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Dal Documento di programmazione economico-finanziaria (1988) alla “insostenibile leggerezza” della Decisione di finanza pubblica (2010).

di - 6 Dicembre 2010
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I punti densi di questo processo sono:
a) l’analisi tecnica indipendente , trasparente e monitorabile, dei dati e delle tendenze, macro e settoriali;
b) la definizione del quadro di riferimento “ normativo” per il Patto di stabilità interno (art. 8, comma 2 della legge n. 196). In particolare, che cosa significa in concreto scrivere che il quadro è normativo? Significa che si impone al sistema degli enti territoriali, come del resto è sempre avvenuto fino ad ora; ma la normatività è contro-fattuale se non riposa su una conoscenza fine e condivisa degli andamenti di spesa;
c) la nomenclatura giuridica delle spese. Rimane più che mai attuale la lezione di V. Onida sul grado di vincolo che la legge sostanziale trasferisce al bilancio e ora alla decisione di bilancio ellitticamente intesa. Riemerge corposamente la funzione di intermediazione interpretativa della macchina amministrativa e il nodo dei limiti reciproci tra l’autorizzazione legislativa alla spesa e la possibilità di riconsiderarla in sede di gestione. Tutto il tema della funzione allocativa del bilancio (a legislazione vigente) avrebbe meritato nel Governo e soprattutto nel Parlamento (con l’ausilio della Corte dei Conti) un lavoro profondo e minuto di riesame e riorganizzazione della normativa che sta alla base dei programmi e di ricostruzione della c.d. modulabilità delle spese: nuova categoria operativa ancora una volta ancorata ad una fase interpretativa giuridico-contabile definita in modo alquanto generico e perplesso;
d) i poteri di gestione della dirigenza dentro il nuovo contenitore autorizzatorio dei programmi.

7. Che cosa è accaduto nella sessione di bilancio per il 2011-2013? La ma­novra triennale di finanza pubblica 2011-2013, in effetti era già tutta inscritta nel decreto legge n. 78 del 2010; questa manovra d’urgenza recava in sé cor­rezioni quantitative e indirizzi; la DFP ha recepito meccanicamente gli effetti di questa decretazione di urgenza; in termini numerici, i saldi obiettivo della DFP sono la fotografia del decreto legge n.78. La sequenza è resa evidente dai tempi di presentazione della DFP (30 settembre 2010) e della legge di stabilità (la vecchia legge finanziaria, ribattezzata con lo stesso nome che le venne dato nel 1998),votata dal Consiglio dei Ministri mentre il Senato stava ancora discu­tendo e approvando la DFP. A prescindere dalle carenze documentali della DFP, è la sequenza che rivela la vera sostanza del processo immaginato e rea­lizzato. Si consolida la “c.d. finanziaria continua” via decretazione d’urgenza. In questo contesto come fanno le regioni e gli enti locali a determinare gli obiettivi dei propri bilanci , annuali e pluriennali, in coerenza con gli obiettivi programmatici risultanti dalla DFP approvata dalle Camere? (art. 8, comma 1)? Infatti la fase di concertazione con le Regioni e gli enti locali è completa­mente saltata. La legge n.196 intende (a parole) rafforzare la programmazione del profilo pluriennale della manovra: ma in pratica questo profilo è senza strumentazione. La Relazione unificata sull’economia e la finanza (un’altra in­novazione introdotta nel 2007 da T. Padoa Schioppa, come le missioni e i pro-grammi) diventa in realtà uno strumento di ricognizione delle tendenze e (di fatto) di programmazione; la RUEF, che è presentata dal solo MEF, può in realtà dare atto delle modifiche delle priorità già intervenute nella DFP in gestione. E accostare la DFP alla sessione di bilancio esprime la realtà di una situazione nella quale il centro della decisione è focalizzato sul solo Governo e sulla sua tecno-struttura, con risultati peraltro molto mediocri sul piano del controllo qualitativo della spesa e della trasparenza ricostruttiva delle tendenze. Se aumenta il grado di vincolo europeo, con questa strumentazione, aumenterà il grado di opacità della decisione e della sua qualità allocativa.

8. In realtà la riforma della struttura del bilancio (programmi e limite di cassa) e la riforma dell’amministrazione costituiscono un processo unico. Ma di ciò ancora una volta non vi è traccia nelle norme, e soprattutto non vi è traccia nelle politiche concrete. Sul piano della gestione del bilancio occorrerebbe avviare subito, a livello di programmi, una sperimentazione del raccordo tra cassa e competenza economica: rendere del tutto residuale ed interna la competenza giuridica. Sperimentare programmi interministeriali partendo dalle politiche pubbliche cruciali per lo sviluppo (infrastrutture e innovazione) ora distribuite su più Ministeri e centri di responsabilità: invertire nettamente la attuale dispersione delle risorse e delle responsabilità politico-amministrative.

Una conclusione provvisoria.
Le economie contemporanee competono anche (e forse sopratutto) attraverso le politiche pubbliche; e le politiche pubbliche coincidono in larga misura con la loro strumentazione tecnico organizzativa: ma questa strumentazione, alla prova dei fatti, esprime in sé un valore normativo, cognitivo, conformativo (dimostrativo) che trascende spesso le intenzioni incorporate negli stessi strumenti. Costituiscono strumenti delle politiche pubbliche: le procedure; le fonti normative; gli organismi; gli specialisti necessari a farle operare, le prassi che danno corpo a queste politiche.
Nella competizione prevale il sistema più idoneo a gestire e controllare sistemi complessi. Ora, al fondo di questa riflessione vi è la convinzione che l’anomalia italiana è più frutto di nodi e vincoli tecnico-organizzativi, espressione della maniera in cui i diversi strumenti si sono venuti intrecciando e hanno dispiegato in concreto i loro effetti, che di un disegno politico esplicito nei fini e nei mezzi; in altri termini, si tratterebbe di sciogliere un nodo tecnico-organizzativo (a monte anche culturale), più che politico. Naturalmente si è ben consapevoli che gli strumenti non sono neutrali e incorporano scelte di indirizzo e di valore politico; e tuttavia ci sembra che nella fase attuale della vita italiana prevalgano carenze e criticità di ordine tecnico-organizzativo e valga la pena concentrarsi su queste.
A partire dal 1998 (ingresso nell’UEM) abbiamo progressivamente affinato la costruzione delle previsioni tendenziali sui processi di formazione e copertura del fabbisogno. La gestione attiva del debito e delle aste di titoli pubblici richiede stabilità. Ma non sappiamo indirizzare e governare la spesa. Le innovazioni che richiede la nuova fase della governance europea (se vogliamo evitare indesiderate e pesanti retroazioni sull’economia) ci impongono una strumentazione di gestione e controllo assai più fine. La migliore performance delle altre economie europee (Germania federale, Francia, ecc) è in larga misura spiegabile con la migliore dotazione di capitale fisso sociale, ivi inclusa la capacità allocativa e gestionale della spesa pubblica. Gli strumenti di questa politica fondata sulla allocazione efficiente al margine di risorse scarse e sul controllo in itinere sono in Italia tutti ancora da mettere a punto. Occorre innovare profondamente nella conoscenza trasparente e indipendente delle tendenze, nella gestione (ampliando e responsabilizzando la dirigenza) e nel controllo (centrato nel durante sui risultati, non solo in termini di vincoli finanziari).

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