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L’ascesa dell’azionariato diffuso: il ruolo della legge e dello Stato nella separazione tra proprietà e controllo

di - 15 Dicembre 2010
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Due sono i principali modelli di mercati azionari che si sono sviluppati nei paesi industrializzati: un modello anglosassone, diffusosi negli Stati che adottano il sistema di common law (ma non senza eccezioni), e un modello germanico che, con alcune varianti, si è imposto nei paesi di civil law dell’Europa continentale. A questi due modelli corrispondono anche due diversi sistemi di corporate governance, ossia del complesso delle regole, delle strutture organizzative e delle prassi che presiedono ad un corretto ed efficiente governo della società.
I mercati finanziari di stampo anglosassone sono caratterizzati dalla grande diffusione presso il pubblico delle azioni e degli altri strumenti finanziari in generale, dall’elevata liquidità, da rigorose clausole di informazione e pervasivi sistemi di controllo interno ed esterno, dall’incessante tensione verso la maggior trasparenza possibile. Le società presenti in questi mercati sono prive di un gruppo di controllo stabile ed interessato alle vicende imprenditoriali, data la finissima polverizzazione dell’azionariato; le società sono pertanto controllate e gestite dagli amministratori, non sulla base di un diritto di proprietà ma in forza del rapporto fiduciario con gli investitori e della bontà dei risultati ottenuti. Tale sistema, denominato “market-oriented”, implica che il giudizio sull’operato degli amministratori provenga direttamente dal mercato finanziario, sensibilissimo ai flussi informativi, e si rifletta sul valore delle azioni: la moltitudine dei proprietari della società esprimerà la valutazione sulle scelte industriali, economiche e finanziarie mantenendo la propria partecipazione oppure disinvestendo. I managers quindi, per riuscire a conservare il controllo sulla società, dovranno puntare a delle buone performances che soddisfino gli investitori e a mantenere alto il valore delle azioni: solo in tal modo potranno tenersi al riparo da scalate ostili ed evitare il rischio che un nuovo azionista, rastrellando dal mercato una quota di controllo, possa sostituirli con una classe dirigenziale di sua fiducia.
Il modello germanico è completamente diverso. Questo è caratterizzato di norma da un mercato azionario assai meno sviluppato, poco aperto ai flussi informativi, in cui il valore degli scambi è scarso e la media del flottante delle società quotate è anche di tre volte inferiore a quello delle società quotate nei mercati di stampo anglosassone. I finanziamenti vengono raccolti presso soggetti istituzionali, sovente sotto l’ombrello protettivo statale: da qui inevitabile l’atrofia dei mercati azionari, relegati a una funzione speculativa e residuale. Le società operanti in questo sistema sono saldamente in mano un ristretto gruppo di azionisti di controllo che può essere costituito da gruppi familiari, banche, imprese assicurative e persino dallo Stato: questi soggetti, considerati i grandi benefici privati del controllo, difficilmente vi rinunceranno e se mai accadrà non avranno interesse alcuno a frammentare la propria quota, ma saranno disposti a dismettere solo il pacchetto completo. In questo ambiente pertanto matura una forte repulsione verso le scalate, non solo in quanto non è diffuso il principio che un ricambio al vertice possa garantire una migliore redditività, scalzando una classe dirigente inetta, ma anche perché si attribuisce un valore sociale all’impresa che non può passare di mano in mano come un bene di consumo qualsiasi. La separazione tra proprietà e controllo, tipica delle società appartenenti al modello anglosassone, è vista quindi come una grave patologia, che rende la società vulnerabile agli attacchi esterni e svuota di ogni potere decisionale l’assemblea degli azionisti, cuore della democrazia societaria.
La differenza tra i due sistemi, fino a pochi decenni fa abissale, va riducendosi ma non per questo resta meno evidente. I mercati dell’Europa continentale, oltre a perseguire l’armonizzazione delle proprie regolamentazioni ai fini della creazione di un unico mercato finanziario europeo, tendono a convergere verso il modello anglosassone, tanto che molti hanno intravisto in queste rapide trasformazioni la riedizione del percorso intrapreso dagli Stati Uniti a partire dalla seconda metà del XIX secolo: la media del capitale flottante delle società aumenta, le percentuali delle quote in mano agli azionisti di controllo diminuiscono e soprattutto diviene sempre più massiccio il ricorso ad offerte pubbliche di acquisto e di scambio, pur non mancando ingerenze da parte del mondo istituzionale e politico.
L’azionariato diffuso si è quindi rivelato, nel corso del tempo, l’assetto societario prevalente, congiuntamente allo sviluppo di mercati regolamentati liquidi e dotati di stringenti sistemi informativi e di controllo. Partendo da questo dato oggettivo, occorre però domandarsi se l’azionariato diffuso necessita di condizioni ambientali e legislative particolari per potersi efficacemente imporre e se una di queste variabili può essere individuata nel sistema legale stesso, stante l’evidenza che il luogo di nascita delle grandi public companies sono i paesi di common law.
Diverse teorie sono state approntate sulle condizioni propedeutiche allo sviluppo di un assetto proprietario diffuso, elaborate sulla scorta delle esperienze storiche dei paesi finanziariamente più attivi a partire dalla seconda metà del XIX secolo.
La relazione tra qualità del contesto normativo in cui operano le società quotate ed il grado di sviluppo dei mercati finanziari ed obbligazionari trova una sua prima e compiuta formulazione negli studi di La Porta, Lopez-de-Silanes, Shleifer e Vishny (LLS&V), che conducono un’indagine comparata sui sistemi finanziari in base ai diversi modelli di corporate governance. In tale analisi assurgono a variabili fondamentale il grado di protezione dei creditori e degli investitori, l’enforcement, e il ceppo d’origine del paese (common law, origine francese, origine tedesca): gli Autori sviluppano una stretta correlazione tra bassa protezione degli investitori e paesi di civil law e una maggiore attenzione ai diritti degli azionisti, in particolar modo quelli di minoranza, e paesi di common law. Solo in quest’ultimi, sostengono LLS&V, l’azionariato diffuso può prendere piede perché in assenza di adeguata protezione da parte della legislazione il mercato finanziario stenterà ad attrarre investitori; per tale motivo nei paesi di civil law il mercato dei capitali è arretrato e l’esiguità degli scambi non riesce ad intaccare le concentrazioni proprietarie, mentre nei paesi di derivazione anglosassone gli scambi sono cospicui e il finanziamento delle società proviene in maggioranza dal pubblico degli investitori piuttosto che dagli investitori pubblici.

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