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Reti, infrastrutture, territorio. Percorsi difficili tra molte asperità

di - 31 Gennaio 2011
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2. Le criticità nella filiera decisionale
Fatta questa premessa, per ragionare più da vicino sui perché delle difficoltà di programmazione e di realizzazione delle infrastrutture in Italia, ma senza dimenticare questo inquadramento teorico-metodologico che ha fortissime conseguenze operative, limitiamoci al caso delle infrastrutture di trasporto.
Che, peraltro, «portano» molte delle altre infrastrutture: quelle stradali e ferroviarie sono infatti «sede» anche di infrastrutture idriche, energetiche, di telecomunicazioni, etc.
Per inquadrare il problema occorre richiamare il ciclo dell’opera pubblica da una parte e quello del suo finanziamento nella condizione ordinaria e nella condizione straordinaria, dall’altro. Quest’ultima fattispecie è quella delle cosiddette «leggi provvedimento» – la cui ultima, più nota manifestazione è la cosiddetta «legge obiettivo» (l.n. 443/2001) -; leggi cioè che identificano con buona approssimazione l’opera da realizzare; a volte contestualmente viene anche decisa la posta finanziaria. Da ciò derivano i percorsi decisionale – programmatorio – autorizzatorio di tipo speciale.
Anche se va riconosciuto che le cosiddette semplificazioni (puntuali e/o parziali e non come sarebbe auspicabile, «di sistema»), apportate ai procedimenti autorizzatori soprattutto, tendono a ridurre le distanze tra le opere ordinarie e quelle straordinarie o speciali.
Proviamo a descrivere, seppure molto sinteticamente, il processo ordinario per quanto riguarda una infrastruttura di trasporto nella sua generalità, senza cioè analizzare le differenze, che pure ci sono, ed in misura rilevante, tra le singole infrastrutture (stradali, ferroviarie, porti, aeroporti, interporti e centri logistici in genere), per rilevarne le maggiori criticità.
In generale la «filiera» si può così scomporre: la politica dei trasporti; la pianificazione di settore e di area; la programmazione attuativa; la progettazione della singola opera, comprendendovi la fase di verifica e validazione del progetto; quindi quella della realizzazione, comprensiva degli affidamenti, in questo caso, dei lavori; per arrivare al momento del collaudo e dell’entrata in esercizio.
Ovviamente la filiera risente di alcune decisioni fondamentali che rappresentano una sorta di pre-condizione: l’opera è finanziata in toto dalla fiscalità generale? lo è solo parzialmente e quindi si deve ricorrere al concorso della finanza privata? L’opera è finanziata, sempre parzialmente, utilizzando la valorizzazione immobiliare, «ri-versando»[5] cioè sul finanziamento dell’opera l’effetto della valorizzazione dei suoli e dei fabbricati serviti dalla nuova infrastruttura (implicitamente delle destinazioni d’uso degli stessi)?
Quello della politica delle infrastrutture è probabilmente il momento più critico. Dalla sua «certezza» dovrebbe derivare la certezza dell’intero processo. Al contrario, registriamo, purtroppo, sempre meno determinazione e sempre più, di conseguenza, rinegoziabilità, fino alla rimessa in discussione permanente della decisione sull’opera.
La catena di comando è tutt’altro che tale. Più che la quantità di procedimenti è la mancata uniformità delle amministrazioni a determinare questa criticità, quasi indipendentemente dal diverso orientamento politico delle stesse. E, si badi bene, ciò riguarda anche una singola amministrazione.
Se la decisione politica fosse realmente indiscutibile, ciò non avverrebbe.
Cosa occorre perché la decisione di politica sia tale? Molte sono le condizioni necessarie: condivisione delle esigenze da parte dei partecipanti al gioco decisionale, informazione e pariteticità informativa, partecipazione, accettazione della decisione anche se non la si condivide, continuità amministrativa. In parallelo occorre un coerente piano di finanza. La certezza della decisione dipende per larga parte dalla certezza della finanza (entità, modalità di erogazione, etc.).
Come una sorta di pre-condizione, gioca la «qualità» del progetto dell’opera, sia che questa sia già prevista da un piano di area (statale, regionale, locale) che di settore[6], come strumento a base della decisione.
Al momento della decisione di politica, il progetto dovrebbe essere definito al punto tale da consentire la presa della decisione, quindi avere le caratteristiche di cui sopra.
Il progetto dovrebbe per di più aver esplorato le alternative e le maggiori varianti, verificato il suo impatto sull’ambiente inteso nelle componenti sociale, ambientale in senso proprio (ivi compreso il profilo culturale, quello paesaggistico, etc.), ed economica.
Quando l’opera «nasce» da un piano di settore e /o di area (meglio se da tutte e due le forme di piano), questa attività deve intendersi già svolta dal piano e dalla speciale valutazione (quella detta strategica – VAS – di cui alla direttiva comunitaria 2001/42 e relative leggi di recepimento statale e regionale)[7], cui il piano è obbligatoriamente assoggettato.
Quando l’opera non nasce da un piano, ma da una decisione ad hoc, comunque legittima (impegni internazionali, imprevedibilità dell’esigenza, carenze della pianificazione, etc.), il progetto, prodromico alla decisione, dovrebbe comunque rispondere ai requisiti di cui sopra. Deve ricercare le coerenze pianificatorie, deve sapersi «territorializzare», appunto cercando ex ante l’inserimento migliore, etc. Deve, in definitiva, essere concepito come se si stesse formando un piano.
In ogni caso deve aver previsto il costo della sua realizzazione, comprensivo anche delle cosiddette misure di compensazione, quelle cioè che sono necessarie per «accompagnare» il progetto nel suo inserimento nel territorio.

