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Ridurre i tempi per le infrastrutture

di - 5 Febbraio 2011
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E qui sta il punctum dolens. Non devono soltanto possedere capacità, moralità, mezzi finanziari etc. Devono dimostrare tutto ciò. E devono dimostrarlo nel solo modo che appare oggi possibile, vale a dire per via documentale. Il legislatore, comunitario e nazionale, ha individuato una serie di elementi, la cui prova attesta la qualità morale e professionale dei concorrenti – e quindi consente l’ammissione alla gara cui si vuole partecipare. Sono circa quaranta: si va dall’assenza di condanne penali e di misure di prevenzione alla corretta esecuzione di altri lavori, dalla regolarità contributiva ai titoli di studio dei soggetti che saranno responsabili della commessa, dalla certificazione di qualità all’inesistenza di una situazione di controllo rispetto ad altri partecipanti alla procedura; dall’iscrizione alla camera di commercio alle dichiarazioni bancarie, all’elenco dei lavori eseguiti, alla descrizione delle attrezzature di cui si dispone, etc. Merita ricordare due casi estremi di esclusione, previsti dalla legge: la mancata certificazione o autodichiarazione relativa al regolare impiego di lavoratori disabili e la mancata indicazione delle condanne penali per le quali non vi sia stata menzione nei certificati del casellario giudiziale. Non sembra vero, ma è così: art. 38, 1° co., lett. l) e art. 38, 2° co. del codice dei contratti.
Adempiere a quest’obbligo di dimostrare la propria capacità morale e professionale significa dunque raccogliere uno sterminato numero di certificazioni rilasciate da altre amministrazioni e/o di dichiarazioni sostitutive; e farlo, per ogni gara cui si intende partecipare.
I problemi che emergono da quanto si è detto sono tre. Il primo è oggettivo: il codice dei contratti ha preteso di individuare in via generale tutti i profili delle imprese e delle persone che vi operano, capaci di inficiare la loro moralità e capacità professionale. Il livello di dettaglio è così pronunciato da tradursi a volte quasi in un accanimento persecutorio: esso rende possibili esclusioni per motivi obiettivamente inconsistenti. La mole delle dichiarazioni e dei documenti necessari per partecipare ad una gara rende facile l’errore ed altrettanto facile l’esclusione. Questo rischio è aggravato dalla possibilità che hanno le amministrazioni di integrare e specificare i requisiti richiesti nei loro bandi. In queste condizioni è evidente che tutte le gare possono non essere aggiudicate all’offerta migliore e che in ciò si annida un loro potenziale effetto anticoncorrenziale, consumato in omaggio al principio di imparzialità[6].
Il secondo è parimenti oggettivo: le dichiarazioni e le certificazioni di cui si è qui sopra detto non possono essere acquisite una tantum, e consegnate in forma sintetica alle singole amministrazioni che bandiscono una gara. Esse devono essere presentate in originale in tutte le gare. La possibilità di errore si moltiplica, come è intuitivo.
Il terzo ha natura soggettiva. Come è ben noto, la propensione alla lite è molto forte nel nostro Paese. La tentazione di escludere un concorrente pericoloso o addirittura di far escludere ex post il vincitore della gara è fortissima. Le norme che hanno recepito la direttiva comunitaria sui ricorsi in materia di appalti pubblici, 2007/66, oggi in gran parte incorporate nel codice del processo amministrativo[7], consentono a tutti di accedere immediatamente a tutti gli atti di gara di tutti i concorrenti: e quindi, di scoprire, a volte inventare, vizi, sui quali comunque un TAR in primo grado, il Consiglio di Stato in appello deve pronunciarsi.
Per brevi che siano i tempi del giudizio, è certo che il ricorso rallenta l’affidamento dei lavori; il suo accoglimento per motivi formali, ma per i quali la legge commina l’esclusione dalla gara, conduce all’aggiudicazione ad un’impresa che comunque non aveva vinto la gara. Ritardi e funzione anticoncorrenziale si sommano.
Si vedrà più avanti quali rimedi sembrano possibili, con la necessità di qualche riflessione, ma modestissima spesa.

