti della collettività.
Il secondo è accelerare i lavori. Tutti, assolutamente tutti, avrebbero interesse a concluderli e chi volesse rallentarli da una parte o dall’altra avrebbe pane per i suoi denti.

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Note

1.  È ben riassunto nella celebre regola “prendere comunque il lavoro, tanto poi lo si aggiusta”.

2.  La direttiva n. 66 del 2007, recepita in parte nel codice dei contratti pubblici, ed in parte nel codice del processo amministrativo.

3.  Ne è la prova il fatto che molto spesso l’approvazione della variante sia accompagnata dalla rinuncia alle riserve.

4.  Il fondamento di questo principio è duplice. Per un verso è l’imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) che si ritiene soddisfatto dal ricorso all’impiego di criteri obiettivi per la selezione del contraente (o del dipendente, come è noto). L’altro è la necessità di garantire la concorrenza: di fronte ad un committente, che non paga con mezzi propri, frutto di attività di impresa o di risparmio, ma con mezzi ottenuti grazie all’imposizione fiscale, viene meno la selezione del migliore che il mercato è in grado di fare se tutti i partecipanti sono uguali (ognuno cerca il meglio); occorre supplire imponendo all’amministrazione di fare artificialmente – attraverso la gara – la selezione che farebbe naturalmente un operatore qualsiasi del mercato. È chiaro che i metodi coincidono; l’ispirazione dell’uno e dell’altro valore, imparzialità e concorrenza, profondamente diversa. Per l’imparzialità i metodi coincidono con il fine; per la concorrenza ne sono soltanto strumenti.

5.  Da cui l’anglosassone “war” ed il latino guerra.

6.  V. retro, nota 4.

7.  Art. 121. Disposizioni fondamentali in tema di termini dilatori per la stipula del contratto e di tutela cautelare sono contenute nell’art. 11, commi 10 e segg., codice dei contratti. Si veda anche l’art. 243 bis dello stesso codice sui diritti di informativa e di accesso agli atti.

8.  La storia della progettazione nel sistema dei lavori pubblici è narrata con ogni chiarezza da LINDA e LINGUITI, in M.A. SANDULLI, DE NICTOLIS e GAROFOLI (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, III, 2008, 2331 ss. Solo con la l. n. 109 del 1994 si compie un passo volto a porre la progettazione a fondamento di qualunque opera pubblica, anche se nulla si dice su ciò che la progettazione deve accertare (sul piano geognostico, ad es.) prima di tradursi in calcolo e disegno. LINDA e LINGUITI, op. cit., 2336 ricordano una frase di ROEHRSSEN, I pro-getti delle opere pubbliche, in Arbitrati e Appalti, 1987, 331, rimasta famosa: prima dell’ approvazione il progetto giuridicamente non esiste, perché l’attività svolta dai tecnici non è altro che attività esecutiva della volontà dell’amministrazione di costruire un’opera.

9.  L’art. 93, co. 5, dispone che per la redazione del progetto definitivo ”Gli studi e le indagini occorrenti, quali quelli di tipo geognostico, idrologico, sismico, agronomico, biologico, chimico, i rilievi e i sondaggi sono condotti fino ad un livello tale da consentire i calcoli preliminari delle strutture e degli impianti e lo sviluppo del computo metrico estimativo

10.  L’art. 95 riserva la verifica preventiva all’interesse archeologico.

11.  Nel corso dell’Anno internazionale del pianeta terra, patrocinato dall’ONU, il 12 ed il 13 febbraio 2008, vennero presentati cinque casi di tragedie colpevolmente consumatesi e di altre cinque prevenute. Queste sono le parole dedicate al caso Vajont:
The Vajont reservoir disaster is a classic example of the consequences of the failure of engineers and geologists to understand the nature of the problem that they were trying to deal with.
During the filling of the reservoir a block of approximately 270 million cubic metres detached from one wall and slid into the lake at velocities of up to 30 metres per second (approx. 110 kilometres per hour).
As a result a wave overtopped the dam by 250m and swept onto the valley below, with the loss of about 2500 lives.
The dam remained unbroken by the flood and is still there today.
Proper understanding of the geology of the hillside would have prevented the disaster” (enfasi di chi scrive).

12.  Che dimenticano i giornali quando parlano degli arbitrati e della soccombenza delle amministrazioni nella grande maggioranza di casi. Dovrebbero preoccuparsi di vedere su che cosa si fondavano le domande. Sono spessissimo ritardi dovuti a sospensioni per varianti resesi necessarie in corso d’opera.

13.  Sono fonte di perplessità gli artt. 111 e 112 del codice. Il primo prescrive che il progettista debba prestare una garanzia assicurativa “per i rischi derivanti dallo svolgimento delle attività di propria competenza”, fino all’emissione del certificato di collaudo provvisorio. La garanzia è prestata per un massimale, a seconda dell’importo dei lavori, fino ad un milione o a due milioni e mezzo di euro. L’importo è rilevante in assoluto; ma può essere risibile rispetto ai rischi geologici sismico.
L’art. 112 poi prescrive la verifica della progettazione prima dell’inizio dei lavori. Ma il riferimento della verifica è a cascata: il progetto esecutivo deve essere conforme a quello preliminare; il definitivo, all’esecutivo. Se vi sono lacune nelle indagini geognostiche a monte, non sono rilevabili prima dell’inizio dei lavori: come accade, e come lo stesso codice prevede, disciplinando – e non prevenendo – le varianti in corso d’opera.

14.  Società Organismo di Attestazione, oggi art. 40 del codice.