Alcune considerazioni in tema di investimenti in infrastrutture in Italia e all’estero

Gli anni 2000 hanno visto uno sviluppo straordinario degli investimenti in infrastrutture, in particolare quelle di trasporto (strade, autostrade, ferrovie, etc.), anzitutto nei cosiddetti paesi emergenti.
La Repubblica popolare Cinese è l’esempio più eclatante; l’India lo sta seguendo. I tassi di crescita impressionanti dell’economia Cinese e di quella Indiana (intorno al 10% per anno) ne sono stati i presupposti; le capacità di realizzare imponenti programmi di investimento sono poi legate a molti fattori. Basti ricordare che in circa 10 anni la Cina ha realizzato qualcosa come 35.000 Km di autostrade; l’India assai di meno, ma si accinge a recuperare rapidamente. Fondi pubblici hanno finanziato la totalità di questi programmi, con l’aiuto del forte sviluppo economico e la generazione di risorse interne; e grazie al sostanzioso intervento della finanza pubblica internazionale, cioè Banca Mondiale e Banca Asiatica di Sviluppo.
L’importanza dell’intervento di queste istituzioni finanziarie internazionali è consistita non solo, e non tanto, nell’aver contribuito a finanziare per una quota i progetti specifici; quanto per le regole realizzative imposte e che hanno accompagnato l’erogazione dei prestiti. Dette regole, basate sul “competitive bidding”, hanno permesso la realizzazione delle opere secondo tempi certi, con qualità accettabile e con costi sotto costante controllo e quindi contenuti. Con il progressivo sviluppo dell’industria domestica delle costruzioni (sviluppo oramai consolidato in Cina e, progressivamente, anche in India), il “competitive bidding” è stato esercitato a livello domestico per i contractors, mentre un ruolo essenziale è stato svolto dal “project control” esercitato da soggetti indipendenti, scelti con l’“international competitive bidding” in tutto il mondo, Cina esclusa.
Si sono così realizzate opere importanti con grande efficienza operativa, buona qualità e costi contenuti. L’industria delle costruzioni Cinesi, forte dei risultati ottenuti in patria, si sta ora espandendo progressivamente nei mercati internazionali. E ciò potrà forse avvenire in futuro anche per l’industria Indiana delle costruzioni.
Nei paesi produttori di petrolio e gas (ad esempio: Arabia Saudita, altri paesi del Golfo Persico; Algeria) lo sviluppo degli investimenti infrastrutturali negli ultimi 10 anni circa è stato altrettanto impressionante; anch’esso finanziato interamente o quasi da risorse pubbliche di quei paesi, ma in questo caso senza, ovviamente, il contributo finanziario delle Banche pubbliche internazionali non essendovene i presupposti, dato il livello di PIL pro capite di questi paesi. Ma alcuni elementi chiave delle regole della Banca Mondiale, sono stati autonomamente recepiti da questi paesi “ricchi”. In particolare il “competitive bidding” è applicato come regola; nei paesi maggiori, come l’Arabia Saudita, si sta assistendo a un interessante sviluppo dell’industria locale delle costruzioni, con gruppi di notevole dimensione e che ora tendono ad operare anche in altri paesi. L’ “international competitive bidding” è invece regolarmente applicato per la ricerca e la contrattualizzazione dei servizi di “project management and control” che svolgono quindi il compito di garantire al committente qualità, rispetto dei tempi e dei costi delle realizzazioni. E ciò sia per quanto riguarda la realizzazione di importanti infrastrutture che di investimenti in edilizia residenziale e non, compresa la realizzazione di nuove città o più semplicemente il rinnovo e la cosiddetta “beautification” delle città esistenti.
Veniamo alla questione nostra, in Italia.
Mi pare vi sia consenso abbastanza generalizzato sul fatto che vi è un gap infrastrutturale rispetto ai bisogni; che tale gap varia da regione a regione; che vi è un problema oggettivo di finanza pubblica nel senso che non ci si può attendere la soluzione del problema infrastrutturale dal solo finanziamento pubblico; e che quindi è essenziale il ricorso anche se parziale alla finanza privata nelle sue varie forme tra cui PPI, Project finance, etc. Come del resto avviene in altri paesi europei, in modo più diffuso che da noi.
In effetti, non si può affermare che il finanziamento privato (bancario o imprenditoriale di altro tipo) abbia dato finora un contributo molto sostanziale, specialmente per quanto riguarda le infrastrutture di maggior peso (e costo). Non sembra quindi peregrino chiedersi se a livello di regole e di prassi si stia facendo tutto quanto è necessario per permettere e, anzi, facilitare lo sviluppo di queste tecniche.
È evidente che si incentiva l’interesse del finanziatore privato e/o dell’investitore privato se l’investimento, in particolare se trattasi dei cosiddetti “greenfields”, ha tempi di realizzazione e costi ragionevolmente certi e congrui. Anche se non è molto semplice effettuare paragoni significativi tra i tempi e i costi di realizzazione di infrastrutture in Italia con quelli di altri paesi europei, le esperienze italiane non sembrano comunque dare risultati particolarmente confortanti. Anche le regole del gioco, che si esprimono attraverso leggi, leggi quadro, codici etc., se mutano con frequenza, forse non contribuiscono a creare il clima ideale per lo sviluppo di queste attività.
Uno studio OICE del dicembre 2007, che utilizza ricerche ed elaborazione dati dell’Università la Sapienza di Roma, mette in risalto numerosi casi europei di rapidità ed efficienza nell’attuazione di opere, puntuali o a rete.
In Francia, per la costruzione di autostrade, comprendenti opere rilevanti di ingegneria, di lunghezza compresa tra i 20 e i 44 Km, occorrono non più di 2 anni.
In Gran Bretagna, il tempo medio “dato nazionale, per eseguire opere di medio importo è di 3 anni, con scostamento usuale non superiore al 5% tra costi preventivati e costi finali”.
La Spagna sembra detenere il record all’efficienza avendo realizzato, tra l’altro, 2 lotti di metropolitane a Madrid, (lunghezza totale 136 Km) per importi di “€ 1.600 e € 3.400 milioni e la durata ciascuno di 48 mesi!”
La Germania ha realizzato un gigantesco programma di costruzioni autostradali, a seguito della unificazione, Est-Ovest, con tempi relativamente ristretti: “1.100 Km di nuove realizzazioni in 12 anni ed un investimento di circa 12 Miliardi di Euro”.