Note

5.  «Versement transport» è la definizione della speciale tassa ancora in uso in Francia (ricorda i nostri vecchi «contributi di miglioria», generici e specifici, dei «governi Giolitti» dell’inizio del ‘900). Recentemente, l’ipotesi è stata al centro di riflessioni e di tentativi di applicazione («Progetto Quadrilatero Umbria – Marche», favorito in via sperimentale dalla «Legge Obiettivo»). Nel volume “Laboratorio Brianza. Infrastrutture, mobilità e sviluppo: spunti concreti per elaborare un nuovo modello di intervento” della Fondazione Costruiamo il Futuro – Sole 24 ore, 2010, l’ipotesi è ulteriormente indagata. Particolarmente interessanti sono anche i casi di applicazione analizzati e commentati nel «paper» di Junge, Jason and David Levinson (2009), “Financing transportation with land value taxes: Effects on development intensity”, (htpp://www.nexus.umn.edu), University of Minnesota. Qualcosa del genere è proposto in molti progetti di legge presentati al Parlamento francese sulla scorta delle anticipazioni contenute nello stesso «Grenelle n. 2» (2010) che introduceva la problematica, a proposito di transazioni di terreni circostanti le stazioni di trasporto collettivo in sito proprio: l’obiettivo è sempre il recupero dei plusvalori prodotti dai cambi di destinazione d’uso del suolo e delle attrezzature per quanto necessitanti di finanziamenti pubblici preliminari.

6.  La filiera della pianificazione dei trasporti è molto articolata: piano generale dei trasporti e della logistica (PGTL) insieme o separatamente da quello della logistica; piano dello specifico settore (stradale – autostradale, ferroviario, aeroportuale, portuale); piani regionali dei trasporti (PRT) e/o piani regionali delle infrastrutture e dei trasporti (PRIT); piani provinciali della viabilità, per finire con i piani comunali che si differenziano per le città al di sopra di 100.000 abitanti che redigono anche piani della mobilità (PUM), che precedono i piani generali del trasporto (PGTU), i piani urbani del traffico (PUT), i piani urbani dei parcheggi (PUP). I comuni al di sotto dei 100.000 abitanti redigono solo questi ultimi (PUT e PUP). Nel caso dei porti maggiori, le autorità portuali redigono appositi piani regolatori portuali. Altrettanto fanno gli aeroporti ed i centri logistici in genere. Questi piani, in realtà, sono molti più simili a progetti che non a veri e propri piani, per evidenti ragioni. Da qui anche l’auto definizione di «master plan».

7.  Mi permetto di rinviare a F. Karrer, A. Fidanza, PWC, La valutazione ambientale strategica.- Tecniche e procedure , Editore Le Pensieur, 2010.

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