3. Il problema della progettazione.
Buona regola dice che nessuna opera umana di trasformazione dell’esistente –dalla capanna all’aratro, dalla barca all’automobile, etc. – può essere realizzata senza un progetto che guidi la mano dell’uomo. Quando sembra che se ne possa fare a meno, questo dipende solo dal fatto che l’esperienza, assorbita dalla mente e resa regola di comportamento, supplisce alla mancanza del progetto: si tratta chiaramente di lavorazioni semplici e ripetitive.
Ebbene, fin dagli albori della nostra legislazione sulle opere pubbliche la progettazione ha trovato pochissimo spazio. È stata quasi ignorata per decenni e decenni[8]. Oggi il codice dei contratti ha certamente invertito la rotta, in parte nella scia della legislazione comunitaria. Il tema è però affrontato per così dire ab externo: dice chi può essere progettista; come i progettisti si possono strutturare per partecipare alle gare di progettazione; come possono essere retribuiti; come si possono ripartire tra i dipendenti certi premi; etc. etc. Nessuno contesta, ovviamente, il peso di queste tematiche. Sembra però che sullo sfondo ci sia una questione quasi deliberatamente irrisolta: che cosa significa progettazione di un’opera pubblica? Che cosa deve fare il progettista? Quali responsabilità deve assumere nei confronti dell’amministrazione che vuole realizzare una certa opera?
La questione è serissima per diversi ordini di ragioni. La prima riguarda la parola stessa “progettare” ed il pensiero, il profondo pensiero ad essa sotteso. Progettare, che nasce da proicere, gettare in avanti, significa concepire ed organizzare ciò che si ha intenzione di fare in avvenire, in tutti gli aspetti che in concreto rilevano. Occorre dunque anzitutto rilevare tali aspetti; quindi studiarli in relazione alla situazione in cui ci si trova. Riferito alle costruzioni, questo significa che per realizzare un edificio, una strada, una galleria, una diga non basta disegnarli e calcolarne le componenti strutturali secondo le regole dell’arte, come correttamente dice il codice. Occorre affrontare e risolvere il problema della sicurezza, non già solo secondo i parametri standard di sicurezza previsti per il tipo di costruzione che si realizza – certe fondazioni, certi ferri nel calcestruzzo etc., come ancora prescrive il codice[9] –, ma determinando ex ante quali sono le condizioni di insicurezza con cui ci deve misurare ed in base a queste sviluppare i calcoli strutturali[10]. Solo così si può parlare di progetto, nel senso proprio e rigoroso del termine.

Note

6.  V. retro, nota 4.

7.  Art. 121. Disposizioni fondamentali in tema di termini dilatori per la stipula del contratto e di tutela cautelare sono contenute nell’art. 11, commi 10 e segg., codice dei contratti. Si veda anche l’art. 243 bis dello stesso codice sui diritti di informativa e di accesso agli atti.

8.  La storia della progettazione nel sistema dei lavori pubblici è narrata con ogni chiarezza da LINDA e LINGUITI, in M.A. SANDULLI, DE NICTOLIS e GAROFOLI (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, III, 2008, 2331 ss. Solo con la l. n. 109 del 1994 si compie un passo volto a porre la progettazione a fondamento di qualunque opera pubblica, anche se nulla si dice su ciò che la progettazione deve accertare (sul piano geognostico, ad es.) prima di tradursi in calcolo e disegno. LINDA e LINGUITI, op. cit., 2336 ricordano una frase di ROEHRSSEN, I pro-getti delle opere pubbliche, in Arbitrati e Appalti, 1987, 331, rimasta famosa: prima dell’ approvazione il progetto giuridicamente non esiste, perché l’attività svolta dai tecnici non è altro che attività esecutiva della volontà dell’amministrazione di costruire un’opera.

9.  L’art. 93, co. 5, dispone che per la redazione del progetto definitivo ”Gli studi e le indagini occorrenti, quali quelli di tipo geognostico, idrologico, sismico, agronomico, biologico, chimico, i rilievi e i sondaggi sono condotti fino ad un livello tale da consentire i calcoli preliminari delle strutture e degli impianti e lo sviluppo del computo metrico estimativo

10.  L’art. 95 riserva la verifica preventiva all’interesse archeologico.

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