Sempre in Germania, un esempio interessante è rappresentato dalla costruzione della nuova Autostrada a 4 corsie Erfurt-Scheinfurt di 96.3 Km, che ha richiesto la costruzione di molti ponti, 14 Km di galleria tra cui un tunnel di circa 8.4 Km; completata a dicembre 2005 per un costo totale, espropri inclusi[1], di € 1.280 milioni cioè circa € 13.3 milioni a Km.
Per un paragone sia pur approssimativo con la situazione italiana, è interessante lo studio effettuato dall’osservatorio dei lavori pubblici dell’Autorità per la Vigilanza sui lavori pubblici (apparso sul sito web della stessa) circa “La determinazione dei costi standardizzati per la categoria di opere strade e autostrade”. Detto studio, a seguito delle elaborazioni svolte, presenta, a titolo indicativo, una serie di valori di costo di costruzione di strade e autostrade per metro lineare di carreggiata, in trincea/rilevato, galleria e viadotto.
Sempre a titolo indicativo, se si applicano i suddetti dati di costo italiani alle tipologie di opere come quelle dell’autostrada tedesca Erfurt-Scheinfurt, il costo di realizzazione di quest’ultima sarebbe di oltre il 35% superiore a quello effettivamente sostenuto.
Si rileva inoltre che il presunto costo di costruzione di due importanti autostrade italiane nella regione Padana, la costruzione delle quali non è ancora iniziata e cioè la Milano-Brescia e la Pedemontana Veneta, hanno costi di costruzione che si prevede superino anche significativamente i € 20 Milioni per Km. Altrettanto dicasi per vari lotti dell’Autostrada Salerno-Reggio Calabra.
Più che per le difficoltà orografiche del nostro Paese, troppo spesso invocate anche se talvolta reali, gli alti costi italiani delle costruzioni sono spesso dovuti all’abnorme allungarsi dei tempi intercorrenti anzitutto tra la decisione di realizzare l’opera e l’effettiva posa della prima pietra[2], nonché quelli necessari all’effettiva realizzazione delle opere.
Per risolvere questi problemi e rendere quindi più efficiente ed efficace il sistema di realizzazione dalle opere pubbliche in Italia ci dobbiamo chiedere perché non si fa ricorso anche da noi all’utilizzo di istituti, quali il “Project and Construction Management” o la “Maitrise d’ouvrage déléguée”, che, ampiamente usati all’estero, hanno contribuito ai successi realizzativi in tanti paesi, come si è cercato di illustrare in precedenza.
Si tratta di delegare a organismi tecnici autonomi e realmente indipendenti il controllo sui tempi dell’avanzamento della realizzazione delle opere, sul controllo dei costi e della qualità delle stesse.
In Italia l’utilizzo di questi strumenti è stato finora molto sporadico. Ad esempio, il controllo effettuato da un organismo “terzo” del programma di investimenti realizzati per il Giubileo del 2000 a Roma e nel Lazio (€ 2.300 Milioni) ha dato, è opinione comune, ottimi risultati. L’organismo tecnico indipendente operava per conto di una agenzia pubblica responsabile del programma; il risultato è stato il completamento in tempo del 96% delle circa 800 opere (infrastrutturali, di edilizia, etc.) componenti il programma, realizzando al contempo un risparmio del 14% nei costi effettivi rispetto a quelli previsti.
Nell’ottobre 2005 venne discussa in Senato una proposta di legge che tendeva a rendere obbligatorio il ricorso al “Project and Construction Management” per controllare l’andamento delle principali opere pubbliche in Italia e aumentarne l’efficienza realizzativa sia in termini di costi che di tempi di esecuzione. La proposta era sostenuta sia della maggioranza che dall’opposizione; fu bocciata in aula (Senato) in quanto venne osservato (Commissione Bilancio) che il costo di detti servizi di Management e controllo, che in genere sono compresi tra 1% e il 3% del costo dell’investimento, avrebbero rappresentato un onere aggiuntivo, senza copertura, a carico dell’erario.
Forse, una riconsiderazione della questione sarebbe giustificata anche per facilitare un più ampio ruolo della finanza e dell’imprenditoria privata nella realizzazione di investimenti pubblici.

Giovanni Agostino Torelli è Amministratore Delegato di Italconsult S.r.l.

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Note

1.  Il costo medio degli espropri in Germania, sempre secondo lo studio dell’OICE, appare essere dell’ordine del 10% del costo di costruzione.

2.  Nel quotidiano “Il sole 24 Ore” del 14/1/2001 e cioè 8 anni fa, è riportato l’elenco delle opere strategiche italiane, il cui inizio era dato allora per imminente; di queste, solo il passante di Mestre è stato realizzato. La maggior parte delle altre non è stata ad oggi, ancora avviata.